Mediazione: Spese di Avvio sempre dovute

N. 05230/2015REG.PROV.COLL.
N. 02156/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 2156 del 2015, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA e dal MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
l’UNIONE NAZIONALE DELLE CAMERE CIVILI (U.N.C.C.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonio de Notaristefani di Vastogirardi e Francesco Storace, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Crescenzio, 20,
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
– avvocati Roberto NICODEMI, Maria AGNINO, Antonio D’AGOSTINO, Alessandra GULLO, Gemma SURACI, Monica MAZZENGA, Gabriella SANTINI, Laura NICOLAMARIA, Nicola PRIMERANO, Luigi RAPISARDA, Elisabetta ZENONI, Alessandra TOMBOLINI, Sabina MARONCELLI, Stefano AGAMENNONE, Silvia MONTANI, Elena ZAFFINO, Elisabetta Carla PICCIONI, Luciano CAPOGROSSI GUARNA, Giuliana SCROCCA, Maurizio FERRI, Matilde ABIGNENTE, Guido CARDELLI, Marco Fabio LEPPO, Alessandra ROMANINI, Claudio DRAGONE, Roberta D’UBALDO, Corrado DE MARTINI, Arnaldo Maria MANFREDI, Eugenio GAGLIANO, Fabio CAIAFFA e Daniela BERTES, rappresentati e difesi dall’avv. Gemma Suraci, con domicilio eletto presso la stessa in Roma, via degli Scipioni, 237;
– ASSOCIAZIONE PRIMAVERA FORENSE, in persona del legale rappresentante pro tempore,rappresentata e difesa dall’avv. Marco Benucci, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, corso d’Italia, 29;
per l’annullamento in parte qua,
previa sospensiva,
della sentenza del T.A.R. del Lazio nr. 1351/2015, notificata in data 5 marzo 2015.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata Unione Nazionale delle Camere Civili (U.N.C.C.) e l’appello incidentale dalla stessa proposto, nonché gli atti di intervento in epigrafe meglio indicati;
Viste le memorie prodotte dall’appellata U.N.C.C. (in data 25 settembre 2015) e dagli intervenienti avv.ti Nicodemi e altri (in data 5 ottobre 2015) a sostegno delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 1694 del 22 aprile 2015, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2015, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi l’avv. dello Stato Colelli per le Amministrazioni appellanti, gli avv.ti de Notaristefani di Vastogirardi e Storace per l’U.N.C.C., l’avv. Suraci per gli intervenienti in epigrafe meglio indicati e l’avv. Michele Basile (in dichiarata delega dell’avv. Benucci) per l’ulteriore interveniente Associazione Primavera Forense;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il Ministero della Giustizia e il Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno impugnato, chiedendone la riforma previa sospensiva, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, in parziale accoglimento del ricorso proposto dall’Unione Nazionale delle Camere Civili (U.N.C.C.), ha parzialmente annullato il decreto nr. 180 del 18 ottobre 2010, recante il regolamento per la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti ai suddetti organismi.
A sostegno dell’appello, è stata dedotta, con tre distinti mezzi, l’erroneità della sentenza in epigrafe:
1) nella parte in cui ha disatteso l’eccezione preliminare di carente legittimazione in capo all’originaria ricorrente;
2) nella parte in cui ha ritenuto illegittimi, e quindi annullato, i commi 2 e 9 dell’art. 16 del precitato decreto, relativi alle spese di avvio ed alle spese di mediazione;
3) nella parte in cui ha ritenuto illegittimo, e quindi annullato, l’art. 4, comma 1, lettera b), del medesimo decreto, relativo all’obbligo anche per gli avvocati di svolgere la formazione obbligatoria prevista per i mediatori.
Si è costituita l’appellata U.N.C.C., la quale, oltre a controdedurre a sostegno dell’infondatezza dell’appello e a chiederne la reiezione, ha altresì proposto appello incidentale, censurando la sentenzade qua nella parte in cui è stata respinta, fra le varie questioni di legittimità sollevate dalla ricorrente, quella relativa al contrasto degli artt. 5, comma 2, del citato d.m. con l’art. 24 Cost.
Nel corso del giudizio, si sono avuti, altresì, in adesione all’appello principale:
– l’intervento ad adiuvandum degli avvocati Roberto Nicodemi ed altri, nella qualità di mediatori iscritti all’albo;
– l’intervento ad adiuvandum, a valere quale opposizione di terzo ex art. 109, comma 2, cod. proc. amm., dell’Associazione Primavera Forense, a sua volta organismo di mediazione regolarmente iscritto.
Quest’ultima, oltre a concludere nel senso della fondatezza del gravame, assume in liminel’inammissibilità del ricorso di primo grado per mancata notifica, quale controinteressato, ad almeno un organismo di mediazione.
Alla camera di consiglio del 21 aprile 2015, questa Sezione ha accolto l’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata formulata in via incidentale dalle Amministrazioni appellanti.
Di poi, parte appellata ha ulteriormente argomentato con memoria a sostegno delle proprie tesi.
All’udienza del 27 ottobre 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Giunge all’attenzione della Sezione il contenzioso relativo alla regolamentazione attuativa dell’art. 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, nr. 28, il quale, sulla scorta della delega contenuta nell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, nr. 69, ha introdotto nel nostro ordinamento la mediazione in materia civile e commerciale, come prescritto dalla direttiva 21 maggio 2008, nr. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea.
In primo grado, l’Unione Nazionale delle Camere Civili (U.N.C.C.) ha impugnato il decreto del Ministro della Giustizia, adottato di concerto col Ministro dell’Economia e delle Finanze, nr. 180 del 18 ottobre 2010, lamentandone l’illegittimità sotto plurimi profili, anche sulla base della ritenuta illegittimità costituzionale di retrostanti disposizioni del citato d.lgs. nr. 28 del 2010.
Il T.A.R. del Lazio, investito della controversia, in parziale accoglimento delle deduzioni di parte attrice, ha sollevato (ord. 12 aprile 2011, nr. 3202) questione di legittimità costituzionale di alcune norme dell’impugnato decreto, concernenti fra l’altro l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione ai fini dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate materie.
Sulla questione la Corte costituzionale si è pronunciata con la sentenza nr. 272 del 6 dicembre 2012, con la quale ha annullato, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., l’art. 5, comma 1, del d.lgs. nr. 28 del 2010, nonché una serie di disposizioni a questo correlate, ritenendo viziata da eccesso di delega la previsione dell’obbligatorietà del ricorso alla mediazione ed alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale in relazione a varie tipologie di controversie.
A sèguito dell’intervento del giudice delle leggi, e dopo un primo tentativo di modifica della normativa regolamentare non andato a buon fine a causa della mancata conferma in sede di conversione del decreto-legge in cui era stata inserita, il legislatore è nuovamente intervenuto con l’art. 84, comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno 2013, nr. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, nr. 98, che ha reintrodotto, inserendo nell’art. 5 del d.lgs. nr. 28/2010 il nuovo comma 5-bis (nonché attraverso l’introduzione di ulteriori disposizioni complementari), sia l’obbligatorietà del previo ricorso alla mediazione che la sua configurazione come condizione di procedibilità dell’azione.
Con la sentenza che ha definito il primo grado del presente giudizio, il T.A.R. capitolino:
– ha, da un lato, respinto la maggior parte delle doglianze attoree, ritenendo manifestamente infondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale articolate avverso la nuova disciplina medio temporeintervenuta;
– ha, per altro verso, accolto il ricorso limitatamente ai commi 2 e 9 dell’art. 16 del d.m. nr. 28/2010 (reputando illegittima la perdurante previsione della debenza delle spese di avvio e delle spese di mediazione, a fronte del principio di gratuità della mediazione contenuto nella normativa primaria) ed al comma 3, lettera b), dell’art. 4 (reputando illegittima la mancata previsione dell’esclusione degli avvocati dalla formazione obbligatoria ivi prevista, a fronte del riconoscimento agli stessi della qualifica di mediatori di diritto).
2. La ricostruzione che precede, in parte ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non risulta contestata dalle parti costituite, per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.
3. Tutto ciò premesso, l’appello dell’Amministrazione si appalesa in parte fondato e pertanto meritevole di accoglimento, mentre invece non è meritevole di favorevole delibazione l’appello incidentale dell’originaria ricorrente.
4. In ordine logico, è proprio l’appello incidentale a dover essere prioritariamente scrutinato, atteso:
a) che la sua ipotetica fondatezza comporterebbe la possibile incostituzionalità delle stesse norme primariea monte della censurata disciplina regolamentare;
b) che siffatta questione, ove ritenuta non manifestamente infondata, imporrebbe la rimessione alla Corte costituzionale anche d’ufficio (e, quindi, indipendentemente da ogni rilievo circa la legittimazione processuale dell’originaria ricorrente, come riproposto nel primo motivo d’appello dell’Amministrazione).
4.1. Con la propria impugnazione incidentale, l’U.N.C.C. reitera una sola delle questioni di legittimità costituzionale che il primo giudice ha ritenuto manifestamente infondate, e segnatamente quella relativa al comma 2 dell’art. 5 del d.lgs. nr. 28/2010, il quale, in un contesto nuovamente connotato dall’obbligatorietà del previo ricorso alla mediazione e dalla sua strutturazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale in determinate materia (per effetto della “novella” introdotta dal d.l. nr. 69 del 2013), consente al giudice, anche in sede di appello, di imporre alle parti l’esperimento della procedura di mediazione.
4.2. Al riguardo, il primo giudice ha escluso che la nuova disciplina introdotta nel 2013, pur stabilendo nei termini visti l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione, comportasse una significativa incisione del diritto alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., essendo essa circondata da cautele idonee a prevenire un serio pregiudizio di tale diritto: in tal senso andrebbero le previsioni dell’assistenza obbligatoria del difensore, della specializzazione dei mediatori e, soprattutto, della circoscrizione dell’obbligatorietà al solo “primo incontro” di cui al comma 1 dell’art. 8 del d.lgs. nr. 28/2010, all’esito del quale l’interessato può decidere di non proseguire nella procedura di mediazione.
4.3. In critica a tali argomenti, parte appellante incidentale rileva che le garanzie previste a favore del privato sarebbero solo apparenti, essendo per un verso limitata nel tempo la previsione dell’obbligatorietà dell’assistenza del difensore in sede di mediazione, e sotto altro profilo non idoneamente assicurata la specializzazione e l’esperienza di diritto dei mediatori (e ciò malgrado la contestuale previsione per cui gli stessi avvocati sono “mediatori di diritto”).
Soprattutto, l’appellante incidentale muove dal presupposto che la previsione di cui al ricordato comma 2 dell’art. 5 obblighi l’interessato, a sèguito dell’ordinanza del giudice che impone la mediazione quale condizione di procedibilità dell’azione, non già a limitarsi al primo incontro, ma ad esperire la vera e propria procedura di mediazione.
4.4. La Sezione non condivide tale ultimo avviso, che appare in frontale contrasto col dettato normativo.
Infatti, al di là di quanto appresso meglio si dirà in ordine all’essere il primo incontro parte integrante del procedimento di mediazione e non un qualcosa di estraneo ad esso, rileva il chiaro tenore testuale del comma 2-bis del medesimo art. 5, il quale, con previsione certamente applicabile anche alla fattispecie regolata dal precedente comma 2, dispone: “…Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.
Quanto ai più specifici rilievi svolti nell’appello incidentale, questi sono basati su una svalutazione della rilevanza e della centralità del momento formativo e dell’aggiornamento dei mediatori, il quale invece, come pure meglio appresso si rileverà, costituiscono parte essenziale del substrato comunitario dell’istituto de quo, di modo che non è possibile predicare l’illegittimità costituzionale delle previsioni in questione sulla base di una mera visione “pessimistica” del come in concreto detta formazione sarà attuata (come sembra fare parte appellante incidentale, allorché assume che i cittadini saranno lasciati in balìa di mediatori che non saranno necessariamente “esperti di diritto”).
4.5. In definitiva, la Sezione ritiene di dover condividere e confermare le conclusioni esposte nella sentenza impugnata in punto di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale qui riproposta: nel senso che, una volta superato il vizio di eccesso di delega che aveva indotto l’intervento cassatorio della Corte costituzionale con la richiamata sentenza nr. 272 del 2012, non è dato rinvenire manifesti e significativi profili di violazione dell’art. 24 Cost. ovvero di altri parametri di rango costituzionale.
5. Proseguendo nella disamina delle questioni preliminari, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso di prime cure sollevata nell’atto di intervento ad adiuvandum dell’Associazione Primavera Forense, laddove si assume il difetto di corretta instaurazione del rapporto processuale a cagione della mancata evocazione in giudizio di almeno un organismo di mediazione, quale controinteressato nei cui confronti il provvedimento impugnato era produttivo di effetti.
Tale questione può certamente essere delibata nella presente sede, atteso che:
a) va intesa quale vero e proprio motivo di impugnazione, essendo articolata in un atto di intervento in appello scaturito da conversione di opposizione di terzo proposta dinanzi al giudice di primo grado, giusta il disposto dell’art. 109, comma 2, cod. proc. amm.;
b) afferisce alla rituale instaurazione del rapporto processuale, e pertanto può pacificamente essere formulata anche per la prima volta in grado di appello.
Tuttavia, l’eccezione è infondata, dovendo in questa sede ribadirsi il consolidato insegnamento giurisprudenziale per cui, in caso di impugnazione di norme regolamentari, non possono individuarsi soggetti aventi posizione formale di controinteressati, a nulla rilevando in tal senso la posizione dei destinatari delle disposizioni generali e astratte contenute nel regolamento impugnato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 giugno 2006, nr. 3717; id., sez. V, 17 maggio 2005, nr. 6420).
6. Ciò premesso, col primo motivo d’impugnazione l’Amministrazione reitera l’eccezione, disattesa dal primo giudice, di inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione, non potendo riconoscersi sufficiente rappresentatività all’Unione istante in primo grado.
Il mezzo è infondato, atteso che, come già rilevato in sede cautelare, va ascritta a mero errore l’indicazione nell’epigrafe del ricorso (e della sentenza di primo grado) del nominativo della ricorrente come “Unione Nazionale delle Camere Civili di Parma”, risultando documentate dallo statuto, da un lato, la rappresentatività nazionale dell’associazione, e, per altro verso, che l’originaria sede in Parma dipendeva unicamente dalla previsione che, nelle more dell’individuazione di una sede in Roma, fissava automaticamente la sede sociale presso lo studio professionale del Presidente pro tempore (il quale, al momento della proposizione del ricorso, era appunto un avvocato del foro di Parma).
7. Parzialmente fondati invece, come più sopra anticipato, sono il secondo e il terzo motivo dell’appello dell’Amministrazione, con i quali si censurano le due statuizioni di annullamento della disciplina regolamentare cui è pervenuto il primo giudice.
8. Principiando dal secondo mezzo, questo attiene alla parte della sentenza impugnata nella quale è stata ritenuta l’illegittimità dei commi 2 e 9 dell’art. 16 del d.m. nr. 180 del 2010, nei quali rispettivamente si prevedeva che: “…Per le spese di avvio, a valere sull’indennità complessiva, è dovuto da ciascuna parte per lo svolgimento del primo incontro un importo di euro 40,00 per le liti di valore fino a 250.000,00 euro e di euro 80,00 per quelle di valore superiore, oltre alle spese vive documentate che è versato dall’istante al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte chiamata alla mediazione al momento della sua adesione al procedimento. L’importo è dovuto anche in caso di mancato accordo”, e che: “…Le spese di mediazione sono corrisposte prima dell’inizio del primo incontro di mediazione in misura non inferiore alla metà. Il regolamento di procedura dell’organismo può prevedere che le indennità debbano essere corrisposte per intero prima del rilascio del verbale di accordo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo. In ogni caso, nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, l’organismo e il mediatore non possono rifiutarsi di svolgere la mediazione”.
8.1. Tali previsioni, comportanti sempre e comunque l’erogazione di somme da parte dell’utente anche in caso di esito negativo del primo incontro, sono state ritenute dal primo giudice incompatibili con l’innovativa disposizione di cui al comma 5-ter dell’art. 17 del d.lgs. nr. 28/2010, secondo cui: “…Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.
Siffatta incompatibilità viene in sentenza ricondotta a un difetto di coordinamento fra la “novella” di cui al d.l. nr. 69/2013 ed il preesistente impianto normativo, avendo la prima introdotto il principio della gratuità del ricorso alla mediazione, sia pure limitatamente alla fase del “primo incontro”.
8.2. A fronte di tali argomentazioni, la Sezione reputa fondate le opposte deduzioni della difesa erariale, nei limiti e per le ragioni già in parte anticipate in fase cautelare e che di sèguito si vanno ulteriormente a sviluppare.
8.2.1. Innanzi tutto, è opportuno rilevare l’infelicità della formula impiegata dalla novella del 2013 da ultimo citata, la quale per la prima volta fa uso del generico termine “compenso”, inserendosi in un tessuto normativo in cui il corrispettivo dovuto per i servizi di mediazione è qualificato più tecnicamente come “indennità”; quest’ultima terminologia, oltre che nelle norme primarie anteriori al ricordato intervento del 2013, si rinviene anche nell’art. 1 del censurato d.m. nr. 180/2010, laddove l’indennità di mediazione è definita come “l’importo posto a carico degli utenti per la fruizione del servizio di mediazione fornito dagli organismi” (comma 1, lettera h).
Tale indennità poi, a tenore del successivo e citato art. 16, si compone di varie voci, fra le quali rilievo primario hanno le già richiamate “spese di avvio” e “spese di mediazione”.
8.2.2. Tanto premesso, nessun dubbio può porsi per le spese di mediazione, le quali, comprendendo “anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione” (art. 16, comma 10), integrano certamente il nucleo essenziale dell’indennità di mediazione: di queste, in applicazione del richiamato comma 5-ter dell’art. 17, non può che essere esclusa la debenza in caso di esito negativo del primo incontro.
Diverse considerazioni vanno svolte per le spese di avvio, indipendentemente dal se le si voglia considerare comprensive delle “spese vive documentate” ovvero a latere di esse (sul punto, il dettato del comma 9 sconta una certa ambiguità): ed invero, mentre non può seriamente essere negato il rimborso delle spese vive (sul che la stessa originaria ricorrente avendo chiarito di non avere alcunché da opporre), anche per le residue spese disciplinate dal medesimo comma 9 deve ritenersi la loro estraneità alla nozione di “compenso” – intesa quale corrispettivo di un servizio prestato – introdotta dal comma 5-ter dell’art. 17.
Ed invero, come efficacemente dimostrato dalla difesa erariale e dagli intervenienti ad adiuvandum, le spese di avvio, quantificate dal legislatore in modo fisso e forfettario (e, quindi, sganciato da ogni considerazione dell’entità del servizio effettivamente prestato dall’organismo di mediazione), vanno qualificate come onere economico imposto per l’accesso a un servizio che è obbligatorio ex lege per tutti coloro i quali intendano accedere alla giustizia in determinate materie; quanto sopra risulta confermato dal riconoscimento, a favore di chi tali spese abbia erogato, di un correlativo credito d’imposta commisurato alla somma versata e dovuto, ancorché in misura ridotta, anche nel caso in cui la fruizione del servizio si sia arrestata al primo incontro (art. 20, d.lgs. nr. 28/2010).
In altri termini, posto che il primo incontro non costituisce un passaggio esterno e preliminare della procedura di mediazione, ma ne è invece parte integrante alla stregua del chiaro tenore testuale dell’art. 8 del d.lgs. nr. 28/2010, e dal momento che tale fase il legislatore ha inteso configurare come obbligatoria per chiunque intenda adire la giustizia in determinate materie, indipendentemente dalla scelta successiva se avvalersi o meno della mediazione (al punto da qualificare l’esperimento del detto incontro come condizione di procedibilità dell’azione), ne discende la coerenza e ragionevolezza della scelta di scaricare i relativi costi non sulla collettività generale, ma sull’utenza che effettivamente si avvarrà di detto servizio.
8.3. A fronte dei rilievi fin qui svolti, che la Sezione ha in parte anticipato in fase cautelare, parte appellata nella propria memoria conclusiva rileva:
– che quanto evidenziato in ordine alla non riconducibilità delle spese di avvio alla nozione di “compenso”, di cui all’art. 17, comma 5-ter, del d.lgs. nr. 28/2010, sarebbe bensì vero in astratto, ma trascurerebbe di considerare la circostanza, dimostrata dall’esperienza pratica, che le spese de quibusfiniscono di fatto per coprire non solo i costi di esercizio degli organismi di mediazione (come era negli intenti del legislatore), ma anche e per buona parte i loro compensi, di modo che dovrebbe in ogni caso concludersi che esse, per come sono state quantificate e per la loro incidenza sul complessivo equilibrio economico-finanziario degli organismi di mediazione, finirebbero comunque per risolversi in una prestazione patrimoniale imposta in violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.;
– che, quanto alla previsione del riconoscimento di un credito d’imposta a favore di chi si sia avvalso della mediazione, questa andrebbe in realtà riferita alla sola ipotesi in cui dopo il primo incontro vi sia stato accesso alla mediazione, ma questa abbia poi avuto esito negativo, e non anche al caso in cui non si sia andati oltre il primo incontro.
8.3.1. Con riguardo al primo aspetto, la Sezione osserva anzi tutto che il tema della quantificazione dell’indennità di mediazione, e specificamente dell’incidenza delle spese di avvio sul complessivo equilibrio economico-finanziario degli organismi di mediazione, risulta estraneo al perimetro del presente giudizio, non essendo stato in prime cure il d.m. nr. 180/2010 impugnato nella parte relativa alla determinazione dei criteri di calcolo dell’indennità.
Al di là di tale assorbente rilievo, la descrizione degli effetti “perversi”, che si paventa possano scaturire da una determinata opzione normativa, non è evidentemente ex se sufficiente a farne inferire l’illegittimità; né può predicarsi una violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. in presenza di una disposizione primaria, quale è l’art. 17 del d.lgs. nr. 28/2010, che, nel disciplinare i criteri e le modalità per il reperimento delle risorse atte a consentire il funzionamento degli organismi di mediazione, in via di eccezione esonera l’utenza che si avvalga dell’obbligatorio primo incontro, in caso di esito infruttuoso di esso, dalla sola corresponsione di somme a titolo di “compenso” (nel senso sopra precisato).
8.3.2. Quanto al secondo rilievo, esso muove da un presupposto – l’estraneità del “primo incontro” al procedimento di mediazione propriamente detto – che non solo non trova alcun aggancio testuale nell’art. 20 del d.lgs. nr. 28/2010 (il quale, nel disciplinare il credito d’imposta, non impiega affatto espressioni univoche nel senso di circoscrivere la detraibilità alle sole somme erogate in caso di effettivo accesso alla mediazione), ma – come detto – appare smentito da altre disposizioni del medesimo decreto, e in primo luogo dall’art. 8, alla cui stregua il primo incontro rientra indiscutibilmente nel “procedimento” di mediazione.
In ogni caso, è evidente alla stregua di quanto sopra esposto che la disciplina riveniente dall’art. 20 del d.lgs. nr. 28/2010 costituisce solo una conferma, ulteriore e ad abundantiam, delle conclusioni che devono essere raggiunte aliunde, nel senso della riconducibilità delle spese di avvio non già al concetto di “compenso” degli organismi di mediazione, ma piuttosto a un costo di esercizio che il legislatore nella propria discrezionalità ha inteso porre a carico dell’utenza che è obbligata per legge a far ricorso al relativo servizio.
9. Col proprio terzo motivo d’appello, l’Amministrazione censura il capo di sentenza con cui è stato annullato il comma 3, lettera b), dell’art. 4 del d.m. nr. 180/2010, nella parte in cui obbligava anche gli avvocati a seguire i percorsi di formazione e aggiornamento previsti per gli organismi di mediazione.
A tale conclusione il primo giudice è giunto sulla base del duplice rilievo che, a norma dell’art. 16, comma 4-bis, del d.lgs. nr. 28/2010, gli avvocati sono mediatori di diritto (potendo dunque iscriversi de plano al relativo registro), e che essi hanno dei propri peculiari percorsi di formazione e aggiornamento previsti dalla legge, nei quali può certamente rientrare anche la preparazione allo svolgimento dell’attività di mediatore.
La Sezione, pur senza condividere taluni degli argomenti sul punto impiegati dalla difesa erariale (e, in particolare, quello imperniato sulla pretesa diversità “culturale” che esisterebbe, in relazione alla possibilità di accesso del cittadino alla giustizia, fra l’atteggiamento tipico dell’avvocato e quello richiesto al mediatore), reputa fondate le critiche mosse in parte qua alla sentenza in epigrafe.
Ed invero, non può sussistere dubbio sulla diversità “ontologica” dei corsi di formazione e aggiornamento gestiti per l’avvocatura dai relativi ordini professionali – i quali possono bensì prevedere anche una preparazione all’attività di mediazione, ma solo come momento eventuale e aggiuntivo rispetto ad una più ampia e variegata pluralità di momenti e percorsi di aggiornamento – rispetto alla formazione specifica che la normativa primaria richiede per i mediatori, proprio in ragione dell’esigenza (non casualmente qui agitata proprio dall’odierna appellata ed appellante incidentale) di assicurare che il rischio di “incisione” sul diritto di iniziativa giudiziale costituzionalmente garantito sia bilanciato da un’adeguata garanzia di preparazione e professionalità in capo agli organismi chiamati a intervenire in tale delicato momento.
Inoltre, che questo costituisca un tema centrale e “sensibile” del sistema si ricava anche dalla retrostante normativa europea in subiecta materia (e, in particolare, dall’art. 4, par. 2, della direttiva 2008/52/CE, secondo cui: “…Gli Stati membri incoraggiano la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti”), alla cui stregua va esclusa ogni opzione normativa o ermeneutica che possa anche solo dare l’apparenza di un ridimensionamento delle esigenze così rappresentate.
A fronte di ciò, non è dato ricavare argomenti decisivi in contrario dal disposto del comma 4-bis dell’art. 16 del d.lgs. nr. 28/2010 (richiamato dal primo giudice quale parametro della ritenuta illegittimità in parte quadella disciplina regolamentare), atteso che tale disposizione, proprio subito dopo aver stabilito che: “…Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori”, espressamente aggiunge: “…Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico forense (…)”.
10. In conclusione, e riepilogando, s’impone il parziale accoglimento dell’appello dell’Amministrazione, con la conseguente riforma della sentenza impugnata e le reiezione del ricorso di primo grado quanto all’art. 16, comma 9, ed all’art. 4, comma 3, lettera b), del d.m. nr. 180/2010 (fermo restando, per il resto, quanto statuito dal primo giudice).
11. In considerazione della complessità e novità delle questioni esaminate, nonché della parziale soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
– accoglie l’appello principale, nei limiti di cui in motivazione;
– respinge l’appello incidentale;
– per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado quanto ai vizi dedotti avverso l’art. 16, comma 9, e l’art. 4, comma 1, lettera b) del d.m. 18 ottobre 2010, nr. 180, confermando per il resto la sentenza medesima.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/11/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

adr intesa ente di formazione per mediatori civili riconosciuto dal ministero della giustizia

Tribunale di Milano, sez. I civile, ordinanza 7 maggio 2015.

 

Commento:

Ordinanza del Tribunale di Milano che consente di valutare appieno la portata di diverse problematiche assai ricorrenti nella pratica della mediazione.
In particolare:
1) le ragioni per le quali la risoluzione di una controversia in mediazione appaia, in determinate e frequenti circostanze, un percorso del tutto preferibile a quello ordinario rappresentato dal giudizio;
2) il fatto che la mediazione è anche (e soprattutto, ad avviso di chi scrive) un fatto culturale: trasponendo in mediazione l’approccio conflittuale proprio del processo si dimostra di non capire (o di non voler capire) quelli che sono i vantaggi, per tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, avvocati compresi, che la procedura stragiudiziale è in grado di offrire;
3) le circostanze in presenza delle quali l’ordine del giudice, con riferimento alla mediazione delegata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, possa considerarsi effettivamente adempiuto e la condizione di procedibilità, per l’effetto, realizzata.
I fatti: parte attrice ha richiesto alla commercialista convenuta il risarcimento dei danni (80.000 euro) per avere la stessa svolto l’incarico conferitole senza la diligenza richiesta ex art. 1176, co. 2, c.c.
In particolare, l’inadempimento della convenuta consisterebbe nella omessa comunicazione al cliente delle scadenze di legge oltre che dell’an e del quantum delle imposte che avrebbe dovuto versare al fisco come persona fisica e come società e, inoltre, nella omessa comunicazione al cliente in ordine all’avvenuto ricevimento degli avvisi di irregolarità (avvisi bonari) con la conseguenza che le imposte dovute sarebbero lievitate di interessi, sanzioni e spese.
Dal canto suo, parte convenuta non ha contestato il conferimento dell’incarico, ma ha sostenuto di aver sempre dato comunicazione all’attore circa le imposte da pagare (producendo documentazione) e solo nell’anno 2008 (anno di imposta 2007) ha chiesto al cliente/amico, per ragioni personali e di studio, di versare a settembre quando avrebbe dovuto versare a giugno sobbarcandosi i costi del ravvedimento operoso, sottolineando, peraltro, che l’attore, pur a conoscenza delle tasse da pagare, era in realtà orientato a rinviare il più possibile i propri obblighi tributari;
Sulla base di tale situazione di fatto, rilevato che a fronte di eventuali inadempimenti della professionista sarebbero comunque alla stessa addebitabili solo i danni conseguenza immediata e diretta del suo comportamento colposo, con esclusione delle somme che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, il Giudice osserva che “…sarebbe necessario disporre una CTU contabile, richiesta anche da parte attrice, che chiarisca alcuni profili sia in ordine all’an che al quantum, ritenuto che sarebbe nell’interesse di tutte le parti trovare una composizione amichevole e transattiva della vertenza che possa consentire, tra l’altro, il risparmio delle ingenti somme della CTU contabile e le spese della prosecuzione del giudizio, ritenuto che, visti i pregressi rapporti di amicizia di parte attrice e parte convenuta (che hanno portato anche al rimborso spontaneo di €.7000,00) le stesse potrebbero utilmente sedersi ad un tavolo di mediazione, unitamente ad un funzionario della compagnia di assicurazioni che ha gestito la pratica, sfruttando il procedimento di mediazione per addivenire ad una composizione amichevole della controversia”.
Di qui, dunque, l’opzione in favore della mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, con tanto di “raccomandazione”, rivolta agli avvocati che assistono le parti, ad operare concretamente, nell’interesse delle stesse, ai fini del raggiungimento dell’auspicato accordo, “…abbandonando una certa animosità che si è registrata alla scorsa udienza e che si percepisce dagli scritti difensivi”.
Infine, il Tribunale di Milano sottolinea come la mediazione disposta dal giudice “…deve essere effettivamente svolta con la presenza di tutte le parti personalmente, assistite dai rispettivi difensori, non essendo sufficiente l’espletamento delle formalità di cui all’art.8 c. 1 del D.Lgs “.
In sostanza, come da ormai consolidata giurisprudenza sul punto (cfr. Trib. Firenze, ordd. 17 e 19 marzo 2014, capostipiti di decine e decine di provvedimenti successivi ispirati alle stesse coordinate ermeneutiche), le ragioni della “impossibilità di iniziare il procedimento”, di cui all’art. 8, co. 1, D.lgs 28/2010, sono individuate nelle sole questioni preliminari o pregiudiziali di natura oggettiva, non risultando in alcun modo previsto che le parti manifestino una sorta di volontà di intraprendere effettivamente il tentativo di mediazione.
D’altra parte, come è noto, l’art 5, co. 2 – bis, D.lgs 28/2010, prevede che “quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”. Pertanto, se è vero che il giudice non potrebbe esigere, ai fini del corretto formarsi della condizione di procedibilità della domanda, che il procedimento di mediazione vada oltre il primo incontro, è altrettanto indubitabile che egli possa pretendere che nel primo (ed eventualmente unico) incontro le parti, presenti personalmente ed assistite dai rispettivi difensori, entrino concretamente nel merito della controversia, al fine di tentarne effettivamente la definizione stragiudiziale.
Se uno schema siffatto deve ritenersi relativo alla mediazione in generale, vieppiù esso dovrà trovare applicazione in una forma di mediazione, come quella delegata, dal momento che una formale e “burocratica” presenza delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) volta a produrre la condizione di procedibilità della domanda (tramite, ovviamente, formazione di verbale negativo) finirebbe con il trasformarsi in una totale elusione dell’ordine del giudice, il quale ha già provveduto in prima persona alle valutazioni del caso circa la “mediabilità” della controversia.
In sintesi, quindi: tentativo effettivamente svolto – in ottemperanza all’ordine del giudice, e caratterizzato dalla presenza personale – salvo casi eccezionali – delle parti.

Testo integrale:

TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
SEZIONE PRIMA CIVILE

Il Giudice dott. Anna Cattaneo,
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 25.3.2015,
letti gli atti ed i documenti di causa,
sentite le parti,
rilevato che parte attrice ha richiesto alla commercialista convenuta il risarcimento dei danno, quantificati in circa 80 mila euro, per avere la stessa svolto l’incarico conferitole (predisposizione e trasmissione delle dichiarazioni dei redditi, Irap, e Iva anni di imposta 2006-2009) senza la diligenza richiesta dalla professione esercitata ex art.1176 c.c. comma 2;
rilevato, in particolare, che l’inadempimento della XX consisterebbe, in primo luogo, nel no aver comunicato al cliente alle scadenze di legge né l’an né il quantum delle imposte che avrebbe dovuto versare al fisco come persona fisica e come società, in secondo luogo nel non aver comunicato al cliente di aver ricevuto gli avvisi di irregolarità (avvisi bonari) con la conseguenza che le imposte dovute (persone fisiche, irap e iva) sono lievitate di interessi, sanzioni e spese per circa 80 mila euro,
rilevato che parte convenuta non ha contestato il conferimento dell’incarico, ma ha sostenuto di aver sempre dato comunicazione al YY circa le imposte da pagare (producendo documentazione) e solo nell’anno 2008 (anno di imposta 2007) ha chiesto al cliente/amico, per ragioni personali e di studio, di versare a settembre quando avrebbe dovuto versare a giugno sobbarcandosi i costi del ravvedimento operoso, ha sottolineato che l’attore, pur a conoscenza delle tasse da pagare, era orientato a rinviare il più possibile i propri obblighi tributari, pertanto i ritardi nei pagamenti erano imputabili esclusivamente a lui,
rilevato che alcuni aspetti della controversia non sembrano del tutto chiariti negli scritti difensivi, né sono oggetto di prova orale,
rilevato che a fronte di eventuali inadempimenti della professionista sono allo stessa addebitabili solo i danni conseguenza immediata e diretta del suo comportamento colposo, con esclusione delle somme che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza,
ritenuto pertanto che sarebbe necessario disporre una CTU contabile, richiesta anche da parte attrice, che chiarisca alcuni profili sia in ordine all’an che al quantum,
ritenuto che sarebbe nell’interesse di tutte le parti trovare una composizione amichevole e transattiva della vertenza che possa consentire, tra l’altro, il risparmio delle ingenti somme della CTU contabile e le spese della prosecuzione del giudizio,
ritenuto che, visti i pregressi rapporti di amicizia di parte attrice e parte convenuta (che hanno portato anche al rimborso spontaneo di €.7000,00) le stesse potrebbero utilmente sedersi ad un tavolo di mediazione, unitamente ad un funzionario della compagnia di assicurazioni che ha gestito la pratica, sfruttando il procedimento di mediazione per addivenire ad una composizione amichevole della controversia, alla presenza dei rispettivi difensori i quali dovrebbero operare, nell’interesse dei loro assistiti, al raggiungimento dell’accordo, abbandonando una certa animosità che si è registrata alla scorsa udienza e che si percepisce dagli scritti difensivi,
ritenuto che la mediazione che dispone il giudice ai sensi dell’art.5 comma 2 D.Dlgs. 28/2010 deve essere effettivamente svolta con la presenza di tutte le parti personalmente, assistite dai rispettivi difensori, non essendo sufficiente l’espletamento delle formalità di cui all’art.8 c. 1 del D.Lgs. citato, proprie del primo incontro che ha la funzione meramente informativa,

P.Q.M.

Visto l’art.5 comma 2 del D.Lgs. 28/2010,
Dispone l’esperimento della mediazione e assegna termine alle parti di quindici giorni per depositare la domanda di mediazione,
Precisa che la mediazione, in quanto disposta dal giudice, non può limitarsi all’incontro informativo di cui all’art. 8 co.1 , dovendo il tentativo di mediazione essere effettivamente espletato e quindi dovendo le parti personalmente partecipare alla vera e propria procedura di mediazione,
Sottolinea che l’esperimento del procedimento è condizione di procedibilità della domanda,
Fissa udienza per il giorno 7.10.2015 ore 9.40 per verificare l’esito della procedura di mediazione, riservando la decisione sulla CTU contabile e sulle prove orali articolare dalle parti.

Si comunichi.

Milano, 7 maggio 2015

Il Giudice
Dott.ssa Anna Cattaneo

Mediazione-pubbliche-amministrazioni-problema-assistenza-legale

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 18 maggio 2015

 

Ancora una pronuncia con la quale si ribadisce, con particolare nettezza, il principio secondo cui, in sede di mediazione delegata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, nel primo incontro di mediazione le parti sono tenute ad entrare direttamente nel merito della controversia, non potendo, l’una, l’altra o entrambe, ritenere insussistenti i presupposti relativi alla “mediabilità” della lite, in quanto tale valutazione risulta già effettuata dal giudice nel momento stesso in cui dispone il procedimento.

Inoltre, con riferimento alla mediazione in generale, delegata o ante causam che sia, si sottolinea come la parte sia tenuta a presenziare personalmente all’incontro/i dinanzi al mediatore – salvo casi eccezionali – in cui potrà essere rappresentata da altro soggetto, di regola l’avvocato che la assiste, a condizione che sia munito di procura speciale notarile, unico strumento idoneo a radicare adeguata rappresentanza.

Nella pronuncia in esame si rileva come “...considerato che il giudizio sulla mediabilità della controversia è già dato con il presente provvedimento, la mediazione non potrà considerarsi esperita con un semplice incontro preliminare tra i soli legali delle parti;

giova rilevare che l’art. 5 del D.Lgs. 28/2010 sia al comma 1 che al comma 2 fa riferimento esclusivo alla funzione di assistenza del difensore, senza alcun riferimento alla funzione di rappresentanza, presupponendo con questo la necessaria dualità dei soggetti che compongono la parte in un procedimento di mediazione. In mancanza di tale dualità possono derivare conseguenze sia sul regolamento delle spese del giudizio fino ad influire sulla stessa procedibilità della domanda giudiziale”.

Il Giudice invita altresì il mediatore a mettere a verbale eventuali assenze ingiustificate e quale, tra le parti presenti, dichiari di non voler proseguire nella mediazione oltre il primo incontro.

In sostanza, dunque, si conferma ancora una volta il fatto che per mediazione disposta dal giudice deve intendersi un tentativo di mediazione effettivamente avviato, ossia che le parti, anziché limitarsi ad incontrarsi ed informarsi, per poi non aderire alla proposta del mediatore di procedere, adempiano effettivamente all’ordine del giudice, partecipando alla vera e propria procedura (auspicabilmente) conciliativa, salvo, naturalmente, l’emergere di questioni pregiudiziali ostative al suo svolgimento.

D’altra parte, in una mediazione delegata che oggi è “disposta” dal giudice, non consistendo più in un mero invito rivolto dallo stesso alle parti, la valutazione circa la mediabilità della lite non può che essere rimessa a chi, per l’appunto, la dispone.

Altrimenti, ciò che risulterebbe effettivamente obbligatorio non sarebbe altro che il primo incontro delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) con il mediatore, che il più delle volte varrebbe soltanto ad esprimere la “volontà” delle stesse contraria all’ingresso nel procedimento al fine di addivenire alla formazione di un verbale negativo che consenta di assolvere la condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Insomma, un mero orpello formale. Con conseguente svuotamento di ogni  significato della mediazione sul piano deflattivo e sul quello, in prospettiva ancor più importante, culturale.

Analoghe considerazioni devono essere svolte circa il profilo attinente alla partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione.

In effetti, al di là delle disposizioni richiamate nella pronuncia in esame, nelle quali si parla di assistenza alle parti  fornita dai rispettivi legali, non anche di rappresentanza, appare chiaro che per potersi parlare in senso proprio di mediazione occorre, quale presupposto primo ed indefettibile – salvo casi eccezionali – che le parti siano presenti di persona.

L’assenza della parte non può non determinare conseguenze rilevanti sulla natura stessa del tentativo di mediazione che, in quanto tale, dovrebbe dipanarsi in modo tale da consentire agli interessati di assurgere quanto più possibile al ruolo di autentici protagonisti della vicenda destinata a favorire il recupero del rapporto tra le parti, anticamera di ogni ipotesi di conciliazione. Una trattativa svolta dai soli avvocati potrebbe anche portare ad un esito fruttuoso, ma non rappresenterebbe una mediazione vera e propria, assumendo piuttosto le sembianze di una mera transazione, in quanto tale ispirata alla (diversa) logica delle reciproche rinunce.

In sostanza, in mediazione, il mediatore e l’altra parte dovranno essere in grado di interfacciarsi con un soggetto che risulti realmente in grado di esplorare tutte le possibilità conciliative, molte delle quali, come ben ha presente chi pratica la mediazione, emergono nel procedimento (e dal procedimento), spesso molto al di là delle posizioni iniziali. Per queste ragioni, nei casi – eccezionali – di impossibilità per una delle parti a partecipare personalmente agli incontri, soltanto la procura notarile speciale, redatta ad hoc per il singolo affare, oltre a permettere al rappresentante di stipulare atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, sembra in grado di fornire le necessarie  garanzie in ordine alla sua utilizzabilità nei confronti di terzi.

Infine, va rilevato che la pronuncia in parola, relativa ad una causa di opposizione a decreto ingiuntivo, rigettata l’istanza di provvisoria esecuzione del decreto, pone l’onere dell’avvio del procedimento di mediazione a carico della Banca opposta, mostrando, quindi, di aderire a quella tesi, oggi minoritaria in giurisprudenza, secondo la quale l’onere per l’appunto di introdurre la mediazione incomberebbe sull’originario intimante opposto, che, pertanto, ove non ottemperasse, vedrebbe decadere l’efficacia del decreto ingiuntivo in conseguenza della declaratoria di improcedibilità del giudizio di opposizione allo stesso.

Secondo altra giurisprudenza, oggi prevalente, (cfr., ex multis, Tribunale Rimini, ), nell’ipotesi di mancato avvio della mediazione nell’ambito del giudizio instauratosi a seguito dell’opposizione al decreto monitorio, la domanda che diviene improcedibile è quella proposta mediante atto di citazione dall’opponente, dal momento che, come è noto, nel giudizio di opposizione è il medesimo a rivestire il ruolo di attore, in quanto su di lui incombe l’onere di far sì che il decreto ingiuntivo non acquisti il carattere della definitività.

Così opinando, dal momento che la vigente normativa in materia di mediazione civile non deroga espressamente a quanto previsto nel c.p.c. riguardo al procedimento speciale in oggetto, nel caso di estinzione o – come nel caso di specie – di improcedibilità del  giudizio di opposizione, ai sensi dell’art. 653 si determinerebbe il consolidarsi degli effetti del decreto ingiuntivo.

Testo integrale:

Tribunale di Pavia

Sezione III Civile

Dott. Giorgio Marzocchi

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo

 

promosso da …… , con l’Avv……..Attrice – opponente

Contro …….. , con l’avv. ………….Convenuta – opposta

Il giudice istruttore del Tribunale di Pavia, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 13.05.2015, sulla provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto

osserva

L’opposizione della signora ……. appare fondata su un principio di prova scritta, ovvero sulla documentazione medico sanitaria relativa al suo pregresso stato di salute psichica, stato che appare tale da poter incidere, in astratto, sulla sua capacità di intendere e volere al momento della stipula del contratto di fideiussione omnibus con la banca opposta e, conseguentemente, sulla validità ed efficacia del contratto inter partes;

D’altro canto, dalla documentazione allegata dalla banca opposta, in particolare dal doc. 4 del fascicolo ricostruito della banca opposta (contratto notarile di apertura di conto corrente con garanzia ipotecaria del 24.09.2009 inter partes), si rileva che una pattuizione prevede che sul credito della banca possa essere applicato nel calcolo degli interessi passivi il sistema anatocistico degli interessi composti, vietato dalla legge (artt. 1283, 1284, 1346, 1815 e 1832 c.c.) L’applicazione del detto sistema, determina un possibile vizio di nullità parziale del contratto, rilevabile d’ufficio (ex multisCass. sent. n. 9169 del 7.05.2015, Cass. S.U. sent. n. 21095/ 2004; n. 23974/2010; n. 19882/2005) e una possibile conseguente diminuzione dell’ ammontare del credito.

Visto che il rilievo d’ufficio del possibile errato calcolo degli interessi, per la valutazione della sua fondatezza, necessita di un accertamento più approfondito di quanto possa essere effettuato nella presente fase preliminare, di mera valutazione della provvisoria esecuzione del decreto;

Ciò premesso,

rigetta l’istanza di provvisoria esecuzione del decreto.

Sulle istanze di ammissione dei mezzi istruttori così provvede:

ammette

la prova testimoniale proposta dall’opponente con i testi indicati. Non ammette i capitoli di prova A.1.10 e A.1.11 in quanto valutativi.

Riservata l’ammissione di CTU medica e di eventuale CTU contabile econometrica.

Ritenuto peraltro opportuno disporre l’esperimento del procedimento di mediazione in vista di una possibile conciliazione della lite che possa eventualmente coinvolgere anche gli altri condebitori i quali, diversamente dalla sig.ra … , non hanno proposto opposizione al decreto;

Viste le modifiche introdotte dal D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 98 e, in particolare, l’art. 5, co. 2, D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28;

Dispone

l’esperimento del procedimento di mediazione, ponendo l’onere dell’avvio della procedura di mediazione a carico della Banca opposta e avvisando entrambe le parti che, per l’effetto, l’esperimento del tentativo di mediazione – presenti le parti o i loro procuratori speciali e i loro difensori – sarà condizione di procedibilità della domanda giudiziale e che, considerato che il giudizio sulla mediabilità della controversia è già dato con il presente provvedimento, la mediazione non potrà considerarsi esperita con un semplice incontro preliminare tra i soli legali delle parti;

Giova rilevare che l’art. 5 del D.Lgs. 28/2010 sia al comma 1 che al comma 2 fa riferimento esclusivo alla funzione di assistenza del difensore, senza alcun riferimento alla funzione di rappresentanza, presupponendo con questo la necessaria dualità dei soggetti che compongono la parte in un procedimento di mediazione. In mancanza di tale dualità possono derivare conseguenze sia sul regolamento delle spese del giudizio fino ad influire sulla stessa procedibilità della domanda giudiziale;

Visti gli artt. 8, co. 4-bis, D.Lgs. 28/2010, 91 e 96 cpc;

Invita il mediatore a verbalizzare le eventuali assenze ingiustificate e quale, tra le parti presenti, dichiari di non voler proseguire nella mediazione oltre l’incontro preliminare;

Invita mediatore e parti a valutare, già in sede di mediazione e per economicità processuale, l’opportunità di svolgere una consulenza tecnica econometrica;

Assegna alla parte opposta il termine di quindici giorni dalla comunicazione dell’ordinanza per la presentazione della domanda di mediazione, da depositarsi presso un organismo di mediazione regolarmente iscritto nel registro ministeriale che svolga le funzioni nel circondario del Tribunale di Pavia, ex. art. 4, co. 1, D. Lgs. Cit.

Fissa nuova udienza in data 19.10.2015, ore 10,30 per la verifica dell’esito della procedura di mediazione e per l’eventuale prosieguo del giudizio con l’esame di tre testimoni di parte opponente;

Manda alla cancelleria per le comunicazioni alle parti costituite.

 

Pavia, 18.05.2015

Dott. Giorgio Marzocchi

 

 

Mediazione-obbligatoria

Tribunale di Taranto, ordinanza 16 aprile 2015.

Il Tribunale di Taranto, con l’ordinanza in commento, torna a soffermarsi sul concetto di effettività del tentativo di mediazione, sottolineando, in particolare, come nell’espressione mancata partecipazione al procedimento debba intendersi compresa non solo l’ipotesi dell’assenza ma anche il rifiuto ingiustificato di partecipare alla mediazione, in quanto si è comunque in presenza di condotte omissive nella sostanza equivalenti, volte in ogni caso a frustrare la possibilità stessa di tentare una soluzione stragiudiziale della lite, coerentemente, tra l’altro, con quanto previsto dall’art. 88 c.p.c. in tema di dovere di lealtà.

Rileva infatti il Giudice che “…per quel che concerne la disciplina della mediazione, quando sia disposta dal giudice, e cioè quando si atteggia come condizione di procedibilità, e non vi sia quindi possibilità di rinnovarla in caso di inerzia, dovendosi dichiarare l’improcedibilità della domanda, un’ interpretazione giurisprudenziale tende a far sì che il suo esperimento sia effettivo, e non si esaurisca alla fin fine in una forma di rallentamento ulteriore del processo.
Questo risultato viene perseguito affermandosi che l’obbligo di esperire la mediazione gravi su entrambe le parti”.

Occorre però intendersi sulla portata applicativa di detto obbligo.

Ovviamente, solo nel caso di inerzia dell’attore potrà configurarsi l’improcedibilità della domanda, non certo quando vi incorra il convenuto, dal momento che si applicherebbe nei confronti dell’attore una sanzione processuale per un fatto addebitabile ad altri.

Il fatto che però sussista un obbligo di mediazione effettiva a carico di entrambe le parti “…si desume dal disposto ex art. 8, co. 4 bis (dopo l’abrogazione del successivo comma 5 da parte della C.C.), del d.lgs. n. 28 del 2010: si sanziona infatti la mancata partecipazione della parte al procedimento di mediazione senza giustificato motivo.
E nell’espressione mancata partecipazione si deve intendere compresa non solo l’ipotesi dell’assenza ma anche il rifiuto ingiustificato di partecipare alla mediazione, trattandosi di condotte omissive equivalenti, in quanto idonee entrambe a frustrare la stessa possibilità di tentare la mediazione (in coerenza anche con l’art. 88 c.p.c. sul dovere di lealtà
”.

Naturalmente, il perseguimento dello scopo dell’effettività della mediazione“…non può tuttavia (…) spingersi sino al punto di ritenere che si applichi la sanzione dell’improcedibilità anche quando l’attore si rifiuti di partecipare immotivatamente alla mediazione sin dalla fase preliminare (“non voglio mediare…voglio invece proseguire con la causa”)”.

D’altra parte, l’espressione “senza l’accordo”, contenuta nell’art. 5, co. 2 – bis, D.lgs 28/2010, comprende anche l’ipotesi in cui la parte non intenda superare il primo incontro del procedimento di mediazione.

D’altronde, il fatto che la legge abbia previsto, con riferimento alla mancata partecipazione al procedimento senza giustificato motivo, la sanzione di cui all’art. 116, co. 2, c.p.c., nonché quella della condanna al versamento di una somma di importo pari al contributo unificato dovuto per il giudizio, implica necessariamente la prosecuzione del processo, il che non si concilia, evidentemente, con la declaratoria di improcedibilità.

In sostanza, dunque, secondo il Tribunale “…l’obbligo di effettiva mediazione grava sì su entrambe le parti costituite, ma nel senso che se anche vi sia un rifiuto ingiustificato, oltre che l’assenza ingiustificata, possono seguire le sanzioni tassativamente previste dalla legge.

Non può però l’effettività dell’obbligo spingersi fino al punto da sanzionare con l’ improcedibilità della domanda l’attore (o il convenuto qualora abbia spiegato riconvenzionale), quando si rifiuti senza giustificato motivo di partecipare al procedimento di mediazione nel c.d. primo incontro davanti al mediatore”.

 

Testo integrale:

Tribunale di Taranto
II Sezione
Ordinanza

Le domande proposte dal ricorrente si fondano pur sempre su di un contratto di locazione, anche se risolto: si fa valere cioè una forma di responsabilità contrattuale e non ad altro titolo;
quindi si applica il rito locatizio, correttamente introdotto.
Le domande riconvenzionali deve ritenersi che siano assoggettate alla mediazione obbligatoria ex d.lgs. n. 28 del 2010, non potendosi ammettere un regime diverso per le domande giudiziali a seconda che sia fatta valere dall’attore o dal convenuto, in mancanza peraltro di disposizione di legge contraria.
Ciò non toglie che possa assicurarsi il simultaneus processus, rinviando la trattazione di tutte le cause ad una udienza successiva, piuttosto che disporre la loro separazione (arg. ex art. 127, II co., c.c. ed estens. ex art. art. 274 c.p.c.).
Ma nel caso di specie va disposta la mediazione – c.d. delegata, ex art. 5, co. 2 del d.lgs. n.
28.2010, per come modificato dal d.l. 21-06-2013 e legge di conversione del 09.08.2013, n. 98 – anche per le domande principali (sebbene sia stata già esperita, ma invano, la mediazione prima dell’introduzione del giudizio) alla luce della avvenuta proposizione della domanda riconvenzionale e delle valutazioni contenute in questo provvedimento sul tema decisorio e sulle prove.
Per l’azione di riduzione del canone e di risarcimento dei danni proposta dall’attore non dovrebbe operare la decadenza del semestre prevista dall’art. 79 della legge 392/78: nel primo caso di tratta di azioni derivanti da norme del codice civile; nel secondo di azioni che trovano la loro fonte nella stessa legge speciale, all’interno delle quali ipotesi è prevista la sanzione della decadenza (arg. ex art. 14 delle Preleggi).
La disciplina dei fatti costitutivi della domanda potrebbe essere quella ex art. 1581- 1578 c.c., e cioè per vizio sopravvenuto e conseguente riduzione del canone; ovvero quella ex art. 1576 c.c. – 1575, n. 2, ossia inadempimento contrattuale e conseguente risarcimento dei danni.
Questa seconda disciplina dovrebbe preferirsi se si considera che la domanda è incentrata dallo stesso attore soprattutto su di una forma di inadempimento colpevole: il non aver il locatore adempiuto l’obbligazione di effettuare le riparazioni necessarie ex art. 1576 c.c.- E questa domanda non sembra che possa essere preclusa dall’aver il conduttore sanato la morosità in un precedente giudizio di convalida di sfratto, iniziato successivamente al manifestarsi dei fenomeni di umidità; che sarebbero attestati soprattutto dalla evocata CTU svolta nell’accertamento tecnico preventivo, e che secondo la prospettazione dell’attore avrebbero reso inservibile una parte dei posti auto e moto disponibili nell’autorimessa aziendale.
Si tratta per lo più di valutare se i vizi – o il pregiudizio all’immobile locato derivante dal contestato inadempimento – da cui sembra essere stato colpito, peraltro denunziati già con missiva del luglio 2006, in concreto abbiano comportato la ridotta attività commerciale ed in che misura, nel periodo considerato, ossia dal luglio 2006 al maggio 2011.
Ammesso per ipotesi che sia provato l’inadempimento (con la CTU soprattutto) e la riduzione della ricettività dell’autorimessa (verbale dei vigili del fuoco), occorrerebbe a rigore, trattandosi di impresa, che il quantum del mancato guadagno sia consacrato dal raffronto tra la contabilità degli anni precedenti al 2006 e quella degli anni successivi, avuto particolare riguardo al più ridotto reddito ricavato; contabilità che tuttavia non risulta essere stata prodotta in giudizio, In mancanza potrebbe farsi riferimento alle presunzioni e quindi all’equità.
I capitoli di prova sub 1, 2, 36-6/a-8-9 (e l’ulteriore contenuto in citazione e gli altri nella
memoria integrativa) o sono superflui o contengono valutazioni frammiste a circostanze di fatti, e come tali ritenuti inammissibili, o risultano tardivi.
Superflua di conseguenza anche la prova articolata da controparte.
Per quel che concerne la disciplina della mediazione, quando sia disposta dal giudice, e cioè quando si atteggia come condizione di procedibilità, e non vi sia quindi possibilità di rinnovarla in caso di inerzia, dovendosi dichiarare l’improcedibilità della domanda, un’ interpretazione giurisprudenziale tende a far sì che il suo esperimento sia effettivo, e non si esaurisca alla fin fine in una forma di rallentamento ulteriore del processo.
Questo risultato viene perseguito affermandosi che l’obbligo di esperire la mediazione gravi su entrambe le parti.
Occorre però intendersi sulla portata applicativa del predetto obbligo.
In primo luogo solo nel caso di inerzia dell’attore potrà seguire l’improcedibilità della domanda e non di certo quando vi incorra la sola controparte.
Non può ovviamente applicarsi all’attore una sanzione processuale per un fatto addebitale ad altri.
Che vi sia però un obbligo di mediazione effettiva a carico di entrambe le parti si desume
dal disposto ex art. 8, co. 4 bis (dopo l’abrogazione del successivo comma 5 da parte della C.C.), del d.lgs. n. 28 del 2010: si sanziona infatti la mancata partecipazione della parte al procedimento di mediazione senza giustificato motivo.
E nell’espressione mancata partecipazione si deve intendere compresa non solo l’ipotesi
dell’assenza ma anche il rifiuto ingiustificato di partecipare alla mediazione, trattandosi
di condotte omissive equivalenti, in quanto idonee entrambe a frustrare la stessa possibilità di tentare la mediazione (in coerenza anche con l’art. 88 c.p.c. sul dovere di lealtà).
E le sanzioni sono rappresentate dalla possibilità per il giudice di desumere argomenti di prova ex art. 116 c.p.c. e dal versamento di una somma pari al contributo unificato, in questo secondo quando però la parte sia costituita (ossia euro 660,00 nel caso in esame, pur se iscritto a debito per la provvisoria ammissione al gratuito patrocinio dell’attore).
Non può tuttavia il perseguimento dello scopo dell’effettività della mediazione spingersi sino al punto di ritenere che si applichi la sanzione dell’improcedibilità anche quando l’attore si rifiuti di partecipare immotivatamente alla mediazione sin dalla fase preliminare (“non voglio mediare…voglio invece proseguire con la causa”).
Allo scopo non può essere dirimente il disposto ex art. 5, comma 2 bis d.lgs. n. 28/2010:
“Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.
L’espressione “senza l’accordo” infatti comprende anche il caso in cui la parte non voglia
comunque mediare.
Peraltro l’aver la legge previsto per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo, nel senso lato precisato, la sanzione ex art. 116 c.p.c., ossia il trarre argomenti di prova, e quella pecuniaria sopra precisata, implica necessariamente la prosecuzione del processo, che evidentemente non si concilia con la ipotizzata improcedibilità.
In terzo luogo l’art. 8, I co. , citato, quando regola il passaggio dalla fase preliminare della
mediazione al suo effettivo esperimento, presuppone che nel c.d. primo incontro le parti debbano acconsentire alla mediazione: “.. il mediatore .. invita poi le parti ed i loro avvocati ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”.
E non può trattarsi della sola possibilità tecnica (diritti indisponibili, litisconsorte pretermesso, etc.), posto che l’invito ad avere il placet è indirizzato dal mediatore anche alle parti e non solo agli avvocati.
Pertanto l’obbligo di effettiva mediazione grava sì su entrambe le parti costituite, ma nel senso che se anche vi sia un rifiuto ingiustificato, oltre che l’assenza ingiustificata, possono seguire le sanzioni tassativamente previste dalla legge.
Non può però l’effettività dell’obbligo spingersi fino al punto da sanzionare con l’ improcedibilità della domanda l’attore (o il convenuto qualora abbia spiegato riconvenzionale), quando si rifiuti senza giustificato motivo di partecipare al procedimento di mediazione nel c.d. primo incontro davanti al mediatore.
E’ opportuno poi che le parti siano messe a conoscenza delle sanzioni cui andrebbero incontro, in caso di mancata partecipazione alla mediazione disposta dal giudice.

P.T.M.

Rigetta la richiesta di mutamento del rito da locatizio ad ordinario.
Dichiara inammissibile la prova orale articolata dall’attore e quindi quella contraria di parte resistente.
Visto l’art. 5, co. 1 bis, del d.lgs. 28/2010 assegna alle parti il termine di giorni 15 per la presentazione della domanda di mediazione con riguardo alle riconvenzionali spiegate.
Visto l’art. 5, co., II, dispone l’esperimento della mediazione, anche per le domande proposte dal ricorrente, ed assegna alle parti eguale termine di quindici giorni.
Avverte che si intende realizzata la condizione di procedibilità quando le parti sono comparse davanti al mediatore ed un accordo comunque non sia stato raggiunto.
La predetta attività, svolta dal mediatore ai sensi dell’art. 1, co I, lett. a) del d.lgs. n. 28
del 2010, deve essere consacrata nel verbale dallo stesso redatto, pur se in maniera sommaria.
L’assenza senza giustificato motivo della parte costituita, al pari di un rifiuto ingiustificato alla mediazione, sarà suscettibile di essere sanzionata nei modi di legge (art. 8, IV bis e cioè possibilità di trarre argomenti di prova ex art. 116 c.p.c. e sanzione pari al contributo unificato, ossia nel caso di specie euro 660,00; potranno poi rilevare in caso di proposta rivelatasi congrua nel corso del processo le ulteriori sanzioni previste dall’art. 13 del d.lgs. 28 / 2010 ed art. 96, III co. c.p.c.).
Beninteso in caso di assenza della parte che abbia proposto una domanda, potrà seguire
la sanzione dell’improcedibilità.
Fissa per la verifica dell’esito della mediazione l’udienza del 14-10-2015, ore di rito.
Riserva di accertare, disponendo – come di rito – informative alla Guardia di Finanza, la ricorrenza delle condizioni di reddito utili per l’ottenimento del beneficio del gratuito patrocinio, sia al momento della proposizione della richiesta di liquidazione del compenso, sia la loro permanenza nel periodo successivo.
Taranto, 16-04-2015

F.to Dott. Claudio Casarano

 

adr intesa ente di formazione per mediatori civili riconosciuto dal ministero della giustizia

Tribunale di Roma, sez. XIII civ., sentenza 26 marzo 2015.

Commento:

Ancora una interessante sentenza in cui il Tribunale di Roma, sez. XIII, affronta le problematiche connesse alla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, nella fattispecie delegata ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, e – quindi – all’applicazione dell’art. 116, co. 2, c.p.c.

Nel caso di specie, con ordinanza del 20 febbraio 2014, il Giudice attivava per l’appunto un procedimento di mediazione demandata all’interno di una controversia relativa alla richiesta di risarcimento dei danni fisici subiti da una minore a seguito di caduta, occorsa mentre fruiva della scaletta di accesso allo scivolo posto nell’area giochi del cortile scolastico sotto la diretta vigilanza del personale insegnante.

La Scuola, pur ammettendo la caduta della bambina sua allieva, contestava, come la Assicurazione, ogni censura mossa alla propria diligenza.

Tanto la Scuola quanto l’Assicurazione, pur ritualmente convocate in mediazione, non aderivano all’invito, non si presentavano all’incontro fissato, né inviavano al mediatore né esponevano all’udienza di rinvio spiegazioni di sorta per tale condotta.

Come ben noto, l’art. 8, co. 4 – bis, D.lgs 28/2010 prevede, relativamente alla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, che il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116, co. 2, c.p.c.

Il Giudice rileva come “…non essendo stato neppure addotto, da parte della convenuta e del terzo, un motivo per la mancata adesione e partecipazione all’incontro di mediazione si deve affermare senza ombra di dubbio che tale condotta sia del tutto ingiustificata”; nella fattispecie, poi, “…sia la scuola che l’assicuratore avevano una evidente ragione per partecipare alla mediazione: in presenza di un rapporto contrattuale di affidamento della bambina alla scuola in base alle norme di cui all’art.1218 e ss. la sussistenza di responsabilità della scuola è in re ipsa avendo riportato la minore gravi lesioni mentre era sotto la vigilanza e la custodia del personale insegnante, sicché la strada (rectius: onere della prova) per una improbabile esclusione della responsabilità era tutta in salita, come usuale allorché si debba provare il caso fortuito”.

Dovendosi tenere in debito conto, inoltre, il fatto che trattavasi di mediazione delegata dal Giudice, dunque conseguente ad una valutazione circa la mediabilità della lite già dallo stesso effettuata.

Pertanto, conclude sul punto la sentenza, “…nel caso di specie non solo non sussiste un giustificato motivo per la mancata comparizione della scuola e dell’assicuratore nel procedimento di mediazione; ma che tale rifiuto è del tutto irragionevole, illogico in concreto ma anche dal punto di vista astratto ed inescusabile”.

Ora, che la ingiustificata mancata partecipazione al procedimento di mediazione sia di per sé una condotta grave non può essere revocato in dubbio, dal momento che certamente rappresenta una modalità comportamentale idonea a determinare l’introduzione (o – come nel caso in oggetto – il permanere) di un giudizio presumibilmente evitabile, in un contesto – quale quello italiano attuale – assai critico sotto il profilo sia del numero dei procedimenti pendenti sia della durata media degli stessi.

Quanto alla possibilità di valorizzare nel processo, quale argomento di prova a sfavore di un parte, determinate condotte della stessa, si muove dal presupposto dell’esistenza, in giurisprudenza, di due diverse opinioni.

Secondo una prima impostazione, “…la decisione del giudice non può essere fondata esclusivamente sull’art. 116 c.p.c., cioè su circostanze alle quali la legge non assegna il valore di piena prova, potendo tali circostanze valere in funzione integrativa e rafforzativa di altre acquisizioni probatorie”.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, si è più volte espressa nel senso che “…la norma dettata dall’art. 116 comma 2 c.p.c., nell’abilitare il giudice a desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti nell’interrogatorio non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni da esso ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, non istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra eventuali omissioni e soccombenza della parte ritenuta negligente, ma si limita a stabilire che dal comportamento della parte il giudice possa trarre argomenti di prova, e non basare in via esclusiva la decisione, che va comunque adottata e motivata tenendo conto di tutte le altre risultanze (ex multis, Cassazione civile, sez. trib., 17 gennaio 2002, n. 443)”.

La seconda tesi, invece, opina nel senso che non vi sarebbe alcun divieto nella legge a che il giudice possa fondare solo su dette circostanze la decisione, valendo quale unico limite quello di una coerenza e logica motivazionale in relazione al caso concreto.

Anche in ordine a quest’ultimo orientamento, innumerevoli sono i precedenti di legittimità rintracciabili: ad esempio, secondo Cassazione civile, sez. III, 16 luglio 2002, la norma di cui all’art. 116, co. 2, c.p.c. “…attribuisce certo al giudice il potere di trarre argomento di prova dal comportamento processuale delle parti, e però, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ciò non significa solo che il comportamento processuale della parte può orientare la valutazione del risultato di altri procedimenti probatori, ma anche che esso può da solo somministrare la prova dei fatti”.

Nel caso di specie, il Tribunale di Roma ritiene che “…nell’attuale situazione, affetta da una endemica ed apparentemente insuperabile crisi nei tempi di risposta alla domanda di giustizia, causata dalla imponente mole di cause iscritte nei tribunali e delle corti; e viste le sempre più gravi conseguenze sociali, economiche e di immagine anche internazionale, derivanti dal ritardo nella definizione dei processi, sia necessario rivalutare, senza forzature ma con fermezza, ciò che è previsto da una norma (l’art.116 cpc) tuttora vigente ma un po’ desueta”.

Proprio in virtù di quanto precede, appare più che mai necessario fissare determinate regole precise.

Innanzitutto, “…deve essere ben chiaro in primo luogo che giammai la mancata comparizione in sede di mediazione potrà costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica, che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto”, in quanto lo strumento di cui all’art. 116, co. 2, c.p.c. attiene all’ambito delle prove libere, che il Giudice è tenuto a valutare, ai fini dell’accertamento del fatto, secondo il proprio prudente apprezzamento.

In conseguenza di ciò, “…si ritiene di poter affermare che la mancata comparizione della parte regolarmente convocata, come nel caso in esame, davanti al mediatore costituisce di regola elemento integrativo e non decisivo a favore della parte chiamante, per l’accertamento e la prova di fatti a carico della parte chiamata non comparsa”.

Con ciò non si intende svilire il secondo degli orientamenti cui si è fatto riferimento in precedenza.

Ritiene infatti il Giudice che “…secondo le circostanze del caso concreto gli argomenti di prova che possono essere desunti dalla mancata comparizione della parte chiamata in mediazione ed a carico della stessa nella causa alla quale la mediazione, obbligatoria o demandata, pertiene, possano costituire integrazione di prove già acquisite, ovvero anche unica e sufficiente fonte di prova”.

In sostanza, dunque, alla luce di quanto precede, “…si ritiene che la radicale evidente assenza di un giustificato motivo alla mancata partecipazione della scuola e dell’assicurazione convenuta alla mediazione demandata dal giudice, in forza del combinato disposto degli artt. 8 co.IV° bis del decr. lgsl. 28/2010 e art. 116 c.p.c., concorra alla valutazione del materiale probatorio raccolto nel senso di ritenere raggiunta la piena prova della infondatezza della resistenza ad oltranza dell’assicurazione (ed invero sono provate al di là di ogni ragionevole dubbio, anche mediate il deferito interpello, la sussistenza del rapporto contrattuale, l’affidamento della bambina alla vigilanza ed attenzione del personale della scuola, la circostanza che la minore cadeva mentre si trovava sullo scivolo all’interno della scuola, che le lesioni riportate sono la conseguenza di tale caduta)”.

Sulla base di tutte le ragioni esposte fin qui, pertanto, il Tribunale, definitivamente pronunciando all’esito della trattazione orale di cui all’art. 281 – sexies c.p.c., condanna la Scuola al risarcimento del danno come quantificato in sentenza, al pagamento dei due terzi delle spese di causa e, inoltre, al pagamento di una somma, a favore dell’Erario, di ammontare pari al contributo unificato previsto per il giudizio, a titolo di sanzione per la mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione.

Condanna altresì l’Assicurazione a manlevare la Scuola per quanto concerne il risarcimento del danno.

 

Testo integrale:

 

In NOME del POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE di ROMA SEZIONE Sez.XIII°

  1. RG…..

REPUBBLICA ITALIANA

Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi

nella causa tra

“Genitori” nella qualità di genitori esercenti la potestà su …. (avv.to ….)

attori

E

“Scuola Privata”…. in persona del suo legale rappresentante pro tempore (avv…..)

convenuta

E

“Assicurazione” in persona del suo legale rappresentante pro tempore (avv. ….)

terza chiamata

ha emesso e pubblicato, ai sensi dell’art.281 sexies cpc, alla pubblica udienza del 26.3.2015 dando lettura del dispositivo e della presente motivazione, facente parte integrale del verbale di udienza, la seguente

S E N T E N Z A

letti gli atti e le istanze delle parti,

osserva:

-1- Il fatto

Riferiscono gli attori che il il giorno 9.9.2008 alle ore 15 circa la minore …..di cinque anni allieva della scuola convenuta, si trovava all’interno del detto istituto scolastico privato intenta a fruire dell’area attrezzata e destinata al gioco allestita nel cortile sotto la vigilanza del personale insegnante, allorché mentre utilizzava lo scivolo ivi presente sprovvisto di tappeti antiurto, perdeva improvvisamente l’equilibrio mentre saliva lentamente la scaletta, i cui gradini erano privi di coperture antiscivolo, che conduce alla rampa del detto scivolo, cadendo e riportando gravi danni fisici.

La “Scuola” pur ammettendo la caduta della bambina, sua allieva, contestava, come la “Assicurazione”, ogni censura mossa alla diligenza della scuola.

La domanda degli attori è , nella misura infra esposta, fondata e merita accoglimento.

Va ricordato innanzi tutto che intercorre fra gli attori e la scuola un rapporto contrattuale sicché una volta dimostratane, da parte degli attori, l’esistenza, peraltro non contestata, la presenza della bambina all’interno dell’istituto e la caduta, fatti pacifici, incombeva alla convenuta dimostrare l’adempimento e nel caso di specie che la caduta dallo scivolo e le lesioni in conseguenza subite da ….., fossero imputabili a caso fortuito, nel quale può rientrare anche la condotta negligente dello stesso soggetto infortunato.

Si tratta di una prova rigorosa che l’istituto non avrebbe mai potuto fornire mediante le irrilevanti prove testimoniali richieste, posto che la bambina, di soli cinque anni, andava vigilata seriamente e seguita nel percorso fintanto che avesse preso confidenza con il gioco (scivolo), ciò che non è stato.

-2- L’invio in mediazione demandata e la mancata adesione e comparizione della convenuta e del terzo chiamato

Con ordinanza del 20.2.2014 il giudice attivava un percorso di mediazione demandata ai sensi del comma secondo dell’art.5 decr.lgs.28/2010 come modificato dal d.l.69/2013 [1]

Sia la “Scuola”  che la “Assicurazione” benché ritualmente convocate in mediazione (cfr. verbale redatto dal mediatore dell’Organismo di Mediazione …… del 5.5.2014 compulsato dagli attori) non aderivano all’invito, non si presentavano al fissato incontro, né inviavano al mediatore né esponevano all’udienza di rinvio spiegazioni di sorta per tale condotta.

Ritiene il giudice che non possano nel contesto che ci occupa essere tratte conseguenze della mancata partecipazione della convenuta e del terzo ritualmente convocati al procedimento di mediazione attivato dagli attori su disposizione del giudice ex art.5 co.II° decr.lgsl.28/10 comma (mediazione demandata).

L’art.8 co.IV° bis prima parte del decr. lgsl. 28/2010 relativamente alla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione prevede che il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile.

-3- La (in)sussistenza di un giustificato motivo per non aderire, non presentandosi, all’incontro di mediazione.

Non essendo stato neppure addotto, da parte della convenuta e del terzo, un motivo per la mancata adesione e partecipazione all’incontro di mediazione si deve affermare senza ombra di dubbio che tale condotta sia del tutto ingiustificata.

E ciò è già di per sé sufficiente a motivare l’assenza di giustificato motivo.

In questo caso poi sia la scuola che l’assicuratore avevano una evidente ragione per partecipare alla mediazione: in presenza di un rapporto contrattuale di affidamento della bambina alla scuola in base alle norme di cui all’art.1218 e ss. la sussistenza di responsabilità della scuola è in re ipsa avendo riportato la minore gravi lesioni mentre era sotto la vigilanza e la custodia del personale insegnante, sicché la strada (rectius: onere della prova) per una improbabile esclusione della responsabilità era tutta in salita, come usuale allorché si debba provare il caso fortuito.

Tale evidente posizione di debolezza imponeva più che mai la partecipazione alla procedura di mediazione.

D’altra parte tanto più risulta ingiustificato tale atteggiamento di rifiuto di partecipazione alla mediazione attesa la circostanza che il giudice aveva evidentemente esaminato gli atti, studiato le posizioni delle parti, ed infine effettuata una delibazione che, in relazione alle circostanze tutte indicate dal secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/2010, lo aveva convinto della utilità di un percorso di mediazione nell’ambito del quale le parti avrebbero potuto approfondire le rispettive posizioni fino al raggiungimento di un accordo per entrambe vantaggioso.

Risulta pertanto comprovato che nel caso di specie non solo non sussiste un giustificato motivo per la mancata comparizione della scuola e dell’assicuratore nel procedimento di mediazione; ma che tale rifiuto è del tutto irragionevole, illogico in concreto ma anche dal punto di vista astratto ed inescusabile.

-4- Le conseguenze, sul merito della causa, della mancata partecipazione da parte della scuola e dell’assicurazione, al procedimento di mediazione, senza giustificato motivo.

La mancata partecipazione al procedimento di mediazione (obbligatoria o demandata), senza alcuna giustificazione fornita dalla parte e senza -come in questo caso- che dagli atti del giudizio appaia la incontrovertibile macroscopica evidenza, per motivi di fatto o di diritto, o di entrambi, della inutilità o della impossibilità di riuscita della mediazione, costituisce condotta grave perché idonea a determinare la introduzione o l’incrostazione di una procedura giudiziale (evitabile) in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi.

Quanto alla possibilità di valorizzare, nel processo, come argomento di prova a sfavore di una parte determinate condotte della stessa (nella specie la mancata comparizione in mediazione, senza giustificato motivo, della parte convocata) si confrontano nella giurisprudenza due diverse opinioni.

Secondo una prima tesi la decisione del giudice non può essere fondata esclusivamente sull’art. 116 c.p.c., cioè su circostanze alle quali la legge non assegna il valore di piena prova, potendo tali circostanze valere in funzione integrativa e rafforzativa di altre acquisizioni probatorie.

Secondo altra opinione non vi è alcun divieto nella legge affinché il giudice possa fondare solo su tali circostanze la sua decisione, valendo come unico limite quello di una coerenza e logica motivazionale in relazione al caso concreto.

È espressione della prima teoria l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “la norma dettata dall’art. 116 comma 2 c.p.c., nell’abilitare il giudice a desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti nell’interrogatorio non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni da esso ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, non istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra eventuali omissioni e soccombenza della parte ritenuta negligente, ma si limita a stabilire che dal comportamento della parte il giudice possa trarre ‘argomenti di prova’, e non basare in via esclusiva la decisione, che va comunque adottata e motivata tenendo conto di tutte le altre risultanze” (fra le tante Cassazione civile, sez. trib., 17/01/2002, n. 443).

La norma in questione merita senz’altro una maggiore utilizzazione anche se a differenza di altri casi in cui da una determinata circostanza è consentito ritenere provato tout court il fatto a carico della parte che tale circostanza subisce, in questo caso la legge prevede che il giudice possa utilizzarla per trarre dalle circostanze valorizzate “argomenti di prova”.

La norma dell’art.116 c.p.c. viene richiamata dal legislatore della mediazione (art.8 decr. lgs. cit.) nell’ambito della ricerca ed elaborazione di una serie di incentivi e deterrenti volti a indurre le parti, con la previsione di vantaggi per chi partecipa alla mediazione e di svantaggi per chi al contrario la rifugge, a comparire in sede di mediazione al fine di pervenire a un accordo amichevole che prevenga o ponga fine alle liti [2]

Ciò sul presupposto che le statistiche ufficiali dimostrano incoraggianti percentuali di successo in presenza della comparizione della parte convocata [3]

Ne consegue, tali essendo le finalità del richiamo dell’art.116 c.p.c nel decr. lgsl. 28/10, che equivarrebbe a tradire l’intento del legislatore, svalutare la portata di tale norma considerandola una mera e quasi irrilevante appendice nel corredo dei mezzi probatori istituiti dall’ ordinamento giuridico.

Va considerato che nell’attuale situazione, affetta da una endemica ed apparentemente insuperabile crisi nei tempi di risposta alla domanda di giustizia, causata dalla imponente mole di cause iscritte nei tribunali e delle corti; e viste le sempre più gravi conseguenze sociali, economiche e di immagine anche internazionale, derivanti dal ritardo nella definizione dei processi, sia necessario rivalutare, senza forzature ma con fermezza, ciò che è previsto da una norma (l’art.116 cpc) tuttora vigente ma un pò desueta.

È necessario tuttavia fissare delle regole precise al riguardo.

Deve essere ben chiaro in primo luogo che giammai la mancata comparizione in sede di mediazione potrà costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica, che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto.

A favore o contro la parte non comparsa in mediazione.

Ed infatti lo strumento offerto dall’art. 116 c.p.c. attiene ai mezzi che il giudice valuta, nell’ambito delleprove libere (vale a dire dove si esplica il principio del libero convincimento del giudice precluso in presenza di prova legale ) ai fini dell’accertamento del fatto.

L’argomento di prova appartiene all’ampio armamentario degli strumenti utilizzati dal giudice in un ambito in cui non opera la prova diretta, vale a dire quella dove si ha a disposizione un fatto dal quale si può fondare direttamente il convincimento.

Nel processo di inferenza dal fatto al convincimento l’argomento di prova ha la stessa potenzialità probatoria indiretta degli indizi.

E come le presunzioni semplici ha come stella polare il criterio della prudenza (art. 2729 c.c.) che deve illuminarne l’utilizzo da parte del giudice.

Ciò detto si ritiene di poter affermare che la mancata comparizione della parte regolarmente convocata, come nel caso in esame, davanti al mediatore costituisce di regola elemento integrativo e non decisivo a favore della parte chiamante, per l’accertamento e la prova di fatti a carico della parte chiamata non comparsa.

Con ciò non si intende svalorizzare quella giurisprudenza della Suprema Corte che ha ritenuto che l’effetto previsto dall’art. 116 c.p.c. Può – secondo le circostanze – anche costituire unica e sufficiente fonte di prova (Cassazione civile, sez. III, 16/07/2002, n. 10268, che così si esprime: Quanto a questa ultima norma –art. 116 c.p.c. n.d.r.- in particolare, essa attribuisce certo al giudice il potere di trarre argomento di prova dal comportamento processuale delle parti – e però, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ciò non significa solo che il comportamento processuale della parte può orientare la valutazione del risultato di altri procedimenti probatori, ma anche che esso può da solo somministrare la prova dei fatti, Cass. 6 luglio 1998 n. 6568; 1 aprile 1995 n. 3822; 5 gennaio 1995 n. 193; 14 settembre 1993 n. 9514; 13 luglio 1991 n. 7800; 25 giugno 1985 n. 3800).

Ritiene infatti il giudice che secondo le circostanze del caso concreto gli argomenti di prova che possono essere desunti dalla mancata comparizione della parte chiamata in mediazione ed a carico della stessa nella causa alla quale la mediazione, obbligatoria o demandata, pertiene, possano costituire integrazione di prove già acquisite, ovvero anche unica e sufficiente fonte di prova.

Alla luce di quanto precede, si ritiene che la radicale evidente assenza di un giustificato motivo alla mancata partecipazione della scuola e dell’assicurazione convenuta alla mediazione demandata dal giudice, in forza del combinato disposto degli artt. 8 co.IV° bis del decr. lgsl. 28/2010 e art. 116 c.p.c.,concorra alla valutazione del materiale probatorio raccolto nel senso di ritenere raggiunta la piena prova della infondatezza della resistenza ad oltranza dell’assicurazione (ed invero sono provate al di là di ogni ragionevole dubbio, anche mediate il deferito interpello, la sussistenza del rapporto contrattuale, l’affidamento della bambina alla vigilanza ed attenzione del personale della scuola, la circostanza che la minore cadeva mentre si trovava sullo scivolo all’interno della scuola, che le lesioni riportate sono la conseguenza di tale caduta)

-5- Le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla mancata ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione

La sanzione del pagamento a favore dell’erario di una somma pari al contributo unificato.

Non avendo partecipato, ingiustificatamente, l’assicurazione al procedimento di mediazione al quale era stata convocata la stessa va condannata al versamento all’Erario della somma di €.550,00, a quanto cioè ammonta il contributo unificato dovuto per il giudizio.

La cancelleria provvederà alla riscossione.

-6- I danni riportati e la quantificazione.

L’evento dannoso è accaduto in data 9.9.2008 quando …… aveva cinque anni.

E’ importante indicare la data del fatto in quanto dal marzo 2001 (l.5.3.2001 n.57) è in vigore il sistema del punto legale al quale il giudice in virtù della legge 12.12.2002 n.273 puo’ derogare in aumento solo nella misura di un quinto.

Più specificamente la legge (oggi decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 Codice delle assicurazioni private, art.139) prevede che il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, è effettuato secondo i criteri e le misure seguenti: a titolo di danno biologico permanente, è liquidato per i postumi da lesioni pari o inferiori al nove per cento un importo crescente in misura più che proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità; tale importo è calcolato in base all’applicazione a ciascun punto percentuale di invalidità del relativo coefficiente secondo la correlazione esposta nel comma 6. L’importo così determinato si riduce con il crescere dell’età del soggetto in ragione dello zero virgola cinque per cento per ogni anno di età a partire dall’undicesimo anno di età. Il valore del primo punto è pari ad euro seicentosettantaquattro virgola settantotto; a titolo di danno biologico temporaneo, è liquidato un importo di euro trentanove virgola trentasette per ogni giorno di inabilità assoluta; in caso di inabilità temporanea inferiore al cento per cento, la liquidazione avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno.

Come detto, la legge prevede che l’ammontare del danno biologico (temporaneo e permanente)liquidato ai fini può essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.

Ne consegue che per quanto riguarda il danno biologico permanente da 1 a 9 punti ed il danno biologico temporaneo vanno applicate, de plano, le norme suindicate e le relative tabelle applicative (derivanti dai decreti ministeriali di periodico aggiornamento).

Per quanto invece concerne:

  1. il danno biologico (temporaneo e permanente) relativo ad aree diverse da quella dei danni derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti ed
  2. il danno biologico permanente derivante da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti per il quale i postumi delle lesioni sono superiori al nove per cento,

il sistema seguito per la valutazione del danno biologico può muovere (il corsivo sta a significare che non si tratta di un’applicazione standardizzata ed automatica) dal valore di punto che rappresenta il criterio più ampiamente diffuso nell’ambito dei tribunali.

Invero l’applicazione delle tabelle di punto ha il vantaggio di attenuare la possibilità di trattamenti diversi per situazioni analoghe (come pure quello di consentire alle parti di addivenire più agevolmente a soluzioni transattive extragiudiziali).

Tutto ciò però non può assolutamente offuscare la doverosità da parte del giudice (correlativa alla legittima aspettativa della parte) che sia valutata specificamente la situazione sottopostagli valendo in tale contesto le tabelle quale utile parametro di base.

Il Giudice, ritiene applicabili alla fattispecie, che attiene a fattispecie sub 1 che precede, le tabelle elaborate dal tribunale di Roma, sia per la inabilità temporanea che per quella permanente.

Le tabelle romane e quelle milanesi.

Roma risarcisce in modo maggiore rispetto a Milano la invalidità temporanea.

Per la invalidità permanente va considerato che Roma ha tre voci, quella base che non contiene le voci del c.d. danno morale e di quello esistenziale e due voci ulteriori, una minima ed una massima, personalizzate in relazione a tali aspetti di danno, mentre Milano ha solo due voci, minima e massima, entrambe con tali contenuti.

Occorre tenere fermo che sulla base dell’orientamento consolidatosi a seguito di Cass. S.U. n. 2 6972/08, poiché il danno biologico ha natura non patrimoniale, e dal momento che il danno non patrimoniale ha natura unitaria, il risarcimento del danno biologico è liquidato anch’esso in modo unitario, in una somma omnicomprensiva, posto che le varie voci di danno non patrimoniale elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza (danno estetico, danno esistenziale, danno alla vita di relazione, ecc.) non costituiscono pregiudizi autonomamente risarcibili, ma possono venire in considerazione solo in sede di adeguamento del risarcimento al caso specifico, e sempre che il danneggiato abbia allegato e dimostrato che il danno biologico o morale presenti aspetti molteplici e riflessi ulteriori rispetto a quelli tipici (Cass. n. 24864/10; 4484/10; 25236/09).

Nelle note esplicative delle tabelle romane è condivisibilmente previsto fra l’altro….Per la valutazione equitativa nel caso di effettiva prova (ivi compresa la presunzione nell’ambito del diritto civile) del danno secondo i parametri della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 26792/2008 (il ristoro di tale danno, infatti, compete a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato potendo in questo caso essere oggetto di risarcimento qualsiasi danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall’ordinamento, indipendentemente da una sua rilevanza costituzionale; b) quando sia la legge stessa a prevedere espressamente il ristoro del danno limitatamente si soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto; c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale e non predeterminati dovendo, volta a volta essere allegati dalla parte e valutati caso per caso dal giudice (cfr ad es. Cass. sez. III, 25 settembre 2009 n. 20684), si ritiene necessario prendere in considerazione, per il concreto esercizio del relativo potere, un criterio che utilizzi, al fine di individuazione della somma adeguata a quanto provato, un importo percentuale di quanto liquidato a titolo di danno biologico in misura ordinariamente non eccedente il 60%, tenuto conto che nelle tabelle del danno biologico elaborate dal Tribunale non era compresa alcuna quota relativa al cd danno non patrimoniale soggettivo.

Il Giudice, nella presente fattispecie, dà atto che il fatto in sé costituisce reato di lesioni colpose, e che non v’ha dubbio alcuno che debba essere riconosciuto a prescindere dall’esistenza o meno di querela la voce di danno non patrimoniale relativa alla sofferenza ed al patimento che ne sono derivati (descrittivamente danno morale) con applicazione, per la quantificazione, dei criteri, scaglioni e range elaborati a tale proposito dal tribunale romano.

Ne consegue che, fissata al 16% la giusta percentuale di invalidità permanente, con la adeguata personalizzazione del danno che si è stabilita, non risultano aspetti pregiudizievoli non risarciti.

Esaminata e condivisa la relazione peritale d’ufficio, immune da errori o vizi logico-tecnico-giuridici, in assenza di valide e specifiche contestazioni mosse alla relazione dai consulenti e avvocati delle parti, va dato atto e ritenuto che ……ha subito a seguito dell’evento i seguenti danni ed esborsi:

  1. invalidità permanente 16 %
  2. invalidità temporanea 100 % di gg.60
  3. invalidità temporanea 50% di gg.30

(il giudice non condivide l’indicazione di 90 gg. di temporanea assoluta tout court del CTU e la riformula sulla base della sua veste di peritus peritorum)

  1. spese medico-sanitarie

L’ammontare del risarcimento viene pertanto così determinata:

  1. invalidità permanente: €. 41.100
  2. invalidità temporanea: €.8.080
  3. spese medico sanitarie: €.1.095

Le somme che precedono sub a e b sono la risultanza della rivalutazione alla data della decisione (secondo le tabelle aggiornate): ed invero solo attraverso il meccanismo della rivalutazione monetaria è possibile rendere effettivo il principio secondo cui il patrimonio del creditore danneggiato deve essere ricostituito per intero (quanto meno per equivalente); essendo evidente che, pur nell’ambito del vigente principio nominalistico, altro è un determinato importo di denaro disponibile oggi ed altro è il medesimo importo disponibile in un tempo passato).

Inoltre è giusto riconoscere ed aggiungere a tali somme un ulteriore danno consistente nel mancato godimento da parte del danneggiato dell’equivalente monetario del bene perduto per tutto il tempo decorrente fra il fatto e la sua liquidazione. Ed invero devesi a tale fine fare applicazione delle presunzioni semplici in virtù delle quali non si può obliterare che ove il danneggiato fosse stato in possesso delle somme predette le avrebbe verosimilmente impiegate secondo i modi e le forme tipiche del piccolo risparmiatore in parte investendole nelle forme d’uso di tale categoria economica (ad esempio in azioni ed obbligazioni, in fondi, in titoli di Stato o di altro genere) ricavandone i relativi guadagni. Con tali comportamenti oltre a porre il denaro al riparo dalla svalutazione vi sarebbe stato un guadagno (che è invece mancato) che pertanto è giusto e doveroso risarcire, in via equitativa, con la attribuzione degli interessi legali.

Il calcolo di tali interessi viene effettuato in virtù della sentenza del 17.2.1995 n.1712 della Suprema Corte procedendo prima alla devalutazione delle somme alla data del fatto (per la I.P. alla data del consolidamento degli esiti delle lesioni), importi che erano stati rivalutati alla data della sentenza; e successivamente calcolando sugli importi rivalutati anno per anno i relativi interessi legali ai tassi stabiliti per legge anno per anno, senza alcuna capitalizzazione.

In definitiva quindi agli attori n.q. spetta complessivamente la somma di €.55.900 = oltre interessi legali fino al saldo al cui pagamento i convenuti vanno in solido condannati.

Le spese (che vengono regolate secondo le previsioni della l.24.3.2012 n.27 e del D.M. Ministero Giustizia 10.3.2014 n.55) vengono liquidate, come in dispositivo, e compensate per un terzo atteso lo spropositato quantum richiesto con la domanda introduttiva.

La sentenza è per legge esecutiva.-

P.Q.M.

definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:

  1. CONDANNA  la “Scuola” in persona del suo legale rappresentante pro tempore al risarcimento dei danni che determina in favore di …. come rappresentata nella complessiva somma di €.55.900,00= oltre agli interessi legali dalla data della sentenza al saldo;
  2. CONDANNA  la “Scuola” in persona del suo legale rappresentante pro tempore, compensate per un terzo le spese di causa, al pagamento dei restanti due terzi che liquida in favore di …… ut sopra in complessivi €.2.400,00 per compensi oltre €.600,00 per spese, oltre IVA, CAP e spese generali; spese di CTU a carico definitivo della convenuta;
  3. CONDANNA la “Assicurazione” a manlevare la “Scuola” relativamente al n.1 che precede;
  4. CONDANNA la “Scuola” in persona del suo legale rappresentante pro tempore al pagamento in favore dell’Erario della somma di €.550,00 pari al contributo unificato dovuto per il giudizio e manda alla cancelleria per la riscossione;
  5. SENTENZA-

 

Roma lì 26.3.2015                                                                             Il Giudice

 

                                                                                             dott.Massimo Moriconi

 

[1] Ord. 20.2.2014: Ritenuto di nulla aggiungere all’ordinanza ammissiva dei mezzi di prova di cui all’udienza del 21.11.2012, essendo sufficiente il materiale in atti;

considerato che in relazione agli atti, all’istruttoria fin qui espletata ed ai provvedimenti del Giudice, le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo, con il vantaggio di una sollecita risoluzione del conflitto e con utili ricadute anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28) ;

ammessi i documenti prodotti dalle parti; ed esclusa allo stato ogni prova orale;

ritenuto che si procede ai sensi del secondo comma di cui all’art.5 decr.legisl.28/2010;

ritenuto che si fissa termine fino al 30.3.2014 per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del decreto;

P.Q.M.

  • NON ammette ulteriori mezzi di prova;
  • DISPONE, a cura delle parti, la mediazione della controversia;
  • INVITA i difensori delle parti ad informare i loro assistiti della presente ordinanza nei termini di cui all’art.4, co.3° co.decr.lgsl.28/2010;
  • INFORMA le parti che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art.5, co.2° e che ai sensi dell’art.8 dec.lgs.28/10 la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione comporta le conseguenze previste dalla norma stessa;
  • FISSA termine fino al 30.3.2014 per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del dec.lgs.28/10;
  • RINVIA all’udienza del 13.11.2014 h.9,30 per quanto di ragione.-

Roma lì 17.2.2014                                                                                Il Giudice

                                                                                         dott.cons.Massimo Moriconi

 

[2] Art.8 co. 4-bis decr.lgsl.28/10 seconda parte: Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per giudizio.

[3] Posto il 57,3% di aderente non comparso ed il 10,3% di proponente rinunciante prima dell’esito, del restante 32,4% di aderente comparso il 42,4 % costituisce la percentuale di accordi raggiunti (statistiche 1.1.2013-31.12.2013 Ministero Giustizia http://webstat.giustizia.it/AreaPubblica/Analisi%20e%20ricerche/Mediazione%20civile%20al%2031%20dicembre%202013.pdf)

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