Mediazione-civile-d.lgs-28-2010

Mediazione: un primo bilancio

Riportiamo i dati, riferiti al periodo che va da marzo 2011 (entrata in vigore dell’obbligatorietà del tentativo di mediazione nelle materie di cui all’art. 5 D.lgs n.28 del 2010) a maggio 2012, forniti dalla Direzione generale di statistica del Ministero della Giustizia.
Dal 21 marzo 2011 a tutto il mese di maggio 2012, le istanze di mediazione presentate presso gli organismi accreditati sono state 125.561. I procedimenti conclusi con la conciliazione delle parti sono stati circa 14.000. I procedimenti in cui vi è stata l’adesione della parte chiamata in mediazione ammontano al 35% del totale.
Un primo punto fermo va innanzitutto rilevato: nei procedimenti in cui la parte invitata decide di partecipare al tentativo, la percentuale di successo raggiunge il 50% (con un tasso di successo che sale, ed in maniera consistente, con riferimento alle liti di piccolo valore: si pensi che per quanto concerne le controversie fino a mille euro la percentuale raggiunge il 64,6%).
Il tutto, dinanzi ad organismi di mediazione che hanno raggiunto quota 813, anche se tale dato è riferito alla fine di marzo 2012.
Di rilevante interesse appare anche la suddivisione per materia delle istanze di mediazione presentate nel periodo gennaio – maggio 2012:

risarcimento danni da circolazione di veicoli e di natanti 11.915
altra natura della controversia 10.346
diritti reali 9.522
locazione 7.235
contratti bancari 5.320
contratti assicurativi 4.472
responsabilità medica 4.056
divisione 2.843
condominio 2.694
successioni ereditarie 2.453
contratti finanziari 1.458
comodato 963
diffamazione a mezzo stampa 728
affitto di aziende 644
patti di famiglia 102

Dalle cifre sopra riportate sembrano potersi trarre alcune prime considerazioni.
Innanzitutto, pur vigendo l’obbligatorietà del tentativo di mediazione soltanto dal 21 marzo 2012, la materia del risarcimento dei danni cagionati dalla circolazione dei veicoli è già balzata al primo posto della classifica, come del resto non risultava arduo prevedere, dal momento che in detto ambito sono circa 300.000 le nuove cause introdotte ogni anno.
Indubbiamente nella mediazione così come introdotta in Italia non mancano gli aspetti ”perfettibili”: al di là delle questioni pendenti dinanzi la Corte Costituzionale, la stessa Commissione Europea, nelle osservazioni rese alla Corte di Giustizia che dovrà pronunciarsi sulla compatibilità del D.lgs n. 28 del 2010 con le norme del diritto comunitario, non ha mancato di porre l’accento sulle problematiche rappresentate dal fatto che il mediatore possa (e a volte debba) formulare una proposta conciliativa che le parti potrebbero essere indotte ad accettare onde evitare conseguenze economiche sfavorevoli e, inoltre, dalla previsione di sanzioni, in sede processuale, a carico della parte vincitrice che non abbia aderito ad una ipotesi di accordo poi integralmente riprodotta dal provvedimento giurisdizionale.
Orbene, anche a voler prescindere per il momento dalle considerazioni che precedono, due sono gli aspetti sui quali sembra più urgente soffermarsi sulla base dei dati menzionati, l’uno di carattere per così dire statistico, l’altro attinente agli aspetti ”culturali” della mediazione.
Sotto il primo profilo, si è già avuto modo di rilevare come risultino ampiamente positivi i riscontri relativi ai casi in cui la parte chiamata in mediazione aderisca al procedimento: appare evidente l’opportunità di introdurre nuovi e più efficaci incentivi a tal fine.
Ma evidentemente il problema prioritario sembra quello rappresentato dai tempi, verosimilmente non brevi, necessari a quell’approdo di carattere culturale che la mediazione certamente rappresenta. La difficoltà del transito da una logica di contrapposizione ad un approccio ”compositivo” del conflitto non è un aspetto da sottovalutare: basti pensare alla diffusa ostilità di una rilevante parte dell’avvocatura nei confronti dell’obbligatorietà della mediazione.
In ogni caso, una nuova strada sembra ormai intrapresa: se è vero, infatti, che le iscrizioni a ruolo di processi ordinari di cognizione sono diminuite dal 2010 al 2011 in misura pari all’8,5% (e le cause pendenti del 3%) anche per altre cause, come le riforme di natura processuale e l’aumento del contributo unificato, certamente in questo trend il ruolo giocato dall’obbligatorietà della mediazione non può essere sottovalutato.

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Proseguono le misure volte ad incentivare il ricorso alla mediazione

Una interessante novità in tema di incentivi alla mediazione risulta contenuta nel decreto legge n. 83 del 2012 (Misure urgenti per la crescita), pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 giugno 2012.
L’art. 54 del decreto, infatti, modifica l’art. 2 della legge n. 89 del 2001 (legge Pinto), aggiungendo il comma 2−quinques, con il quale si prevedono le ipotesi in cui non è riconosciuto l’indennizzo, anche laddove il processo non abbia avuto una durata ragionevole. Tra le ipotesi in parola, risalta in modo particolare il caso di cui all’art. 13, co. 1, del D.lgs n. 28 del 2010, nel quale, come è noto, si dispone che ove il provvedimento che definisce il giudizio, introdotto a seguito dell’esito negativo del tentativo di mediazione, corrisponda in toto alla proposta conciliativa, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte risultata vittoriosa, che abbia rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente nel medesimo periodo, nonché al versamento di una ulteriore somma, a favore dell’entrata del bilancio dello Stato, di importo corrispondente al contributo unificato dovuto.
L’inclusione dell’ipotesi in esame tra le cause di esclusione dell’indennizzo ordinariamente previsto per le ”lungaggini” processuali appare, evidentemente, ispirata alla finalità di incentivare ulteriormente l’utilizzo effettivo della mediazione, scopo del resto già perseguito da altre norme oggi vigenti, primo tra tutti l’art. 8 del D.lgs n. 28 del 2010, che colpisce chi non abbia partecipato, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione, e si sia poi costituito nel successivo giudizio, mediante la condanna, da parte del giudice, al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per il giudizio.
In sostanza, dunque, alla luce della modifica da ultimo apportata, chi dovesse risultare vittorioso in giudizio in virtù di un provvedimento integralmente corrispondente ad una proposta conciliativa cui abbia ritenuto di non aderire, non solo si vedrebbe (senz’altro) condannato a pagare le spese processuali, proprie e della parte soccombente, riferibili al periodo successivo alla formulazione della proposta e a versare una ulteriore somma di importo equivalente al contributo unificato dovuto per il giudizio, ma, qualora il processo abbia avuto una durata ”non ragionevole” (vale a dire superiore ai sei anni complessivi per i tre gradi), perderebbe altresì il diritto all’indennizzo altrimenti previsto dalla legge n. 89 del 2001.
L’indennizzo, invece, può essere richiesto qualora il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponda integralmente al contenuto della proposta conciliativa. In tale ipotesi, di cui all’art. 13, co. 2, del D.lgs n. 28 del 2010, il giudice può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vittoriosa per l’indennità corrisposta al mediatore e per le altre spese di mediazione, ma unicamente qualora ricorrano gravi ed eccezionali ragioni.
Non resta che attendere la conversione del decreto legge, anche se non appaiono molto probabili emendamenti sul punto, proprio per la esplicita finalità della disposizione in esame.