mediazione obbligatoria conciliazione

Tribunale di Firenze, sez. III civile, ordinanza 3 giugno 2015.

Commento:
Il Tribunale di Firenze ancora in prima linea nell’intento di garantire l’effettività della mediazione nel momento in cui la stessa si pone come condizione di procedibilità della domanda.
Con l’ordinanza in commento, in applicazione dell’art. 8, co. 4 – bis, D.lgs 28/2010, non soltanto il Giudice provvede alla condanna, nei confronti della Banca convenuta costituitasi in giudizio che aveva disertato senza giustificato motivo il procedimento di mediazione, al versamento a favore dell’erario di una somma di importo pari al contributo unificato dovuto per il giudizio, ma dispone altresì detta condanna direttamente nell’ordinanza con la quale conclude la prima udienza.
Traspare chiaramente l’intenzione di rafforzare l’effetto deterrente caratterizzante la sanzione in parola, anticipandola alla prima udienza invece di disporla, come di regola avviene – nei casi in cui venga effettivamente comminata – beninteso – in sede di pronuncia sulle spese all’interno della decisione finale della causa.
Come è noto, l’art. 8, co. 4 – bis, D.lgs 28/2010, prevede che “Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.
Appare evidente, nella disposizione sopra riportata, come l’irrogazione della sanzione pecuniaria prescinda del tutto dall’esito del giudizio, non potendosi, pertanto, ritenere la stessa necessariamente subordinata alla decisione del merito della controversia.
Il Tribunale di Firenze, di conseguenza, ritiene che la sanzione pecuniaria in questione ben può essere irrogata anche in corso di causa, vale a dire in un momento temporalmente antecedente rispetto alla pronuncia del provvedimento che definisce il giudizio.
Certamente, in tal modo, l’effetto deterrente insito nella previsione della sanzione in esame, risulta rafforzato, dal momento che la parte convenuta in giudizio, in precedenza chiamata in mediazione senza che circostanziati motivi ne giustificassero la mancata adesione, si trova, del tutto indipendentemente dagli esiti futuri del processo, tenuta a versare una somma pari al contributo unificato dovuto già all’esito dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.
Naturalmente, se una tale impostazione sembra “reggere” sulla base del dettato normativo, nel quale – giova ribadirlo – non è presente alcuna precisazione circa il tempus della condanna ivi prevista, il problema rimane quello inerente alla configurabilità di un “giustificato motivo”.
La discrezionalità del giudice, in effetti, non sembra trovare adeguati contrappesi in criteri oggettivi legislativamente determinati.
Si tratta di un problema che, a più riprese, si è posto fin dall’introduzione, da parte dell’art. 2, co. 35 – sexies, L. 148/2011, di un nuovo periodo all’allora art. 8, co. 5, D.lgs 28/2010 (poi trasformatosi, a seguito del c.d. “Decreto del fare”, convertito in L. 98/2013, nell’attuale art. 8, co. 4 – bis).
In sostanza, quindi, competerà al giudice la valutazione discrezionale di eventuali e comprovate motivazioni che siano tali da giustificare l’assenza della parte al procedimento di mediazione. Ciò in quanto, in assenza di tali motivi, il legislatore ha evidentemente ritenuto doversi presumere una volontà di pregiudicare, o comunque ostacolare, la potenziale positiva conclusione del tentativo di conciliazione, il che, nelle materie in cui la mediazione si pone come condizione di procedibilità – le uniche, peraltro, in cui la sanzione in oggetto possa trovare applicazione – significherebbe attenuare in partenza, ed in misura certamente rilevante, la portata deflattiva dell’istituto.
Insomma. Il “giustificato motivo” della non adesione dovrà essere valutato caso per caso, ma, necessariamente, con una certa severità insita nelle finalità deflattive proprie della mediazione, altrimenti troppo spesso svuotate di significato.
Rimane sempre, peraltro, la genericità e l’astrattezza della previsione legislativa.
Non si può certo dire che il legislatore abbia fornito al giudice un qualche strumento interpretativo, anche sotto forma di canone generale, tale da poterlo coadiuvare nel suo giudizio discrezionale, in relazione al quale i pericoli di eccessivo soggettivismo non sembrano certamente scongiurati.
Un’indagine intorno al concetto di “giustificato motivo” si presenta quanto mai ardua, soprattutto dopo la (opportuna) introduzione, da parte della riforma del 2013, di un criterio di competenza territoriale che rende impossibile la convocazione in mediazione del chiamato presso un Organismo territorialmente distante, costringendolo ad una trasferta i cui tempi ed i cui costi avrebbero, certamente, costituito giustificato motivo della mancata partecipazione.
Ma, superata l’ipotesi in esame dall’introduzione della competenza per territorio, non è dato riscontrare altri criteri predeterminati, risultando, dunque, l’identificazione dell’area del “giustificato motivo” interamente rimessa alla valutazione discrezionale del giudice.
Quel che è certo, e provvedimenti come quello in commento non fanno che ribadirlo,
la parte chiamata in mediazione non può pretendere di porre a sostegno della propria mancata partecipazione al procedimento, la circostanza di una asserita infondatezza delle ragioni avanzate dalla parte istante: ciò, evidentemente, vanificherebbe a monte ogni possibilità di introdurre un modello di mediazione fondato sul concetto di condizione di procedibilità della domanda.
Come evidenziato nella pronuncia che può considerarsi capostipite in ordine al punto in oggetto, Trib Roma, sez. XIII, 29 maggio 2014, “…così ragionando sussisterebbe sempre in ogni causa un giustificato motivo di non comparizione, se è vero com’è vero che se la controparte condividesse la tesi del suo avversario la lite non potrebbe neppure insorgere e se insorta verrebbe subito meno. La ragione d’essere della mediazione si fonda proprio sulla esistenza di un contrasto di opinioni, di vedute, di volontà, di intenti, di interpretazioni etc., che il mediatore esperto tenta di sciogliere favorendo l’avvicinamento delle posizioni delle parti fino al raggiungimento di un accordo amichevole”.

Testo integrale:

Verbale di prima udienza n. cronol. XXX/2015 del 03/06/2015
RG n. XXX/2015
TRIBUNALE ORDINARIO DI FIRENZE
Terza sezione CIVILE
Verbale della causa n.r.g. XXX/2015
tra
XXXXXXXX Attrice
e
Banco XXXXXXXX Convenuta

Oggi 3 giugno 2015, innanzi al Giudice dott. Riccardo Guida, sono comparsi:
Per XXXXXXXXX l’avv. Katia Ventura, oggi sostituito dall’avv. Sabatino Iovino il quale deposita l’originale dell’atto di citazione notificato.
Per Banco XXXXXXX l’avv. XXXXXX
L’avv. Iovino contesta il contenuto della comparsa di costituzione e risposta e chiede la concessione dei termini ex art. 183 VI comma c.p.c.

Il Giudice

rilevato che dal verbale di mediazione risulta che il Banco XXXXX non ha partecipato al procedimento di mediazione; senza giustificato motivo;
visto l’art. 8 comma 4 bis D. Lvo n. 28/2010 (e successive modificazioni);

condanna

il Banco XXXXX al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di uno somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio, mandando in cancelleria per quanto di competenza;
assegna alle parti i termini ex art. 183 VI comma, numeri 1, 2 e 3 c.p.c.
rinviala causa all’udienza del 09/03/2016, ore 12.15, per provvedere sulle richieste istruttorie.
Il Giudice
dott. Riccardo Guida