Il decreto legislativo 28/2010 all’art. 4 punto 2 contiene i requisiti minimi necessari perché l’istanza sia accoglibile e l’organismo possa procedere con la comunicazione della stessa alle parti invitate e si possa raggiungere la finalità di interrompere la prescrizione o la decadenza.
Vediamo gli elementi che sono prescritti dal decreto: l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa.
Partitamente esaminiamoli uno per uno.
L’organismo deve essere uno di quelli abilitati ed iscritti nell’albo tenuto presso il Ministero della Giustizia. L’abilitazione dell’organismo è essenziale perché il verbale di conciliazione, o mancata conciliazione, abbia efficacia all’interno del giudizio o sia prodromico al giudizio e consenta alle parti di aver assolto all’obbligo di presentare una istanza di conciliazione, specialmente quando si verte in materie “obbligatorie” così come recita l’art. 5 del citato Dlgs.
A tale proposito va citata la sentenza del Tribunale di Modica del 9 dicembre 2011 che ha ritenuto, tra gli elementi essenziali, l’indicazione della data di accredito (PDG) dell’organismo e del mediatore che ha diretto la mediazione quali essenziali alla validità dell’omologa del verbale di conciliazione; per incidens, il Dlgs. non menziona questi dati.
Le parti
Sono i soggetti che vengono coinvolti nel processo di mediazione e sono rappresentati dall’istante o istanti e dalle persone invitate. Dico “invitate” poichè sarebbe meglio non scrivere mai controparti, meglio identificarli come contro interessati. Possono essere persone fisiche o giuridiche e si presenteranno in mediazione personalmente o a mezzo di rappresentanti legali con i poteri a mediare e conciliare.
Poiché la mediazione è un procedimento che si svolge senza formalità, possiamo affermare che non vi possono essere obblighi per determinare i soggetti chiamati in mediazione, l’istante deciderà liberamente chi chiamare in mediazione considerando le proprie ragioni e le finalità che intende ottenere.
Un problema che si pone a chi deve proporre l’istanza di mediazione è se bisogna rispettare il litisconsortio necessario ex art. 102 c.p.c. (chiamare le persone nei confronti delle quali la conciliazione deve involgere i propri interessi). Un caso esemplare è la mediazione in materia di successioni ereditarie (peraltro materia obbligatoria ex art. 5 Dlgs. 28/2010). In tali casi la conciliazione raggiunta con una parte dei soggetti coinvolti nella successione non potrebbe aver valore nei confronti di coloro non chiamati in mediazione, atteso che la conciliazione, atteggiandosi come un contratto tra le parti ex art. 1372 c.c., non può avere efficacia nei confronti di altri soggetti che non vi hanno preso parte.
Come evitare che il giudice rimandi le parti in conciliazione perché non sono state chiamate in mediazione?
Come poter rispondere e dare soluzione al problema in sede di conciliazione? Innanzitutto è essenziale che l’istanza venga vagliata attentamente con l’ausilio di un avvocato che possa eliminare ogni dubbio sulla necessità di un litisconsortio necessario. A tale proposito riteniamo sia necessario chiamare tutte le parti del futuro giudizio per evitare che il giudice obblighi le parti non chiamate a tentare un nuovo procedimento di mediazione, con conseguente aumento di costi e lungaggine di tempi, oltre che della possibile declaratoria di non procedibilità della domanda se nessuno dovesse obbedire all’ordine del giudice. In detti casi l’avvocato è capace di configurare in modo esatto quale scopo possa raggiungere la conciliazione; determinare se l’accordo conciliativo possa essere nello stesso senso della richiesta mediazione e se involge diritti, posizioni, interessi di altri soggetti che dovrebbero necessariamente far parte della mediazione. Infine, tramite la conoscenza del regolamento dell’organismo adìto, l’avvocato è a conoscenza dell’eventuale previsione di integrazione del contraddittorio “motu proprio” cioè con una richiesta che possa essere fatta dal mediatore in prima o seconda seduta.
In questo esempio paradigmatico vogliamo puntualizzare la estrema necessità di coinvolgere la professionalità e conoscenza del diritto di un avvocato che saprà, con dovizia di ragioni, far comprendere al proprio assistito, se via sia le necessità di chiamare in mediazione altri litisconsorti, depositare più adatto, che preveda nel proprio regolamento, che il mediatore possa, “motu proprio”, disporre una richiesta di integrazione della domanda nei confronti di persone che potrebbero avere un interesse nella realizzazione della conciliazione.
L’essenziale intervento dell’avvocato nella fase introduttiva della mediazione può, in detto modo, scongiurare che la domanda non sia considerata incompleta, che non vi sia la necessità di integrare la partecipazione delle parti chiamate con altri soggetti, che tale richiesta venga fatta dal mediatore “motu proprio”, che la conciliazione dispieghi i propri effetti verso tutte le parti realmente interessate e che la conciliazione raggiunga lo scopo per la quale è stata richiesta.
Alcuni organismi hanno risolto il problema del litisconsortio necessario prevedendo la possibilità per il mediatore di eccepire la carenza di presenza di persone interessate e, quindi, di integrare il contraddittorio assegnando un termine per l’integrazione.
Ci sembra che la norma di questi organismi, sebbene voglia raggiungere un fine meritorio, onde scongiurare le criticità sopra rilevate, ci sembra poco in armonia con lo spirito del decreto legislativo che destruttura il formalismo del procedimento, lascia la parte libera di decidere chi e come chiamare in mediazione. Appare, inoltre, che il mediatore venga investito di una parte di doveri che il Giudice deve assolvere in sede giudiziaria e che possono, a nostro sommesso avviso, far incorrere il mediatore in un atteggiamento contrario alla terzietà, neutralità e lo sottopongano al rispetto di norme cogenti, comportamento quest’ultimo, che lo contraddistingue dal giudice che deve sempre attenersi alle norme di legge, differenziandosi dal mediatore che deve facilitare la trasmissione di interessi tra le parti.
Infine rileviamo come l’assegnazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio in caso di litisconsortio abbia ripercussioni sulla durata del processo di mediazione che verrebbe limitata, nel già limite dei quattro mesi, di ulteriori giorni. Altresì non sapremmo determinare la reale incidenza dell’invito del mediatore ad integrare la presenza di altre persone perché ciò non sarebbe un ordine perentorio, sarebbe del tutto disponibile per chi lo riceve, potrebbe determinare una spesa di indennità a carico dell’istante o dell’invitato che non sarebbe interessato ad affrontare.
L’oggetto
E’ la richiesta dell’istante contenuta nell’istanza di mediazione.
E’ l’interesse sotteso alla mediazione che l’istante vuole raggiungere attraverso la conciliazione.
Non possiamo in questa sede fare un parallelo con il codice di procedura civile che si riferisce al petitum mediato ed immediato poiché, come ormai si è accertato, non sempre le conciliazioni, specie se figlie di una soluzione creativa, rispondono ai criteri di cui sopra così come richiamati dalla dottrine e giurisprudenza processual-civilistica.
Poiché nell’istanza possono mancare le ragioni in diritto che sottendono alla richiesta di mediazione, non possiamo parlare di petitum immediato. E’ ben vero che si possa inserire nella domanda di mediazione il corpo dell’eventuale atto di citazione o ricorso, così da non incorrere certo nella mancanza di coincidenza tra quanto chiesto in mediazione ed in giudizio. Tuttavia va ribadito che, in via di deposito di istanza di mediazione, sia meglio prevedere un ventaglio di domande più ampio rispetto a quelle da trasfondere nell’atto giudiziario affinchè non si incorra nella improcedibilità della domanda o nella necessità di riproporre in mediazione quella parte di domanda contenuta nell’atto giudiziario e non sottoposta a mediazione.
Il giudice, qualora una parte del petitum non fosse stata ricompresa nella mediazione, avrebbe il potere/dovere di invitare le parti a tornare in mediazione allungando i termini di durata del processo, svuotando la conciliazione del suo scopo principale che è quello deflattivo del contenzioso, instillando il disfavore del cittadino nei confronti di un nuovo istituto creato per i suoi interessi.
Anche in questo caso rileviamo l’essenziale intervento dell’avvocato nella mediazione: innanzitutto per la capacità di concentrare le ragioni in poche righe, per la capacità di centrare le ragioni e le richieste del proprio assistito, per saper individuare esattamente le criticità del rapporto che devono essere risolte, per far coincidere le richieste poste in mediazione con l’eventuale atto giudiziario, onde evitare la sanzione di improcedibilità o invito del giudice a tornare in mediazione per quella parte di domande non trattate in mediazione, per consentire al mediatore di conoscere tutti i campi nei quali sarà chiamato a tentare la mediazione mettendo a disposizione la sua conoscenza di tecniche e risoluzioni alternative.
Ma non solo. L’avvocato, come sempre preparato, saprà indirizzare il proprio assistito verso un organismo che soddisfi le esigenze di professionalità, rigore e rispetto della normativa in materia.

Le ragioni della pretesa
Queste devono essere simmetriche a quelle che verranno successivamente individuate in sede processuale. I fatti, gli accadimenti dedotti nell’istanza di mediazione devono essere i medesimi dedotti nell’atto giudiziario pena la improcedibilità, per domanda nuova.
Vi è da sottolineare che in sede di mediazione le ragioni possono e devono essere esplicitate e possono essere individuate non necessariamente con l’introduzione dell’istanza, ma anche per impulso del mediatore, capace di far emergere altre ragioni, che potevano essere sopite o non palesi anche agli occhi dell’istante stesso.
In questo caso rileviamo l’importanza dell’ausilio dell’avvocato in mediazione che deve collaborare con il mediatore per consentire alle parti, ma soprattutto al proprio assistito, di raggiungere ed individuare quelle soluzioni alternative che possono provenire dalla parte invitata o provocate dal mediatore, anche attraverso la proposta definitiva.
Sebbene l’avvocatura ancora osteggi fortemente la mediazione per vari motivi, tuttavia siamo certi che la professionalità, l’importanza della funzione dell’avvocato nella soluzione di una controversia non sia stata affatto svilita. Tutt’altro. il decreto ha voluto, peccato molto velatamente, dare un forte segnale all’avvocatura di rinnovarsi, di “rendersi flessibile”, come devono fare tutti i lavoratori del nostro nuovo millennio. L’avvocato deve, in buona sostanza, non pensare più in termini codicistici e di posizioni, ma, nella fase della mediazione, deve assistere il proprio cliente nel cercare la soluzione più confacente ai propri interessi, non dimenticando che il suo compito è di risolvere ogni controversia e deflazionare il contenzioso giudiziario.
Quindi auspichiamo sempre che un legale possa prendere parte al procedimento di mediazione, per lo meno nella fase introduttiva e, certamente, nella fase conclusiva in cui verrà redatto il verbale di conciliazione. Probabilmente meno necessaria la presenza dell’avvocato nella parte di costruzione dell’accordo, fase in cui la parte deve essere libera di esprimere i propri interessi e ragioni lasciando da parte le norme che in qualche modo limitano la sua libertà di autodeterminazione nella ricerca del miglior accordo.