Tempi di giustizia: misure acceleratorie in vista?

Interessanti novità emergono, con riferimento alla tematica del contenimento dei tempi di giustizia, dalla bozza del decreto relativo a ”Misure urgenti per il riordino degli incentivi, la crescita e lo sviluppo sostenibile”, che sarà all’esame del Consiglio dei Ministri verosimilmente nel corso della settimana entrante.
In sintesi, due appaiono gli interventi allo studio di maggior impatto:
1) La previsione di un termine di durata massima del processo fissato in 6 anni (3 anni per il primo grado, 2 per il secondo e 1 per il giudizio di Cassazione); tali termini rileverebbero dunque per il riconoscimento dell’equo compenso derivante dall’eccesiva durata del processo. L’entità dell’indennizzo sarebbe determinata dal giudice, in misura non inferiore a 500 euro e non superiore a 1500 per ciascun anno o frazione di anno, purchè superiore a sei mesi, che ecceda il termine di ragionevole durata; peraltro, il giudice potrebbe condannare al versamento di una somma a favore della cassa delle ammende non inferiore a 1000 € e non superiore a 10000 € nel caso in cui la domanda di accesso all’indennizzo risultasse inammissibile o manifestamente infondata.
2) Inoltre, la previsione di un vero e proprio filtro in appello, in base al quale il giudice dello stesso potrebbe dichiarare inammissibile l’impugnazione per la quale non ravvisi una ragionevole probabilità di accoglimento: come si vede, una autentica ”prognosi”, in ordine all’accoglibilità dell’appello. La pronuncia del giudice sarebbe comunque ricorribile in Cassazione, sia pure nei limiti dei motivi specifici dedotti in appello, e l’innovazione non opererebbe nelle cause in cui è previsto l’intervento obbligatorio del P.M. e, ovviamente, nell’ambito dei processi sommari di cognizione ex artt. 702-bis segg. c.p.c.

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Pubblici dipendenti e attività di mediazione

Il Dipartimento della Funzione Pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri si è pronunciato in ordine al problema dell’esperibilità dell’attività di mediatore da parte dei pubblici dipendenti.
La nota n. 3357 del 2012 del Dipartimento precisa infatti che ”…l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di mediatore civile e commerciale per il pubblico dipendente può essere concessa solo nel caso in cui questa non generi incompatibilità con la funzione pubblica (ovvero quando sussiste un conflitto di interesse) né quando implichi una vera e propria attività professionale”.
Posto che il D. lgs 28/2010 e il D.M. 180/2010, e successive modifiche, che contengono, come è noto, la normativa in materia di mediazione, nulla precisano sul punto, la nota richiama i principi sull’incompatibilità di cui all’art. 53 del D. lgs 165/2001, il quale non consente al dipendente pubblico lo svolgimento di incarichi retribuiti, anche se occasionali, non compresi nei compiti e doveri d’ufficio, senza la previa autorizzazione dell’ente di appartenenza.
Di conseguenza, l’amministrazione di volta in volta dovrà procedere alla verifica preliminare della natura dell’incarico, che dovrà avere carattere occasionale e non implicare profili conflittuali di alcun tipo nei confronti dell’attività istituzionale. In caso di autorizzazione, dovrà essere espressamente previsto, inoltre, che l’incarico sia svolto al di fuori dell’orario di lavoro, ed in modo comunque compatibile con le esigenze della P.A.
Al fine di garantire la necessaria trasparenza ed onde evitare disparità di trattamento, appare dunque opportuno che ciascuna P.A. provveda ad adottare dei criteri generali per il rilascio delle autorizzazioni.

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Condominio e sinistri stradali: effetto boom sulla mediazione

I procedimenti di mediazione finalizzata alla conciliazione hanno fatto registrare un deciso incremento in conseguenza dell’introduzione, a partire dal 21 marzo 2012, del tentativo obbligatorio per le controversie in materia condominiale e per quelle relative ai danni cagionati dalla circolazione di veicoli e di natanti.
Si tratta certamente di un esito largamente prevedibile, ma la misura della crescita induce a riflettere su quanto uno strumento come la mediazione, soprattutto in determinati settori, possa risultare effettivamente deflattivo.
Infatti, il Ministero della giustizia ha reso noto che nel mese di marzo 2012 i procedimenti avviati presso gli organismi di mediazione sono aumentati del 26% (dai 9757 di febbraio a 12175).
Nello specifico, va rilevato come, pur avendo l’obbligatorietà riguardato i soli ultimi dieci giorni del mese di marzo, i procedimenti in materia di sinistri stradali si sono incrementati del 644% (da 115 a 856), mentre quelli relativi all-ambito condominiale hanno fatto segnare un più che incoraggiante aumento del 286% (ossia da 94 a 363).

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Opposizione a decreto ingiuntivo e onere di mediazione

Il Tribunale di Varese, con ordinanza 18 maggio 2012, nell’ambito di una controversia in materia di contratti bancari, ha affermato che l’onere di promuovere il procedimento di mediazione ex art. 5, D.lgs n. 28 del 2012, posto a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione, deve essere ritenuto incombente, nella fattispecie in esame, sull’attore “sostanziale”, da intendersi ai sensi del medesimo art. 5, vale a dire il creditore e non il debitore opponente.
Di conseguenza, successivamente alla pronuncia del giudice secondo quanto previsto dagli artt. 648 ovvero 649 c.p.c., la parte tenuta ad attivarsi al fine di evitare la declaratoria di improcedibilità è la parte opposta, proprio in quanto attore sostanziale e creditore effettivo, e non la parte che ha proposto opposizione, che nel successivo giudizio a cognizione piena assume la veste di attore unicamente sotto il profilo squisitamente formale.

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Proposta di modifica della mediazione nelle controversie in ambito condominiale

La Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, all’esito di un iter avviato il 31 gennaio 2011, ha definito il testo base della riforma del condominio (A.C. 4041).
L’art. 71-ter si riferisce espressamente, in termini assai completi, alla mediazione obbligatoria nelle controversie relative alla materia in esame.
Qui di seguito, il testo licenziato dalla Commissione:
̋Art 71-ter. – Per controversie in materia di condominio, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dalla errata applicazione delle norme del Libro Terzo, Titolo VII, Capo II del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni di attuazione, nonché le controversie in cui il condominio è parte.
La domanda di mediazione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione che si trovi nella circoscrizione del Tribunale nella quale il condominio è situato.
Al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumersi con le maggioranze di cui all’art. 1136, secondo comma,del codice.
Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere detta delibera, il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione.
La proposta di mediazione deve essere approvata dal’assemblea con le maggioranze ci cui all’art. 1136, secondo comma, del Codice. Se non si raggiungono le predette maggioranze, la proposta si deve intendere non accettata.
Il mediatore fissa il termine di cui all’art. 11 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, tenendo conto della necessità per l’amministratore di munirsi della delibera assembleare”.

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