Condominio sanzionato per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione: Tribunale di Roma, Sez. V, sentenza 4 gennaio 2025, n. 172
Nella controversia in esame, un gruppo di proprietari di unità immobiliari facenti parte di un Condominio cita quest'ultimo in giudizio, impugnando le delibere rese dall’assemblea in seconda convocazione, avendo individuato diversi profili di invalidità delle stesse, tanto sotto l’aspetto formale che sotto quello sostanziale.
Si precisa che nella fattispecie il tentativo di mediazione ante causam, costituente condizione di procedibilità della domanda giudiziale ratione materiae e ritualmente proposto dagli attori, si era concluso con esito negativo a causa della mancata partecipazione al procedimento del Condominio chiamato.
Per quanto concerne gli accennati profili di invalidità di cui all’impugnazione, rilievo assorbente assume il vizio di omessa convocazione di una condomina (unica titolare di un effettivo interesse ad impugnare, dovendo trovare applicazione l'art. 1441 c.c., secondo il quale l'annullamento può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge). Come è noto, l’art. 66, co. 3, disp. att. c.c., prevede che “L'avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione o, se prevista in modalità di videoconferenza, della piattaforma elettronica sulla quale si terrà la riunione e dell'ora della stessa. In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell'articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati”.
In sostanza, dunque, ciascun condomino ha diritto di intervenire nella riunione condominiale e, pertanto, deve essere messo in condizione di partecipare ricevendo l'avviso di convocazione in tempo utile e con modalità idonee ad assicurargli la conoscibilità dell''assemblea nonché degli argomenti in discussione. L'assemblea, infatti, come previsto dall'art. 1136, co. 6, c.c., non può deliberare se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati. Ne deriva che se uno dei condomini non riceve l'avviso di convocazione l'assemblea è invalida.
Qualora il condomino denunci la mancata convocazione, naturalmente incomberà sul Condominio convenuto l'onere di provare di aver convocato nei termini di legge il condomino, non potendo gravare in capo a quest'ultimo l'onere di una dimostrazione negativa, quella, per l’appunto, di non aver ricevuto la convocazione. Nel caso di specie, non avendo il Condominio offerto la prova di aver ritualmente convocato la condomina in parola, il Tribunale ha statuito l’annullamento della delibera.
Peraltro, primo punto di particolare interesse della pronuncia in esame, il Giudice sottolinea come “…la sentenza di annullamento, resa a contraddittorio integro tra coloro che abbiano promosso l'impugnativa della delibera, produce i suoi effetti nei confronti di tutti i condòmini e non può intendersi ristretta all'accertamento della validità del rapporto parziale che lega i singoli attori al condominio, in coerenza col disposto dell'articolo 1137, co. 1, c.c. che dispone che le deliberazioni prese dall'assemblea sono obbligatorie per tutti i condòmini”.
Con la conseguenza che, non potendosi affermare che la delibera annullata risulti rimossa solo per l'impugnante e rimanga invece vincolante per tutti gli altri comproprietari, nella specie, l'annullamento della delibera non può che avere effetti anche nei confronti degli altri condomini impugnanti. Con l’ulteriore logica conseguenza che il “…motivo esaminato assorbe ogni ulteriore profilo e vizio formale e sostanziale denunciato posto che la mancata partecipazione dell'attrice (…) alla riunione del 10.11.2022 ha determinato l'annullamento dell'intero deliberato impugnato”, come peraltro già affermato dalle SS.UU. della Corte di Cassazione (Sent. n. 9839/2021), secondo cui non è possibile “che una deliberazione assembleare valida ed efficace vincoli alcuni condomini e non altri, essendo invece obbligatoria per tutti; così va escluso che la deliberazione assembleare possa essere giudizialmente annullata con effetto limitato al solo impugnante e rimanga invece vincolante per gli altri partecipanti. La natura di ente collettivo del condomino, gestore di beni e di servizi comuni, esige che le deliberazioni assembleari debbano valere o non valere per tutti”.
Passando ora ad affrontare i profili che nella presente sede più da vicino interessano, va rilevato come il Tribunale non abbia ritenuto sussistenti i presupposti per la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. dovendosi nel caso di specie escludere la configurabilità “…di un abuso dello strumento processuale sanzionabile con la condanna invocata non essendo stata in alcun modo provata la dedotta temerarietà della lite posta a fondamento della domanda di risarcimento del danno ex art. 96 co. 3 c.p.c.”. Ben diverso l’approdo per quanto concerne la richiesta di condanna ai sensi dell’art. 8, co. 4 – bis, D.lgs. 28/2010 (disposizione ratione temporis applicabile al caso di specie). Secondo il Tribunale, infatti, deve essere censurato il comportamento tenuto dal Condominio convenuto il quale, dopo aver chiesto, nella persona dell'amministratore p.t., il differimento del primo incontro di mediazione, non ha partecipato al procedimento senza alcun “giustificato motivo impeditivo”, con conseguente esito negativo dello stesso. Di qui la condanna nei confronti del Condominio al versamento in favore dell’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio ai sensi del predetto art. 8, co. 4 – bis, D.lgs 28/2010. D’altra parte, il medesimo Tribunale di Roma (cfr. sent. 26 luglio 2023, n. 11746) aveva già ritenuto censurabile – e pertanto sanzionabile – il comportamento del Condomino che diserta la mediazione senza giustificati motivi impeditivi aventi “…i caratteri della assolutezza e della non temporaneità”, limitandosi a comunicare, per il tramite dell’Amministratore, la propria decisione di non partecipare al procedimento.
Ed in precedenza (cfr. Tribunale di Termini Imerese, sent. 7 aprile 2023, n. 412), si era giunti ad affermare che la mancata partecipazione senza giustificato motivo alla mediazione costituisce un “comportamento doloso, in quanto idoneo a determinare l’introduzione di una procedura giudiziale – evitabile – in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi, tanto da comportare la condanna al versamento di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio”.
Ora, in termini più generali. Se già in forza dell’assetto consolidatosi in conseguenza della conversione del c.d. “decreto del fare”, si prefiguravano conseguenze rilevanti con riferimento all’ipotesi di mancata partecipazione al procedimento di mediazione ritenuta in sede giudiziale priva di giustificato motivo, con l’entrata in vigore, in data 28 febbraio 2023, della prima “tranche” della riforma c.d. Cartabia (D.lgs 149/2022), il quadro normativo, come è noto, è venuto profondamente a mutare, tanto che la mancata partecipazione al procedimento di mediazione può implicare ricadute ben più onerose per la parte assente ingiustificata.
L’attuale art. 12 – bis, D.lgs 28/2010, infatti, prevede che “1. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al primo incontro del procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. 2. Quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità, il giudice condanna la parte costituita che non ha partecipato al primo incontro senza giustificato motivo al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio. 3. Nei casi di cui al comma 2, con il provvedimento che definisce il giudizio, il giudice, se richiesto, può altresì condannare la parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione. 4. Quando provvede ai sensi del comma 2, il giudice trasmette copia del provvedimento adottato nei confronti di una delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, al pubblico ministero presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti, e copia del provvedimento adottato nei confronti di uno dei soggetti vigilati all'autorità di vigilanza competente”.
La situazione, come è agevole rilevare, è dunque radicalmente mutata, in particolare con riferimento alle sanzioni irrogabili dal giudice ed all’entità delle stesse.
Innanzitutto, la mancata partecipazione al procedimento di mediazione che sia ritenuta priva di giustificato motivo può indurre il giudice a desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, co. 2, c.p.c. Si noti, data la portata generale del tenore del primo comma del predetto art. 12 – bis, che tale conseguenza potrà ben derivare anche dalla mancata partecipazione ad un procedimento avviato volontariamente.
Con riferimento specifico alle ipotesi in cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale (ratione materiae ovvero in quanto delegata dal giudice ai sensi dell’art. 5 –quater, D.lgs 28/2010 o ancora in quanto prevista come step necessario da una clausola contrattuale), il legislatore ha aggravato le conseguenze della mancata partecipazione, raddoppiando l’entità della sanzione (doppio del valore del contributo unificato dovuto per il giudizio); va rilevata la chiarezza del dato testuale, secondo cui – laddove l’assenza in mediazione sia ritenuta non giustificata – il giudice “condanna la parte costituita”: il giudice non è dunque facoltizzato ad irrogare la sanzione, dovrà senz’altro irrogarla laddove, per l’appunto, ritenga la mancata partecipazione priva di giustificato motivo.
Detta sanzione prescinde totalmente dalla soccombenza nel successivo giudizio, atteso che, in attuazione del principio di causalità, mira a sanzionare la parte che, sottraendosi alla procedura stragiudiziale, provoca il giudizio: di conseguenza ben potrà essere irrogata fin dalla prima udienza.
Dovrà quindi considerarsi ingiustificata la mancata partecipazione di chi non motivi affatto tale proprio comportamento omissivo, mentre dovranno valutarsi caso per caso, da parte del giudice, le eventuali motivazioni addotte a giustificazione dell’assenza in mediazione.
Secondo una ormai consolidata giurisprudenza, peraltro, la parte non può limitarsi ad opporre quale giustificato motivo della mancata partecipazione alla mediazione, l’asserzione aprioristica che la propria posizione sia fondata rispetto alle tesi della controparte, poiché ammettendo ciò sussisterebbe sempre e comunque in capo a chiunque un giustificato motivo per non comparire, come affermato dal Tribunale di Roma fin dal lontano 2014 (sent. 29 maggio 2014, sez. XIII civ.), laddove si sottolinea come non possa in alcun modo affermarsi “…che ogni qualvolta la controparte ritenga erronea la tesi della parte che l’ha convocata in mediazione (come in questo caso), e pertanto inutile la sua partecipazione all’esperimento di mediazione, essa sia validamente dispensata dal comparirvi. L’esponente non si avvede nell’aporia in cui incorre posto che così ragionando sussisterebbe sempre in ogni causa un giustificato motivo di non comparizione, se è vero com’è vero che se la controparte condividesse la tesi del suo avversario la lite non potrebbe neppure insorgere e se insorta verrebbe subito meno”. E ancora, più recentemente, Corte d’Appello di Genova, sent. n. 652/2020, in cui, in tema di giustificazioni adeguate in relazione alla mancata partecipazione al procedimento di mediazione, si afferma come debba “…al riguardo ritenersi priva di rilevanza la valutazione prognostica, formulata dalla convenuta, circa l’inutilità della procedura per l’impossibilità di raggiungere la conciliazione”.
Nel concludere queste note, alcune brevi considerazioni con riferimento specifico alla materia condominiale. Come ben noto, con l’entrata in vigore dell’art. 5 – ter D.lgs 28/2010 l’amministratore non è più condizionato nella partecipazione al procedimento di mediazione dal previo ottenimento di una delibera autorizzativa, ma potrà attivare, aderire e partecipare alla mediazione essendovi legittimato ex lege.
Naturalmente, se è vero che l’amministratore “è legittimato” a partecipare al procedimento senza delibera autorizzativa, ben potrà comunque optare, come la prassi in molti casi dimostra, qualora lo ritenga opportuno, per la convocazione del consesso condominiale, al fine di munirsi in ogni caso di delibera autorizzativa. D’altra parte, l’art. 66, co. 1, disp. att. c.c. prevede che “L'assemblea, oltre che annualmente in via ordinaria per le deliberazioni indicate dall'art. 1135 del codice, può essere convocata in via straordinaria dall'amministratore quando questi lo ritiene necessario o quando ne è fatta richiesta da almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell'edificio. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, i detti condomini possono provvedere direttamente alla convocazione”.
Si pensi all’ipotesi di Condominio chiamato in mediazione: elementari ragioni di prudenza e di buon senso consigliano all’amministratore avveduto di dare notizia tempestivamente ai condomini della convocazione, anche e soprattutto in considerazione dei costi e, per l’appunto, delle possibili conseguenze processuali di una eventuale mancata partecipazione. Insomma. Considerando i vantaggi intrinseci della mediazione, in termini di tempi e di costi, e soprattutto il fatto che essa rappresenta un’opportunità sostanzialmente unica, quella cioè di cercare personalmente una soluzione negoziata al proprio problema prima di ricorrere all’autorità dello Stato, considerando altresì l’ampliamento delle materie in cui detta fase si pone come condizione di procedibilità della domanda giudiziale e considerando infine le conseguenze assai onerose che, con la normativa vigente, possono derivare per la parte assente ingiustificata, ebbene la scelta aprioristica di ignorare l’invito in mediazione, eliminando in radice una qualsivoglia ipotesi di risoluzione conciliativa della controversia, non appare affatto un modus operandi conveniente e condivisibile.
Sono ripresi i lavori alla Camera sul testo del disegno di legge sulla riforma del condominio (ddl c. 4041). Il progetto di legge, dopo il passaggio alla Camera, è destinato a tornare in seconda lettura a Palazzo Madama, dove verrà, verosimilmente, approvato in maniera definitiva.
Per quanto concerne in particolare la mediazione, nel testo attualmente all’esame dei deputati è prevista l’aggiunta, alle disposizioni per l’attuazione del codice civile, dell’art. 74 quater, secondo il quale:
"Per controversie in materia di condominio, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n.28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro terzo, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice civile.
La domanda di mediazione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato.
Al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice.
Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione.
La proposta di mediazione deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata.
Il mediatore fissa il termine per la proposta di conciliazione di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, tenendo conto della necessità per l’amministratore di munirsi della delibera assembleare”.
Tra gli ulteriori emendamenti apportati al testo della riforma del condominio va segnalata l’aggiunta del sottotetto alle parti comuni, quando presenta caratteristiche strutturali e funzionali all’uso comune dei i condomini. Sempre riguardo le parti comuni condominiali sembrerebbe soppressa la disposizione sulle maggioranze da rispettare per disporre le modifiche alle destinazioni di uso, anche se rimane nel testo la possibilità di diffida da parte di ogni singolo condomino nei confronti di altro condomino che muta la destinazione d’uso di una parte comune.
Per la suddivisione delle parti comuni occorre l’unanimità dell’assemblea di condominio.
Sulla possibilità di installare telecamere e dispositivi per la videosorveglianza, installate nelle parti comuni, il testo della riforma prevede che si abbia la maggioranza stabilita dal secondo comma dell’art. 1136 del codice civile (“In prima convocazione quorum di 2/3 del valore e maggioranza per teste, e delibere approvate con la maggioranza degli intervenuti e almeno metà del valore dell’edificio. In seconda convocazione basta la maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio”). E sulle maggioranze, viene stabilito che per l’installazione di impianti alimentati a energie rinnovabili occorre quella stabilita sempre dall’art. 1136.
Peraltro viene prevista l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell’interessato. Il distacco dall’impianto centralizzato del condominio da parte di un singolo condomino è possibile, a patto che possa dimostrare che i problemi di riscaldamento derivano dall’impianto comune.
Chi subentra nella proprietà di un alloggio, diventa responsabile delle spese condominiali non sostenute dal precedente proprietario a partire dalla data del subentro. Sempre con la maggioranza prevista dall’art. 1136 c.c. è prevista la possibilità di pubblicare un sito internet del condominio, dal quale sia possibile scaricare i rendiconti, i verbali di assemblea e tutti i documenti di rilievo.
Nell’ambito degli alloggi di proprietà esclusiva, viene vietato l’apposizione di limiti alla destinazione d’uso. Collegato a questo emendamento è anche quello che vieta l’imposizione di non possedere animali da compagnia.
Presso l’ufficio competente dell’Agenzia del Territorio, viene istituito il Repertorio dei condomini e dei loro amministratori.
In sede di assemblea condominiale possono verificarsi fatti tali da configurare una fattispecie di reato.
Nel caso di specie, un architetto, rappresentante di condominio, lamentava di essere stato oggetto di ripetuti epiteti offensivi da parte di un condomino ("architetto del c…”, "mafioso”, "evasore fiscale”).
Costituitosi parte offesa in un procedimento, l’architetto riceveva soddisfazione, con conseguente condanna del condomino per il reato ci cui all’art. 594 c.p. (ingiuria). Il condomino ricorreva in Cassazione, sostenendo, oltre al fatto che il suo comportamento doveva ritenersi giustificato dallo stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, ai sensi dell’art. 599 c.p., principalmente che il Tribunale aveva giudicato sulla base della prova testimoniale della parte offesa.
La Corte di Cassazione (sent. 23 agosto 2012 n. 33221) ha però rigettato il ricorso, rilevando, in primo luogo, come lo stato d’ira, per rappresentare causa di giustificazione ai sensi dell’art. 599 c.p., debba essere indotto da un fatto ingiusto altrui, mentre nel caso di specie era il frutto di un comportamento gratuitamente astioso derivante dalla contrarietà del condomino condannato all’esecuzione di lavori condominiali in ordine all’esecuzione dei quali l’architetto aveva altresì preso posizione favorevole.
Ciò premesso, la Suprema Corte ha dichiarato la legittimità dell’utilizzo della dichiarazione della parte offesa quale prova di responsabilità, in quanto "…la persona offesa, anche costituita parte civile, partecipa al processo, di regola, in qualità di testimone e, in tale veste, è tenuta a prestare giuramento sicchè le sue dichiarazioni sono idonee ad essere valutate come elemento di prova anche a prescindere dalla ricerca e dalla sussistenza di elementi di riscontro”.