Sanzioni per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione

Sanzioni per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione

L’art. 8, co. 4 – bis, D.lgs 28/2010, nel testo in vigore fino al febbraio 2023, introdotto dalla riforma del 2013, prevedeva che “Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per giudizio”.

In sostanza, dunque, già in forza dell’assetto consolidatosi in conseguenza della conversione del c.d. “decreto del fare”, si prefiguravano conseguenze rilevanti con riferimento all’ipotesi di mancata partecipazione al procedimento di mediazione ritenuta in sede giudiziale priva di giustificato motivo, vale a dire non solo la possibilità per il giudice di trarre, dal predetto comportamento omissivo, argomenti di prova ex art. 116, co. 2, c.p.c., ma anche e soprattutto la condanna della parte ritenuta ingiustificatamente renitente, nelle ipotesi di obbligatorietà del tentativo, al pagamento di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Detto quadro normativo, come è noto, è venuto profondamente a mutare a seguito dell’entrata in vigore, in data 28 febbraio 2023, della prima “tranche” della riforma c.d. Cartabia (D.lgs 149/2022).

L’attuale art. 12 – bis, D.lgs 28/2010, infatti, prevede che “1. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al primo incontro del procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. 2. Quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità, il giudice condanna la parte costituita che non ha partecipato al primo incontro senza giustificato motivo al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio. 3. Nei casi di cui al comma 2, con il provvedimento che definisce il giudizio, il giudice, se richiesto, può altresì condannare la parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione. 4. Quando provvede ai sensi del comma 2, il giudice trasmette copia del provvedimento adottato nei confronti di una delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, al pubblico ministero presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti, e copia del provvedimento adottato nei confronti di uno dei soggetti vigilati all’autorità di vigilanza competente”.

La situazione, come è agevole rilevare, è dunque radicalmente mutata, in particolare con riferimento alle sanzioni irrogabili dal giudice ed all’entità delle stesse.

Innanzitutto, la mancata partecipazione al procedimento di mediazione che sia ritenuta priva di giustificato motivo può indurre il giudice a desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, co. 2, c.p.c. Si noti, data la portata generale del tenore del primo comma del predetto art. 12 – bis, che tale conseguenza potrà ben derivare anche dalla mancata partecipazione ad un procedimento avviato volontariamente.

Con riferimento specifico alle ipotesi in cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale (ratione materiae ovvero in quanto delegata dal giudice ai sensi dell’art. 5 – quater, D.lgs 28/2010 o ancora in quanto prevista come step necessario da una clausola contrattuale), il legislatore ha aggravato le conseguenze della mancata partecipazione, raddoppiando l’entità della sanzione (doppio del valore del contributo unificato dovuto per il giudizio); va rilevata la chiarezza del dato testuale, secondo cui – laddove l’assenza in mediazione sia ritenuta non giustificata – il giudice “condanna la parte costituita”: il giudice non è dunque facoltizzato ad irrogare la sanzione, dovrà senz’altro irrogarla laddove, per l’appunto, ritenga la mancata partecipazione priva di giustificato motivo.

Detta sanzione prescinde totalmente dalla soccombenza nel successivo giudizio, atteso che, in attuazione del principio di causalità, mira a sanzionare la parte che, sottraendosi alla procedura stragiudiziale, provoca il giudizio: di conseguenza ben potrà essere irrogata fin dalla prima udienza.

Dovrà quindi considerarsi ingiustificata la mancata partecipazione di chi non motivi affatto tale proprio comportamento omissivo, mentre dovranno valutarsi caso per caso, da parte del giudice, le eventuali motivazioni addotte a giustificazione dell’assenza in mediazione.

Secondo una ormai consolidata giurisprudenza, peraltro, la parte non può limitarsi ad opporre quale giustificato motivo della mancata partecipazione alla mediazione, l’asserzione aprioristica che la propria posizione sia fondata rispetto alle tesi della controparte, poiché ammettendo ciò sussisterebbe sempre e comunque in capo a chiunque un giustificato motivo per non comparire.

Poiché, invece, la mediazione nasce da un contrasto tra le parti che il mediatore tenta di dirimere riallacciando canali di dialogo, non può esserci alcuna presa di posizione preconcetta fondata su ragioni proprie, occorrendo, invece, una partecipazione effettiva.

Il Tribunale di Roma, ad esempio, fin dalla sent. 29 maggio 2014 ha affermato che “…quanto al giustificato motivo addotto dall’assicurazione per non aderire alla disposizione del giudice emessa ai sensi dell’art. 5 co. II° (che per l’attore non è più un invito, per quanto autorevole, come previsto dalla previgente norma, ma un ordine, presidiato com’è dalla improcedibilità della domanda in caso di inottemperanza), l’affermazione avente ad oggetto la ritenuta congruità delle somme già versate, non può essere condivisa. Traslando tale ragionamento in generale si potrebbe infatti affermare che ogni qualvolta la controparte ritenga erronea la tesi della parte che l’ha convocata in mediazione (come in questo caso), e pertanto inutile la sua partecipazione all’esperimento di mediazione, essa sia validamente dispensata dal comparirvi. L’esponente non si avvede nell’aporia in cui incorre posto che così ragionando sussisterebbe sempre in ogni causa un giustificato motivo di non comparizione, se è vero com’è vero che se la controparte condividesse la tesi del suo avversario la lite non potrebbe neppure insorgere e se insorta verrebbe subito meno. La ragione d’essere della mediazione si fonda proprio sulla esistenza di un contrasto di opinioni, di vedute, di volontà, di intenti, di interpretazioni etc., che il mediatore esperto tenta di sciogliere favorendo l’avvicinamento delle posizioni delle parti fino al raggiungimento di un accordo amichevole”.

Lo stesso Tribunale di Roma (cfr., ex multis, sent. 26 luglio 2023, n. 11746) ha evidenziato come sia censurabile e, quindi, sanzionabile, il comportamento di un condominio che non partecipa alla mediazione senza alcun “giustificato motivo impeditivo” avente i caratteri della “assolutezza” e della “non temporaneità”, limitandosi, attraverso il suo amministratore, a manifestare la volontà di non voler partecipare alla mediazione.

È stato financo affermato che l’ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione possa configurare un comportamento doloso, “…in quanto idoneo a determinare l’introduzione di una procedura giudiziale – evitabile – in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi, tanto da comportare la condanna al versamento di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio” (cfr. Trib. di Termini Imerese, sent. 7 aprile 2023, n. 412, con riferimento ovviamente al regime antecedente alla riforma “Cartabia”: la sanzione prevista oggi è pari al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio).

Infine, non va dimenticato che, ai sensi dell’art, 12 – bis, co. 3, D.lgs 28/2010, con il provvedimento che definisce il giudizio, laddove ne faccia richiesta il legale di parte vittoriosa, il giudice può condannare la parte soccombente, che non abbia partecipato alla mediazione, al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata, in una misura che non ecceda nel massimo le spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione.

Ben si comprende, dunque, come dalla mancata partecipazione al procedimento di mediazione ben possano derivare conseguenze assai onerose per la parte assente ingiustificata.

Riassumendo conclusivamente: a parte la generale desumibilità dell’argomento di prova ex art. 116, co. 2, c.p.c. (possibile anche nell’ipotesi di mediazione volontaria), laddove si tratti di mediazione “obbligatoria” a fronte della mancata partecipazione alla stessa si correrà l’alea di una sanzione di importo pari al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio cui potrà cumularsi, nell’ipotesi di successiva soccombenza, l’ulteriore condanna al pagamento in favore di parte vittoriosa di una somma equitativamente determinata dal giudice secondo i parametri sopra ricordati, oltre all’eventuale applicazione – laddove fossero ravvisati gli estremi della lite temeraria – dell’art. 96 c.p.c.

Mediazione-civile-d.lgs-28-2010

Mediazione: un primo bilancio

Riportiamo i dati, riferiti al periodo che va da marzo 2011 (entrata in vigore dell’obbligatorietà del tentativo di mediazione nelle materie di cui all’art. 5 D.lgs n.28 del 2010) a maggio 2012, forniti dalla Direzione generale di statistica del Ministero della Giustizia.
Dal 21 marzo 2011 a tutto il mese di maggio 2012, le istanze di mediazione presentate presso gli organismi accreditati sono state 125.561. I procedimenti conclusi con la conciliazione delle parti sono stati circa 14.000. I procedimenti in cui vi è stata l’adesione della parte chiamata in mediazione ammontano al 35% del totale.
Un primo punto fermo va innanzitutto rilevato: nei procedimenti in cui la parte invitata decide di partecipare al tentativo, la percentuale di successo raggiunge il 50% (con un tasso di successo che sale, ed in maniera consistente, con riferimento alle liti di piccolo valore: si pensi che per quanto concerne le controversie fino a mille euro la percentuale raggiunge il 64,6%).
Il tutto, dinanzi ad organismi di mediazione che hanno raggiunto quota 813, anche se tale dato è riferito alla fine di marzo 2012.
Di rilevante interesse appare anche la suddivisione per materia delle istanze di mediazione presentate nel periodo gennaio – maggio 2012:

risarcimento danni da circolazione di veicoli e di natanti 11.915
altra natura della controversia 10.346
diritti reali 9.522
locazione 7.235
contratti bancari 5.320
contratti assicurativi 4.472
responsabilità medica 4.056
divisione 2.843
condominio 2.694
successioni ereditarie 2.453
contratti finanziari 1.458
comodato 963
diffamazione a mezzo stampa 728
affitto di aziende 644
patti di famiglia 102

Dalle cifre sopra riportate sembrano potersi trarre alcune prime considerazioni.
Innanzitutto, pur vigendo l’obbligatorietà del tentativo di mediazione soltanto dal 21 marzo 2012, la materia del risarcimento dei danni cagionati dalla circolazione dei veicoli è già balzata al primo posto della classifica, come del resto non risultava arduo prevedere, dal momento che in detto ambito sono circa 300.000 le nuove cause introdotte ogni anno.
Indubbiamente nella mediazione così come introdotta in Italia non mancano gli aspetti ”perfettibili”: al di là delle questioni pendenti dinanzi la Corte Costituzionale, la stessa Commissione Europea, nelle osservazioni rese alla Corte di Giustizia che dovrà pronunciarsi sulla compatibilità del D.lgs n. 28 del 2010 con le norme del diritto comunitario, non ha mancato di porre l’accento sulle problematiche rappresentate dal fatto che il mediatore possa (e a volte debba) formulare una proposta conciliativa che le parti potrebbero essere indotte ad accettare onde evitare conseguenze economiche sfavorevoli e, inoltre, dalla previsione di sanzioni, in sede processuale, a carico della parte vincitrice che non abbia aderito ad una ipotesi di accordo poi integralmente riprodotta dal provvedimento giurisdizionale.
Orbene, anche a voler prescindere per il momento dalle considerazioni che precedono, due sono gli aspetti sui quali sembra più urgente soffermarsi sulla base dei dati menzionati, l’uno di carattere per così dire statistico, l’altro attinente agli aspetti ”culturali” della mediazione.
Sotto il primo profilo, si è già avuto modo di rilevare come risultino ampiamente positivi i riscontri relativi ai casi in cui la parte chiamata in mediazione aderisca al procedimento: appare evidente l’opportunità di introdurre nuovi e più efficaci incentivi a tal fine.
Ma evidentemente il problema prioritario sembra quello rappresentato dai tempi, verosimilmente non brevi, necessari a quell’approdo di carattere culturale che la mediazione certamente rappresenta. La difficoltà del transito da una logica di contrapposizione ad un approccio ”compositivo” del conflitto non è un aspetto da sottovalutare: basti pensare alla diffusa ostilità di una rilevante parte dell’avvocatura nei confronti dell’obbligatorietà della mediazione.
In ogni caso, una nuova strada sembra ormai intrapresa: se è vero, infatti, che le iscrizioni a ruolo di processi ordinari di cognizione sono diminuite dal 2010 al 2011 in misura pari all’8,5% (e le cause pendenti del 3%) anche per altre cause, come le riforme di natura processuale e l’aumento del contributo unificato, certamente in questo trend il ruolo giocato dall’obbligatorietà della mediazione non può essere sottovalutato.