mediazione civile, sentenza massimo moriconi

Tribunale di Roma, sez. XIII civ., sentenza 30 ottobre 2015.

Interessante sentenza del Tribunale di Roma nella quale si ribadisce che il previo esperimento del tentativo di mediazione ante causam, conclusosi negativamente, non preclude in alcun modo la possibilità, per il Giudice che ritenga in ogni caso “mediabile” la controversia, di disporre la mediazione delegata di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, con il conseguente insorgere di una ulteriore condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Nel caso di specie, a suo tempo (3 dicembre 2012), era stato introdotto il procedimento di mediazione ante causam, dato che la lite era relativa a danni cagionati dalla circolazione di autoveicoli, materia, com’è noto, assoggettata al regime dell’obbligatorietà della mediazione fino alla riforma di cui alla L. 98/2013; il tentativo, tuttavia, si era concluso negativamente stante la mancata partecipazione dell’assicurazione al procedimento.
Con ordinanza del 16 giugno 2014 il Giudice disponeva la mediazione demandata ai sensi del novellato art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.
L’istanza di mediazione, però, non era stata depositata dall’attore (né dalla controparte), in quanto ritenuto scontato (!) l’esito infruttuoso del tentativo, avendo la compagnia assicuratrice, sollecitata più volte dalla difesa dell’attore, comunicato di voler definire la causa con soli € 5.000 più € 2.000 per onorari, cifra considerata palesemente inadeguata dalla stessa parte attrice.
Orbene, secondo il Giudice, il comportamento omissivo di cui sopra starebbe ad evidenziare “…la mancata comprensione da parte dei soggetti costituiti del valore e dell’efficacia della mediazione”.
In effetti, premesso che in ordine alla “…possibilità del giudice di disporre la mediazione demandata anche allorché sia stata già avviato e concluso negativamente un esperimento di mediazione obbligatoria non possono essere nutriti seri dubbi”, il Tribunale sottolinea la diversa natura della mediazione delegata rispetto a quella avviata ante causam, sia che si tratti di materia obbligatoria, sia che si tratti, invece, di volontaria scelta della parte interessata.
Nella mediazione demandata, infatti, si è in presenza “… di una precisa e riflettuta decisione del Giudice che assume in questo caso una funzione di assistenza e guida, di modelli diversi e non alternativi, che si sviluppano con presupposti, forza ed efficacia non sovrapponibili”.
D’altra parte, “…compito dei difensori è quello di evocare la possibilità per le parti, cogliendo le potenzialità del provvedimento del Giudice, di trovare ragionevoli soluzioni e punti di accordo, non celando, in mancanza, i possibili sviluppi negativi delle aspettative che l’inevitabile antagonismo insito nella avviata contesa giudiziaria tende, per ciascuna delle parti, a radicare ed esaltare”.
In sostanza, osserva il Tribunale, “…con la mediazione demandata si evita di intraprendere percorsi spesso già condannati in partenza (si pensi ad una mediazione obbligatoria prima della causa nella quale saranno protagonisti necessari soggetti terzi, come assicurazioni successivamente chiamate; ovvero a situazioni in ordine alle quali le risultanze della consulenza tecnica disposta dal giudice sono determinanti per meglio fissare l’ubi consistam della lite..); e ciò perché è il Giudice che sceglie, con oculatezza, il momento migliore per disporne l’avvio”.
Rilevato poi come la vicenda sia dimostrativa di quanto ancora risulti poco sviluppata la cultura della mediazione, con conseguente sottovalutazione delle possibilità che con la stessa possono in concreto schiudersi, il Giudice, con una certa amarezza, sia consentito rilevarlo, osserva come nel caso di specie, per una soddisfacente risoluzione della controversia, sarebbe stato verosimilmente sufficiente “…sedersi intorno al tavolo di un bravo e competente mediatore, le parti personalmente quanto all’attore e rappresentata la compagnia assicuratrice da un procuratore speciale, entrambe assistite dai rispettivi legali, con una reale volontà di chiudere la controversia presto e bene, utilizzando le preziose indicazioni offerte dal giudice”.
Dalla vicenda, dunque, al di là della sua conclusione in termini di improcedibilità della domanda, deve trarsi, secondo il Giudice, un chiaro ammonimento su quanto ancora debba essere fatto, a tutti i livelli, al fine di una maggiore diffusione della “cultura della mediazione”, come può agevolmente rilevarsi dalla chiosa che segue: “…se le parti avessero compreso e metabolizzato, già prima del provvedimento, il valore sociale ed individuale e l’efficacia della mediazione, il giudice non avrebbe scritto questa sentenza, l’attore avrebbe portato a casa una ragionevole somma di denaro, l’avvocato la sua parcella e l’assicurazione la tranquillità di non vedersi arrivare, dopo questa sentenza, una nuova causa che la improcedibilità che si dichiara non impedisce in alcun modo”.
Al di là dell’opinione che ciascuno può essersi formato in ordine all’utilizzo della mediazione delegata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010 (nonché di altre novelle di recente introduzione, come ad esempio la proposta conciliativa del giudice ex art. 185 – bis c.p.c.), indubbiamente il fatto che per un numero rilevantissimo di controversie simili a quella all’origine della pronuncia qui in commento neanche si intraprenda, in concreto, un tentativo di risoluzione alternativa e condivisa della lite appare, oggi, oggettivamente non più sostenibile.
Dott. Luigi Majoli

Testo integrale:

Tribunale di Roma
Sez. XIII Civile
Sentenza

I fatti della causa
Lamentava l’attore che il giorno 19 marzo 2012 mentre attraversava a piedi alle ore 23,15 circa via dei Monti Tiburtini, all’altezza dell’incrocio con la carreggiata di via dei Durantini, durante la fase di regolare attraversamento pedonale, effettuato sulle strisce pedonali con semaforo verde, veniva travolto dall’autovettura di proprietà di ___ condotta da _____ che procedeva a velocità eccessiva ed oltre i limiti consentiti per quel tratto di strada. La compagnia assicuratrice si costituiva facendo presente che aveva già risarcito l’attore con la somma di €.5.850,00 e che essendo quanto l’attore corresponsabile per aver attraversato imprudentemente con luce gialla come si evinceva dalla relazione della P.M. la somma era da considerarsi satisfattiva.
Con ordinanza del 16.6.2014 il giudice disponeva la mediazione demandata ai sensi del novellato art.5 co.II° del decr. lgsl.28/10. All’udienza di verifica la difesa dell’attore faceva presente che il R. aveva a suo tempo (3.12.2012) e prima della causa introdotto una procedura di mediazione (in quel momento ancora) obbligatoria in materia di RCA, che si era conclusa negativamente per l’assenza dell’assicurazione.
Aggiungeva che avendo il R. aderito alla proposta del giudice, la domanda di mediazione (demandata dal giudice) non era stata introdotta dall’attore (né dall’altra parte attivata) essendone prevedibile l’esito infruttuoso avendo la compagnia assicuratrice, sollecitata più volte a mezzo mail dalla difesa dell’attore, comunicato di voler definire la causa con soli €.5.000 più €.2.000 per onorari. Ed invero a tal fine l’attore produceva una missiva nella quale la compagnia, evidenziato che il giudice, presupposta una invalidità permanente del 7%, aveva effettuato i calcoli, nella proposta ex art.185 bis, sulla base delle tabelle del tribunale invece che per quelle previste per le micropermanenti, aveva formulato la suddetta offerta (€.5.000 più €.2.000 per onorari).
La mancata comprensione da parte dei soggetti costituiti del valore e dell’efficacia della mediazione – L’improcedibilità della domanda L’art. 5 co. II° prevede che “fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di giudizio di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”. Circa la possibilità del giudice di disporre la mediazione demandata anche allorché sia stata già avviato e concluso negativamente un esperimento di mediazione obbligatoria non possono essere nutriti seri dubbi.
E’ stato più volte sottolineata la diversità di presupposti e contesto nei quali si collocano la mediazione obbligatoria e quella demandata. Ed invero nell’ordinanza del 16.6.2014 il giudice osservava: “Va precisato che nel dicembre 2012 è stato tentato dall’attore un percorso di mediazione volontaria.
Si ritiene che tale circostanza, vale a dire che l’attrice abbia proposto prima e fuori della causa, una domanda di mediazione (non ha rilevanza – ai fini che qui interessano- la natura volontaria o obbligatoria), non sia impeditiva all’esercizio ed all’attivazione da parte del Giudice della mediazione demandata di cui all’art.5 co.II° del decr.lgsl.28/2010 nella versione riformata dal D.L.69/13 cit.. Si tratta infatti, ove la mediazione demandata sia frutto di una precisa e riflettuta decisione del Giudice che assume in questo caso una funzione di assistenza e guida, di modelli diversi e non alternativi, che si sviluppano con presupposti, forza ed efficacia non sovrapponibili.
Da quanto si espone di seguito è di solare evidenza che nella mediazione demandata la realizzazione della condizione di procedibilità è solo una delle sue ragion d’essere. Esse consistono piuttosto nel giudizio del Giudice secondo il quale sussistono, nel caso specificamente esaminato, anche (e specialmente) considerate le difese della controparte in un complessivo bilanciamento (nel senso anche letterale del termine) con quelle dell’attore, le condizioni positive perché le parti possano pervenire ad un accordo amichevole, di tipo conciliativo o transattivo. La forza e l’efficacia è del tutto diversa. Il momento in cui il Giudice invia le parti in mediazione è svincolato da rigidità processuali se non quelle molto avanzate del giudizio (conclusioni/discussione), consentendogli di individuare e di scegliere il momento più propizio in relazione alle circostanze ed agli sviluppi della causa (e ciò anche in relazione alle difese articolate dalle parti). La possibilità, come la presente ordinanza testimonia, di rappresentare pacatamente, con equidistanza ed imparzialità, i punti di debolezza e di forza delle rispettive posizioni, consente di esaltare la sensibilità culturale e giuridica dei difensori, che tanto ruolo hanno nella mediazione riformata.
E, tramite essi, parlare alle parti che pertanto dovranno essere informate nel modo più ampio e sostanziale dai difensori circa il contenuto del provvedimento, al fine che esse possano, esattamente come in ambito sanitario, determinarsi verso la scelta migliore da assumere, in ordine alla quale è precondizione una adeguata consapevolezza.
Compito dei difensori è quello di evocare la possibilità per le parti, cogliendo le potenzialità del provvedimento del Giudice, di trovare ragionevoli soluzioni e punti di accordo, non celando, in mancanza, i possibili sviluppi negativi delle aspettative che l’inevitabile antagonismo insito nella avviata contesa giudiziaria tende, per ciascuna delle parti, a radicare ed esaltare.
Con la mediazione demandata si evita di intraprendere percorsi spesso già condannati in partenza (si pensi ad una mediazione obbligatoria prima della causa nella quale saranno protagonisti necessari soggetti terzi, come assicurazioni successivamente chiamate; ovvero a situazioni in ordine alle quali le risultanze della consulenza tecnica disposta dal giudice sono determinanti per meglio fissare l’ubi consistam della lite..); e ciò perché è il Giudice che sceglie, con oculatezza, il momento migliore per disporne l’avvio. Dell’assistenza si è già detto. Se del caso, e questo lo è, il provvedimento di avvio alla mediazione demandata può contenere, ad opera del Giudice, utili indicazioni e parametri che difensori e parti, assistite da mediatori di qualità, potranno sviluppare nel miglior modo.
Infine la diversa e solo eventuale onerosità del nuovo procedimento di mediazione per il quale il primo incontro (preliminare alla mediazione vera e propria) sconta, in caso di insuccesso, il solo pagamento delle modeste spese di avvio previste dalla normativa vigente (cfr.per la autorevole conferma di tale opinamento la Circolare del Ministero della Giustizia 27 novembre 2013 Entrata in vigore dell’art. 84 del d.l. 69/2013 come convertito dalla l. 98/2013 recante disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia, che modifica il d.lgs. 28/2010. Primi chiarimenti) esclude che quello che di fatto si presenta come una -sia pure legittima- seconda mediazione possa essere un aggravio irragionevole per le parti”.
La vicenda, a far tempo dalla comunicazione della proposta del giudice alle parti e fino al mancato avvio della mediazione, è paradigmatica di quanto sia ancora lontano il raggiungimento del fondamentale obiettivo di una generale diffusa e soddisfacente comprensione ed apprezzamento da parte dell’utenza e del Foro (che tuttavia, come la stessa Magistratura ha fatto in subiecta materia notevoli progressi assiologici nell’ultimo anno e mezzo) del valore strategico per il contenimento della straripante mole di contenzioso e per la pacificazione sociale che diffonde, dei vantaggi in termini di tempi stretti di conclusione e di certezza dell’ottenimento del bene della vita oggetto dell’accordo, e, in definitiva, dei straordinari risultati che la mediazione può offrire.
In questo caso, ed è di tutta evidenza, per un conveniente e conclusivo accordo, sarebbe stato sufficiente sedersi intorno al tavolo di un bravo e competente mediatore, le parti personalmente quanto all’attore e rappresentata la compagnia assicuratrice da un procuratore speciale, entrambe assistite dai rispettivi legali, con una reale volontà di chiudere la controversia presto e bene, utilizzando le preziose indicazioni offerte dal giudice. Il quale faceva chiaramente intendere, nell’ordinanza, che le affermazioni rese nell’immediato ai vigili urbani intervenuti da parte della compagna del R., partecipe con lui all’evento, e che ammetteva un attraversamento quanto meno affannoso e imprudente (con semaforo giallo e si era a tarda notte, era buio..), avrebbero potuto condurre ad una decisione affermativa di una qualche misura di concorso di colpa del danneggiato. Il giudice, è pur vero, che effettuava i calcoli sulla base delle tabelle del tribunale, ma è altrettanto vero che prendeva per buona, in quella fase di proposta, senza aver prima disposto ed acquisito una consulenza medica, la percentuale di invalidità indicata dall’assicurazione (7% e non quella dell’attore 9%).
La proposta del giudice, come è scritto nell’ordinanza, non è una sentenza, piuttosto un’autorevole e meditata indicazione, allo stato e sulla base degli atti, di un punto di equilibrio conciliativo, irrorato di equità, sulle quale ben possono ed anzi debbono le parti, in caso di difficoltà ad accordarsi sull’ esatto contenuto della proposta, continuare a discutere, anche con l’ausilio di un soggetto terzo ed imparziale, qual’è il mediatore, a tale fine essendo previsto nell’ordinanza di cui supra il successivo percorso di mediazione. L’assicurazione rispondeva alla mail della difesa dell’attore proponendo ciò che si è detto supra (€.5000 + €.2000, oltre al già corrisposto) che è più meno quello che il giudice avrebbe verosimilmente accertato e concesso all’esito di un percorso istruttorio (CTU, testimonianze …), applicativo delle tabelle previste per le micropermanenti, in ambito di concorso di colpa del pedone. Cosa dice tutto questo? Che se le parti avessero compreso e metabolizzato, già prima del provvedimento, il valore sociale ed individuale e l’efficacia della mediazione, il giudice non avrebbe scritto questa sentenza, l’attore avrebbe portato a casa una ragionevole somma di denaro, l’avvocato la sua parcella e l’assicurazione la tranquillità di non vedersi arrivare, dopo questa sentenza, una nuova causa che la improcedibilità che si dichiara non impedisce in alcun modo. E de hoc satis. Essendo pacifico che il procedimento di mediazione non è stato avviato, e non essendo stato addotto -come dimostrato supra- alcun valido motivo giustificativo, ne consegue la improcedibilità della domanda.
Le spese (che vengono regolate secondo le previsioni – orientative per il giudice che tiene conto di ogni utile circostanza per adeguare nel modo migliore la liquidazione al caso concreto- della l.24.3.2012 n.27 e del D.M. Ministero Giustizia 10.3.2014 n.55) vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:
dà atto della mancata attivazione dell’esperimento di mediazione demandata;
dichiara improcedibile la domanda di V___;
condanna V.__ al pagamento delle spese di causa che liquida in favore della Spa _____ in persona del legale rappresentante pro tempore in complessivi €.1.300,00 oltre IVA, CAP e spese generali.

Roma, 30.10.2015

Il Giudice
dott. Massimo Moriconi

Potere di autentica del segretario comunale, mediazione e autentica notarile.

Secondo l’art. 97, co. 4, lett. c), D.lgs 267/2000 (TUEL), come modificato dall’art. 10, co. 2 – quater, L. 114/2014, il segretario comunale “…roga, su richiesta dell’ente, i contratti nei quali l’ente è parte e autentica scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’ente”.
In conseguenza dell’intervento legislativo in parola, che ha modificato la precedente formulazione, risalente originariamente all’art. 17, co. 68., L. 127/97 (Bassanini – bis), secondo cui il segretario comunale poteva rogare tutti i contratti nei quali l’ente è parte, risulta evidentemente accentuata una funzione rogatoria su richiesta.
Nulla è mutato, invece, per quanto concerne il potere di autentica, che resta attribuito al segretario comunale laddove il Comune sia parte dell’atto.
Ciò in quanto l’ordinamento dispone, come è noto, che la competenza generale in materia di autentica spetti al notaio, configurandosi il potere medesimo in capo a diverso pubblico ufficiale solo nell’ipotesi in cui una norma espressamente lo preveda e con esclusivo riferimento agli atti ai quali la funzione è specificamente attribuita.
Non potrebbe dunque ravvisarsi una competenza del segretario comunale in ordine all’autentica di scritture private di contenuto negoziale, laddove tutte le parti risultino estranee all’amministrazione comunale, mentre ove il Comune sia parte dell’atto ovvero nell’ipotesi di scritture private unilaterali, provenienti da terzi, tali da costituire uno strumento di impegno negoziale nei confronti del Comune, il potere di autentica di firma spetterà, per espressa previsione normativa, allo stesso segretario comunale.
Naturalmente, si tratta di intendersi per quanto riguarda il significato dell’espressione “…nell’interesse dell’ente”. Trattandosi di competenza certificativa attribuita al segretario comunale esclusivamente laddove venga ad essere impegnato il Comune, l’interesse dell’ente locale preso in considerazione non può che essere unicamente quello negoziale.
La richiamata disposizione, in altri termini, non può essere riferita a interessi di carattere generale (come, ad es., l’interesse urbanistico o quello tributario), dal momento che in tali ipotesi l’amministrazione comunale dispone degli ordinari strumenti pubblicistici per realizzare le proprie finalità. Si tratta, dunque, di attività negoziali di carattere privatistico, funzionali peraltro allo svolgimento di compiti pubblicistici.
In conseguenza di quanto precede, ove si tratti di verbale di conciliazione all’esito di un procedimento di mediazione in cui è parte il Comune, ben potrà essere svolta dal segretario comunale l’attività di cui all’art. 11, co. 3, D.lgs 28/2010.
Quest’ultima disposizione prevede che “Se e’ raggiunto l’accordo amichevole di cui al comma 1 ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento”.
La scelta del legislatore appare del tutto coerente con il sistema di pubblicità immobiliare oggi in vigore nell’ordinamento giuridico, dal momento che l’art. 2657 cod. civ. stabilisce che titoli validi per la trascrizione siano esclusivamente le sentenze, gli atti pubblici o le scritture private autenticate o la cui sottoscrizione sia stata accertata in sede giudiziale. D’altra parte, la ratio delle previsioni di cui all’art. 11 risulta chiaramente espressa all’interno della relazione illustrativa al decreto 28/2010 laddove, nel paragrafo rubricato “Articolo 11 (Conciliazione)”, si afferma che “Al fine di garantire la certezza dei traffici e offrire maggiori garanzie alle parti, è stato previsto che l’autografia della sottoscrizione del verbale di accordo che abbia ad oggetto diritti su beni immobili soggetti a trascrizione (e annotazione), per poter effettuare quest’ultima, debba essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. La disposizione si estende, logicamente, agli atti di divisione immobiliare per effetto del combinato disposto con l’articolo 2645 c.c.”.
Nella summenzionata fattispecie di procedimento di mediazione in cui il Comune é parte, il “pubblico ufficiale a ciò autorizzato” di cui al secondo periodo della disposizione riportata risulta essere, sulla base del quadro normativo in precedenza riassunto, per l’appunto il segretario comunale. Il quale, di conseguenza, procederà all’autentica della sottoscrizione del processo verbale redatto dal mediatore, attività che, a norma dell’art. 2703, co. 2, cod. civ. “…consiste nell’attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza. Il pubblico ufficiale deve previamente accertare l’identità della persona che sottoscrive”.
Le considerazioni appena svolte non possono non indurre ad alcune riflessioni consequenziali in ordine all’intervento del notaio a seguito di verbale di conciliazione relativo a mediazione positivamente conclusasi tra soggetti privati e tale da investire contratti o atti di cui all’art. 2643 cod. civ.
Si pensi all’ipotesi – paradigmatica – degli accordi di mediazione relativi al riconoscimento della sussistenza dei presupposti di legge per l’usucapione, in cui la sottoscrizione del relativo verbale, a norma del n. 12 – bis dell’art. 2643 cod. civ. (introdotto dal “Decreto del fare” poi convertito in L. 98/2013) deve essere autenticata da pubblico ufficiale a ciò autorizzato (vale a dire – fuori dalle ipotesi di competenza del segretario comunale – in via generale dal notaio).
Orbene, la situazione è nota. Ben raramente, infatti, si verificherà l’ipotesi di un notaio, non mediatore, presente all’accordo, il quale, assistendo alla sottoscrizione del verbale e dell’accordo allegato, ne autentichi le firme apposte, provvedendo, successivamente, alla registrazione ed alla trascrizione del medesimo, ai sensi, rispettivamente, degli artt. 10, D.P.R. 131/1986 e 2671, co.1, cod. civ., secondo cui “Il notaio o altro pubblico ufficiale che ha ricevuto o autenticato l`atto soggetto a trascrizione, ha l`obbligo di curare che questa venga eseguita nel più breve termine possibile, ed è tenuto al risarcimento dei danni in caso di ritardo, salva l`applicazione delle pene pecuniarie previste dalle leggi speciali, se lascia trascorrere trenta giorni dalla data dell`atto ricevuto o autenticato”.
Nulla peraltro sembrerebbe ostare alla possibilità, per le parti e per il mediatore, una volta che le prime abbiano raggiunto l’accordo, di differire la sottoscrizione del verbale ad un momento cronologicamente successivo, che si svolga alla presenza del notaio, il quale, a quel punto, secondo la previsione del menzionato art. 11, co. 3, D.lgs 28/2010, letteralmente interpretata, dovrebbe limitarsi all’autentica delle sottoscrizioni stesse, senza entrare nel merito dei contenuti dell’atto redatto dal mediatore e sottoscritto dallo stesso, dalle parti e dagli avvocati che le assistono, non assumendosi, di conseguenza, responsabilità alcuna in ordine ai contenuti medesimi, ma esclusivamente riguardo l’effettiva corrispondenza delle firme in sua presenza apposte alle rispettive identità personali.
In effetti, secondo l’art. 28, co. 1, della Legge sul Notariato, il notaio “…non può ricevere o autenticare atti (…) se essi sono espressamente proibiti dalla legge o manifestamente contrari al buon costume o all’ordine pubblico”.
Correlativamente, l’art. 28 stesso è richiamato dal successivo art. 138, co. 2, L.N., come modificato dall’art. 1, co. 1, lett. p), D.lgs 110/2010, in cui è prevista la sanzione della “…sospensione da sei mesi a un anno (per) il notaio che contravviene alle disposizioni degli articoli 27, 28, 29, 47, 48, 49, e 52 – bis, co. 2”.
Appare evidente, peraltro, come il controllo di legalità sui contenuti dell’atto, e dunque dell’accordo che in esso è contenuto, che a norma delle menzionate disposizione della legge sul notariato deve essere esercitato anche sulle scritture private autenticate, trovi, nel caso specifico degli accordi conciliativi raggiunti all’esito di un procedimento di mediazione, una espressa previsione da parte dell’art. 12, co. 1, D.lgs 28/2010, laddove si prevede che “Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico”.
In sostanza, dunque, secondo il D.lgs 28/2010, il mediatore è chiamato a certificare l’autografia della sottoscrizione delle parti, mentre gli avvocati dovranno attestare e certificare la non contrarietà dell’accordo a norme imperative o all’ordine pubblico.
Attestazione e certificazione, quest’ultima, che la legge notarile attribuisce in generale al notaio ex art. 28.
Ora, ad avviso di chi scrive, deve essere tenuto nel dovuto conto il fatto che nella fattispecie si è in presenza di un accordo tra privati che viene formalizzato in un verbale redatto all’esito di un procedimento, nel quale le parti devono essere assistite dall’avvocato, in cui il mediatore, che fornisce una prestazione d’opera intellettuale (dalla quale, per inciso, scaturisce il relativo diritto alla retribuzione), certifica, per espressa previsione di legge, l’autografia della sottoscrizione delle parti e pertanto, nelle ipotesi di cui all’art. 11, co. 3, D.lgs 28/2010, al fine di addivenire ad un titolo idoneo ad essere trascritto, dovrebbe ritenersi sufficiente la autentica delle sottoscrizioni da parte del notaio.
Evidentemente, ove l’intervento del notaio andasse ad estendersi alla legalità dell’accordo nella sua interezza, ciò condurrebbe, come in molti casi in effetti avviene, alla riproduzione, all’interno dell’atto pubblico, del verbale conclusivo del procedimento di mediazione, con conseguente duplicazione, in termini pratici, dello stesso e – soprattutto – con conseguente aumento a dismisura dei costi per le parti (basti il confronto tra le tariffe per l’autentica e quelle per la redazione di un atto ex novo).
Ciò, ovviamente, sarebbe inevitabile stante la lettera dell’art. 2703, co. 2, cod. civ., laddove l’intervento del notaio fosse successivo alla stesura, e relativa sottoscrizione, del verbale, dal momento che verrebbe a mancare la prescritta contestualità; e ancora, nulla quaestio nell’ipotesi in cui fossero le parti stesse, in sede di accordo, ad obbligarsi, al fine di prevenire a determinati risultati, ad un successivo atto notarile.
In conclusione, dunque:
ove si consideri la previsione di cui all’art. 11, co. 3, D.lgs 28/2010, nella quale, giova ricordarlo, non è fatta menzione alcuna alla necessità di un atto pubblico ai fini della trascrizione, in termini di lex specialis, con conseguente portata derogatoria rispetto alla normativa generale in tema di autenticazione, il notaio dovrebbe limitarsi a provvedere all’autentica della sottoscrizione del verbale, con correlativa esclusione dalla propria responsabilità dei profili attinenti al merito;
ove invece si ritenga di diversamente opinare, se il verbale di conciliazione è sottoscritto dalle parti (e dal mediatore) dinanzi al notaio, nel rispetto dunque di quanto previsto dall’art. 2703 cod. civ., egualmente il notaio procederà alla semplice autentica, non alla redazione ex novo di un atto pubblico destinato a incorporare il verbale.
Tornando al tema dell’usucapione, quest’ultima non è che l’effetto legale di una fattispecie, e dunque non potrà derivare da una volontà negoziale (e, d’altra parte, non potrebbero in alcun modo attribuirsi rilevo ed efficacia ad una volontà negoziale che pretendesse di sostituirsi a quanto previsto dalla legge).
Da quanto precede può evincersi come, in sede di accordo conciliativo conseguente al procedimento di mediazione, non potrà emergere una volizione mirante al riconoscimento dell’acquisto di un diritto reale, effetto che, per l’appunto, non può essere determinato dalla volontà delle parti; detto accordo, tuttavia, ben potrà avere ad oggetto il riconoscimento della sussistenza delle circostanze che rappresentano i presupposti necessari ad un acquisto per usucapione.
Di conseguenza, la previsione normativa, contenuta nel nuovo n. 12 – bis dell’art. 2643 cod. civ., relativa alla trascrivibilità di un accordo raggiunto in mediazione in materia di usucapione costituisce un indubbio elemento chiarificatore in un ambito nel quale, fino alla novella legislativa, i dubbi e le incertezze sembravano fare aggio sui punti fermi.
Non è chi non veda i vantaggi, in termini di tempi e di costi, derivanti dall’utilizzo dello strumento della mediazione rispetto alla alternativa giudiziale. È con rammarico, dunque, che vanno registrati determinati atteggiamenti del Notariato, che non appaiono sempre condivisibili, e che finiscono con il ridurre, di fatto, la portata dei vantaggi stessi.
Occorrerebbe, forse, un intervento del legislatore che si esprimesse in modo chiaro e definitivo sul problema rappresentato dal rapporto tra quanto previsto dall’art. 11, co. 3, D.lgs 28/2010 ed il dettato degli artt. 28 e 139 della legge sul notariato.

mediazione civile pavia

Tribunale di Pavia, sez. III civ., sentenza 14 ottobre 2015.

Sentenza non definitiva, ai sensi dell’art. 279, co. 2, n. 4, c.p.c., con la quale il Tribunale di Pavia, in composizione monocratica, pronuncia sulle questioni preliminari emerse in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo nel quale il Giudice aveva disposto la mediazione delegata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.
In particolare, venivano eccepite due distinte questioni inerenti al procedimento di mediazione delegata.
In primo luogo, l’istanza di mediazione sarebbe stata (ed in effetti era stata) depositata presso l’Organismo di mediazione tardivamente, vale a dire allorché il previsto termine di 15 gg. risultava già spirato.
Detta eccezione, secondo il Tribunale, è priva di pregio.
Ciò, in quanto il termine in questione deve considerarsi ordinatorio e non perentorio. Rileva infatti il provvedimento in commento, come, malgrado la presenza di due distinti orientamenti giurisprudenziali, l’uno favorevole alla natura perentoria, l’altro a quella ordinatoria del suddetto termine, debba propendersi “…coerentemente con la natura informale dell’istituto, per la natura ordinatoria del termine”.
Ma, sul punto, “…decisivo è il disposto dell’art. 152, co. 2, cpc, per il quale <i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori> e, come si è appena visto, nessuna norma del D.lgs 28 definisce <perentorio> il termine di quindici giorni. A ciò si aggiunga che, per taluni soggetti (enti pubblici, società per azioni, condomìni, ecc.) ove il termine per avventura fosse considerato perentorio, ne sarebbe pressoché impossibile il rispetto per i tempi lunghi di formazione delle loro volontà”.
Anche la seconda eccezione proposta non può essere accolta.
Infatti, secondo parte eccipiente, l’istanza presentata all’Organismo, oltre che tradiva, sarebbe stata caratterizzata dalla mancata indicazione dell’oggetto della mediazione stessa.
Ora, però, stante la dimostrata informalità del procedimento di mediazione, il Tribunale ritiene che detta circostanza non possa implicare l’invalidità del tentativo di mediazione, dal momento che l’ambito oggettivo della stessa risulta agevolmente ricavabile dai documenti allegati all’istanza o – al limite, e come chi concretamente opera in mediazione ben sa – dall’esposizione resa oralmente dalle parti e dagli avvocati che le assistono durante l’incontro dinanzi al mediatore.
Osserva infatti il Giudice come “… nella specie erano indicate nel modulo di avvio le condizioni alle quali la parte istante si dichiarava disponibile a conciliare; era indicato un giudizio pendente avanti a questo tribunale in quanto era addirittura fatto riferimento ad una possibilità di responsabilità aggravata ex art. 96 cpc ed è evidente che le parti in quella mediazione corrispondevano e corrispondono alle parti di questo giudizio. Quel che più rileva è, tuttavia, che l’incontro avanti al mediatore si svolgeva con la partecipazione dei legali e soprattutto dei rispettivi clienti…”, vale a dire con le modalità previste dall’art. 8, co. 1, D.lgs 28/2010 e, dunque, con la concreta possibilità di far emergere in modo pieno l’oggetto della mediazione in sede di primo incontro.
Conseguentemente, il Tribunale, rilevato che l’eccezione avrebbe potuto forse essere diversamente valutata se sollevata con riferimento ad una istanza di mediazione avanzata ante causam, non può accoglierla nell’ambito di “…una mediazione demandata, nella quale l’oggetto della mediazione è agevolmente determinabile – solo che lo si voglia vedere – anche per relationem rispetto all’oggetto della causa pendente. Infine, per l’art. 5, co. 2- bis, D.lgs cit., la condizione di procedibilità deve considerarsi avverata se il primo incontro si conclude senza l’accordo e tale circostanza si è verificata nella specie”.
Sulla base delle considerazioni che precedono, dunque, il Giudice rigetta l’ eccezione di improcedibilità dell’azione per la mancata indicazione dell’oggetto della procedura di mediazione in quanto non solo infondata, ma anche pretestuosa e temeraria.
Dott. Luigi Majoli

Testo integrale:

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI PAVIA
SEZ. III CIVILE

in composizione monocratica ai sensi dell’art. 50 ter c.p.c. in persona del Dott. Giorgio Marzocchi, ha pronunciato la seguente

SENTENZA PROVVISORIA
ex art. 281 sexies c.p.c.

nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato promossa con atto di citazione per opposizione a decreto ingiuntivo notificato il 13.01.2014 e iscritto a ruolo il 16.01.2014
DA
xxxxx, rappresentato e difeso dall’Avv. zzzzzzzzz, elettivamente domiciliato, giusta procura alla lite in calce all’atto di citazione, presso lo studio del difensore in Pavia, via yyyyyyyyy attore – opponente
CONTRO
xxxxxxx, in persona del liquidatore sig. zzzzzzz convenuto – opposto
All’udienza tenutasi il 14.10.2015, precisate le conclusioni e udita la discussione orale prevista dall’art. 281 sexies c.p.c., viene pubblicata con deposito in cancelleria la seguente sentenza, avendo i difensori rinunciato alla lettura del provvedimento.

FATTO E MOTIVI

1.  Con atto di citazione notificato il 13.01.2014 xxxxxxx xxxxxxxx proponeva opposizione a decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ex art. 642 c.p.c. n. 1380/13 (RG 3512/13) con il quale il Tribunale di Pavia, su ricorso di xxxxxxx in Liquidazione ingiungeva il pagamento della somma di euro 47.500,00 oltre IVA e accessori; rilevava l’opponente che che il credito era fondato su atto di transazione del 21.06.2013 nel quale le parti pattuivano, tra l’altro, un pagamento rateale a suo carico, quale committente di un’opera edilizia realizzata dalla società opposta nell’abitazione dell’opponente; che la transazione sulla quale era fondato il decreto ingiuntivo non si era mai perfezionata in quanto xxxxxxx non aveva mai apposto la propria firma in calce a quel documento; che la tesi dell’opponente di falsità della sua firma era confermata dalla CTU grafologica disposta preliminarmente dal giudice; che, nel corso del giudizio era da lui avviata la mediazione giudiziale demandata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010 che dava esito negativo; che all’udienza di verifica dell’esito della mediazione la società opposta sollevava eccezioni sul tardivo e scorretto avvio della procedura di mediazione e chiedeva la declaratoria di improcedibilità dell’opposizione con conferma del decreto ingiuntivo. L’opponente concludeva chiedendo il rigetto delle eccezioni preliminari dell’opposta, la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, la revoca del decreto ingiuntivo e il rigetto della domanda con il favore delle spese.

2.  Si costituiva in giudizio la società opposta XXXXXXX, in liquidazione, contestando gli assunti dell’opponente e ribadendo la legittimità del proprio operato; rilevava che il legale rappresentante della società opposta, sig. yyyyyy aveva personalmente partecipato alla trattativa per la definizione delle condizioni della transazione del 21.06.2013; che la negoziazione si svolgeva trattando con due professionisti di fiducia dell’opponente; che la sottoscrizione della transazione non era tuttavia avvenuta nella contemporanea presenza dei firmatari xxxx e yyyy, in quanto quest’ultimo si limitava ad apporre la propria firma sulla transazione e a consegnare il documento a uno dei professionisti di controparte affinché raccogliesse la firma del cliente; che successivamente il sig. xxxx ritirava dal professionista il documento completo delle firme delle parti; che la CTU grafologica accertava che la firma attribuita a XXXXX apposta in calce alla transazione era apocrifa; che nel corso del giudizio era svolta la mediazione demandata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010 e un tentativo di conciliazione giudiziale, ma entrambi davano esito negativo; che la mediazione non era avviata tempestivamente né correttamente, per non essere stato compiutamente indicato nel modulo di avvio della mediazione l’oggetto della procedura. L’opposta concludeva chiedendo fosse fissata udienza ex art. 281 sexies cpc sulla questione preliminare di improcedibilità del giudizio con conseguente conferma del decreto ingiuntivo e condanna dell’opponente alla rifusione delle spese del giudizio; in subordine chiedeva ammettersi le prove per interrogatorio formale e per testi come da memoria ex art. 183, co. 6, n. 2, cpc.

3.  La procedura di mediazione è procedura riservata, in buona misura orale e, per molti aspetti, informale. L’informalità della procedura si deduce chiaramente da varie norme del D.lgs 28/2010. L’art. 3, co. 3, stabilisce che gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità; l’art. 6, co. 1, stabilisce che la procedura di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi e tale norma è derogabile dalla volontà delle parti e del mediatore; l’art. 8, co. 2, ribadisce che il procedimento di mediazione si svolge senza formalità e il successivo comma 3, che disciplina il omento più importante della procedura, l’attività del mediatore, si limita a stabilire che il mediatore “si adopera” affinché le parti raggiungano un accordo amichevole, senza ulteriori specificazioni al contenuto dell’attività del mediatore, attività che si conferma essenzialmente di dialogo con le parti e i difensori. Oltre a tali norme, che per chiarezza non necessitano di particolare commento e che dimostrano l’informalità della procedura di mediazione, possono prendersi in rapido esame, quali indici della natura informale della procedura, la competenza territoriale dell’organismo di mediazione, stabilita dall’art. 4, D.lgs cit., pacificamente derogabile dall’accordo tra le parti e la natura del termine di quindici giorni per l’avvio della mediazione. Su tale ultima questione non è ignota al giudicante la divergenza emersa in giurisprudenza, nel silenzio dell’art. 5, sia del comma 1 – bis sia del comma 2, tra chi si è espresso per la natura perentoria del termine (tra le altre, Trib. Firenze, Gherardini, sent. 4.06.2015) e chi invece per la sua natura ordinatoria (Trib. Firenze, Breggia, ord. 17.06.2015). Lo scrivente propende, coerentemente con la natura informale dell’istituto, per la natura ordinatoria del termine. Decisivo è il disposto dell’art. 152, co. 2, cpc, per il quale “i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori” e, come si è appena visto, nessuna norma del D.lgs 28 definisce “perentorio” il termine di quindici giorni. A ciò si aggiunga che, per taluni soggetti (enti pubblici, società per azioni, condomìni, ecc.) ove il termine per avventura fosse considerato perentorio, ne sarebbe pressoché impossibile il rispetto per i tempi lunghi di formazione delle loro volontà. In materia condominiale sono infatti espressamente previste dall’art. 71 quater, co. 4 e 6, Disp. att. al c.c., eccezioni al rigore dei termini con possibilità di rinvio dell’incontro di mediazioni (co. 4) potendosi disporre una proroga del termine di adesione adottabile caso per caso o di proroga dei termini per la risposta alla proposta del mediatore (co. 6), in considerazione della particolare natura del soggetto convocato in mediazione.

4.  Eccezione di improcedibilità per tardività della presentazione dell’istanza di avvio. L’eccezione, pur se non ribadita nella discussione orale dalla difesa dell’opposta, è infondata e va rigettata. L’ordinanza che demandava le parti in mediazione, ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010 era del 19.02.2015 ed era emessa facendo prudente applicazione della discrezionalità che la norma attribuisce al magistrato – anche in grado di appello – il quale, prima di mandare le parti in mediazione, deve valutare la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti. Ai tre parametri di legge lo scrivente magistrato onorario, dopo l’assegnazione del procedimento a sé, si è rapportato per valutare e decidere se mandare le parti in mediazione. E’ indubbio, sia dall’esame degli atti difensivi che dall’esame dei documenti di parte opposta, che le parti prima di instaurare il giudizio non solo tentavano di risolvere in via amichevole l’insorgente lite giudiziaria ma, data la natura del giudizio, è altrettanto indubbio che l’esame dei diritti in questo giudizio coinvolge aspetti e comportamenti di buona o di mala fede nella relazione tra xxxx e yyyy, principali protagonisti della vicenda che ha portato alla contestata transazione. Sulla base di tali elementi, una procedura di mediazione in corso di causa non sarebbe stata affatto fuori luogo e avrebbe dato invece – ad avviso dello scrivente – un’utile opportunità alle parti per riprendere un negoziato pendente judicio. Alla luce del negativo esito dei tentativi di definizione amichevole è ora evidente la necessità di proceder oltre e decidere la controversia con sentenza. Venendo all’eccezione in parola, per valutare la tempestività dell’avvio della mediazione è sufficiente considerare la data del provvedimento, della sua comunicazione e della presentazione dell’istanza di avvio. L’ordinanza che disponeva che disponeva la mediazione demandata era emessa il 19.02.2015, la sua comunicazione telematica alle parti a cura della cancelleria era del 23.02.2015 e l’istanza di avvio della mediazione era presentata dall’opponente all’organismo di mediazione il 5.03.2015. dal semplice raffronto delle date appare evidente, ove fosse necessario accertarlo, che l’avvio della mediazione era tempestivo e che l’eccezione preliminare in parola è del tutto priva di fondamento e come tale doveva essere rigettata. Ad avviso dello scrivente, data la natura ordinatoria del termine, sarebbe stato sufficiente riscontrare, all’udienza di verifica dell’esito della mediazione successiva all’ordinanza ex art. 5, co. 2, D.lgs cit., un regolare svolgimento dell’incontro preliminare per poter considerare soddisfatta la condizione di procedibilità ed eventualmente disporre, su istanza di entrambe le parti, un rinvio della causa per la verifica dell’esito della mediazione.

5.  Eccezione di improcedibilità per non avere l’opponente indicato l’oggetto della mediazione nell’istanza d’avvio. La procedura di mediazione non è, come si è già dimostrato sopra, soggetta a forme solenni stabilite dal D.lgs 28/2010. I vari organismi di mediazione hanno, per loro regolamento, predisposto moduli sia per l’avvio delle procedure che per l’adesione alle stesse. La modulistica viene compilata dalle parti, spesso utilmente assistite dai difensori fin dalla fase di compilazione dei moduli. Data l’informalità della procedura è evidente come l’oggetto della mediazione possa essere ricavato non solo dal modulo di avvio ma anche aliunde, ad esempio dai documenti allegati o, ancora e soprattutto, dall’esposizione orale delle parti durante l’incontro di mediazione, sempre che la discussione – anche in quella procedura – non si dilunghi e si perda in questioni preliminari, togliendo così alle parti un’opportunità di dialogo che potrebbe non ripresentarsi più. Nella specie erano indicate nel modulo di avvio le condizioni alle quali la parte istante si dichiarava disponibile a conciliare; era indicato un giudizio pendente avanti a questo tribunale in quanto era addirittura fatto riferimento ad una possibilità di responsabilità aggravata ex art. 96 cpc ed è evidente che le parti in quella mediazione corrispondevano e corrispondono alle parti di questo giudizio. Quel che più rileva è, tuttavia, che l’incontro avanti al mediatore si svolgeva con la partecipazione dei legali e soprattutto dei rispettivi clienti, in ossequio a quanto stabilito sia nella citata ordinanza giudiziale che nell’art. 8, co. 1, D.lgs cit. a mente del quale per un regolare svolgimento della procedura di mediazione “al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”. L’eccezione sollevata dalla convenuta opposta potrebbe forse concepirsi in una mediazione ante iudicio, obbligatoria per materia, ex art. 5, co. 1 – bis, D.lgs cit., ma non in una mediazione demandata, nella quale l’oggetto della mediazione è agevolmente determinabile – solo che lo si voglia vedere – anche per relationem rispetto all’oggetto della causa pendente. Infine, per l’art. 5, co. 2- bis, D.lgs cit., la condizione di procedibilità deve considerarsi avverata se il primo incontro si conclude senza l’accordo e tale circostanza si è verificata nella specie. Da tutte le considerazioni che precedono consegue che l’eccezione di improcedibilità dell’azione per la mancata indicazione dell’oggetto della procedura di mediazione deve essere rigettata in quanto non solo infondata, ma anche pretestuosa e temeraria. Dal rigetto delle eccezioni di improcedibilità discende logicamente che non v’è luogo a provvedere sulla domanda di conferma del decreto ingiuntivo opposto, decisione che viene rimessa alla sentenza definitiva. Essendo il presente provvedimento una sentenza provvisoria che si limita a risolvere questioni preliminari e a disporre la prosecuzione del giudizio, ex art. 279, co. 2, n. 4 cpc, non si adotta alcuna decisione sulle spese di lite la cui regolazione è rimessa alla sentenza definitiva.

P.Q.M.

Il Tribunale di Pavia, pronunciando sulle eccezioni preliminari, così provvede:
1) Ritenuta soddisfatta la condizione di procedibilità consistente nel corretto e tempestivo avvio e svolgimento della procedura di mediazione demandata, ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, rigetta le eccezioni di improcedibilità;
2) Spese legali nella sentenza definitiva;
3) Dispone la rimessione della causa sul ruolo per la prosecuzione del giudizio.

Così deciso in Pavia, in esito all’udienza del 14 ottobre 2015.
Si comunichi.
Dott. Giorgio Marzocchi

tribunale milano

Tribunale di Milano, sez. IX civ., ordinanza 14 ottobre 2015.

La pronuncia in commento trae origine da una causa intentata, con ricorso ex art. 702 – bis c.p.c., da un avvocato a fronte del mancato pagamento, da parte del cliente, degli onorari (per totali euro 4.806,50).
Il Giudice esamina, d’ufficio, la questione inerente all’improcedibilità della domanda, dal momento che ai sensi dell’art. 3, co. 1, D.L.. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in L. 10 novembre 2014, n. 162, “…chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro” deve, tramite il suo avvocato, “…invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita”.
Come è noto, in dette ipotesi, l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La disposizione in parola sottopone, dunque, a giurisdizione condizionata ogni controversia che abbia ad oggetto una domanda di pagamento a prescindere dal titolo che sia ad esso sotteso.
Il Tribunale di Milano, peraltro, non ritiene il caso di specie ricompreso nell’ambito delle controversie assoggettate al presupposto della negoziazione assistita, in quanto, a norma dell’art. 3, co. 7, della stessa L. 162/2014, la disposizione sulla improcedibilità “…non si applica quando la parte può stare in giudizio personalmente”.
A tale proposito, il Giudice rileva l’opportunità di “…aderire, sul
punto, all’orientamento già emerso nella giurisprudenza di merito: <la pretesa creditoria che rimanga contenuta nei limiti di 50.000 euro richiede, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, il preventivo tentativo di negoziazione assistita, salvo si tratti di controversia riconducibile alla categoria di quelle per le quali le parti possono stare in giudizio personalmente. In questa categoria ricade la domanda introdotta dall’Avvocato per recuperare un suo credito, là dove questi si avvalga della procedura speciale di cui all’art. 14 d. lgs. 150/2011 ove, al comma III, è espressamente previsto che <<nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente>> (Trib. Verona, ordinanza 18 giugno 2015, est. M. Vaccari)”.
Sulla base delle considerazione che precedono, pertanto, la domanda deve essere considerata procedibile.
Ciò premesso, il Tribunale, sempre d’ufficio, rileva la la questione relativa all’intervenuto frazionamento del credito unitario, in quanto pendenti dinanzi allo stesso due distinte azioni promosse dall’avvocato nei confronti del medesimo debitore (l’una, iscritta nel 2015, per un patrocinio reso nel 2007; l’altra, sempre iscritta nel 2015, per un patrocinio reso nel 2011). Sul punto, il Giudice milanese osserva come sia ormai “… acquisito al patrimonio giurisprudenziale (a partire dall’intervento delle Sezioni Unite n. 23276 del 2007 con indirizzo confermato anche di recente: Cass. Civ. 19 marzo 2015 n. 5491) che la scissione strumentale del contenuto dell’obbligazione unitaria si pone il contrasto con il principio di buona fede e con il principio di ragionevole durata del processo realizzandosi una violazione anche della minima unità strutturale del processo.
In particolare, secondo l’indirizzo di legittimità, alla luce di una più accentuata valorizzazione del principio di buona fede anche nella fase della tutela giudiziale del credito e dell’affermazione del canone del giusto processo, non è consentita al creditore la parcellizzazione in plurime e distinte domande dell’azione giudiziaria per l’adempimento di una obbligazione pecuniaria”.
Anche alla luce delle considerazioni da ultimo sviluppate, il Giudice ritiene opportuno disporre la mediazione ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.
Del resto, si osserva nel provvedimento, “… la lite concerne un pregresso rapporto negoziale intercorso tra attore e convenuto, avente natura fiduciaria (contratto di patrocinio che lega Avvocato e suo cliente). Si tratta, dunque, di litiganti in precedenza vincolati da una relazione giuridica che può rappresentare un elemento di favore per una trattativa conciliativa. Va, poi, rilevato che la causa ha ad oggetto un credito di modesto valore: credito che la parte convenuta intende contrastare con una eccezione di prescrizione presuntiva a fronte della quale il creditore ha inteso azionare il rimedio di cui all’art. 2960 c.c.
La lite, pertanto, potrebbe ospitare un incombente istruttorio rilevante come il giuramento decisorio: una struttura probatoria imponente che fa iato con il modesto valore della controversia. Deve, peraltro, rimarcarsi, come già segnalato, che pende dinanzi a questo ufficio, altra identica causa instaurata tra le medesime parti e ove il creditore-attore agisce per altro credito. Sulla scorta dei dati già messi in evidenza, l’esito del giudizio è, infine, certamente non prevedibile, al lume delle questioni di rito e di prova da esaminare. Lo sfoglio di rito e merito delle questioni da affrontare nel processo rischia di rendere finanche antieconomico il giudizio per la distribuzione dei torti e delle ragioni. Appare, dunque, opportuno esperire il procedimento di mediazione, in linea con precedenti analoghi di questo ufficio”.
Considerazioni, invero, del tutto convincenti.
Tenendo nel debito conto poi la questione dell’intervenuto frazionamento del credito unitario, va rilevato che il Mediatore, operando in una sede non condizionata dalla stringente correlazione tra chiesto e pronunciato che caratterizza il giudizio, ben potrebbe estendere l’oggetto della mediazione ai fatti controversi unitariamente considerati, affrontando, pertanto, la questione di cui sopra, con un approccio che appare, francamente, il più adeguato alla ricerca di una soluzione conciliativa che sia di effettivo interesse per entrambe le parti coinvolte.
Dott. Luigi Majoli

Testo integrale:

TRIBUNALE DI MILANO
SEZ. IX CIVILE

Il Giudice,

osserva

L’Avv. ___propone ricorso ex art. 14 d.lgs. 150/2011 contro____allegando l’intercorso rapporto fiduciario, in virtù di regolare contratto di patrocinio, allega l’inadempimento del cliente all’obbligo del pagamento degli onorari, pari a complessivi euro 4.806,50.
Il Collegio esamina d’ufficio la questione relativa alla improcedibilità della domanda giudiziale, ai sensi dell’art. 3 comma I, d.l. 12 settembre 2014 n. 132, conv. in L. 10 novembre 2014 n. 162. La controversia instaurata dalla parte attrice è regolata dalle norme del rito sommario di cognizione, ex artt. 702-bis e ss c.p.c. (non si versa, dunque, nelle ipotesi di cui all’art. 3, comma III, lett. c); non si tratta di lite concernente obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti
e consumatori (non si versa, dunque, nelle ipotesi di cui all’art. 3, comma II); la pretesa creditoria non è stata esercitata mediante procedimento monitorio (non si versa, dunque, nelle ipotesi di cui all’art. 3, comma III, lett. a). Ai sensi dell’art. 3 comma I d.l. 132 del 2014, «chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro» deve, tramite il suo avvocato, «invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita». L’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è
condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La disposizione in parola sottopone, dunque, a giurisdizione condizionata ogni controversia che abbia ad oggetto una domanda di pagamento a prescindere dal titolo che sia ad esso sotteso. Anche la lite odierna, pertanto, dovrebbe ritenersi compresa nel fascio applicativo della disposizione cennata. A diversa conclusione, tuttavia, conduce il fatto che, ai sensi dell’art. 3 comma VIId.l. 132/2014 la disposizione sulla improcedibilità «non si applica quando la parte può stare in giudizio personalmente». Si intende aderire, sul
punto, all’orientamento già emerso nella giurisprudenza di merito: «lapretesa creditoria che rimanga contenuta nei limiti di 50.000 euro richiede, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, il preventivo tentativo di negoziazione assistita, salvo si tratti di controversia riconducibile alla categoria di quelle per le quali le parti possono stare in giudizio personalmente. In questa categoria ricade la domanda introdotta dall’Avvocato per recuperare un suo credito, là dove questi si avvalga della procedura speciale di cui all’art.14 d. lgs.150/2011 ove, al comma III, è espressamente previsto che «nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente» (Trib. Verona, ordinanza 18 giugno 2015, est. M. Vaccari). La domanda, per i motivi sopra indicati, è da ritenersi procedibile.
Ciò premesso, il Collegio rileva, d’ufficio, la questione relativa all’intervenuto frazionamento del credito unitario. Pendono dinanzi a questo ufficio, due distinte azioni promosse dall’Avv.___ contro il ___ nel processo n. .. del 2015, per un credito nascente dal patrocinio reso nel 2007; nel processo n. .. del 2015, per un credito nascente dal patrocinio reso nel 2011. Al momento delle domande (autonomamente proposte in data 1 aprile 2015) entrambe le poste creditorie costituivano, dunque, un
“credito unitario” in favore del difensore-attore e contro il medesimo debitore. Ebbene, è ormai acquisito al patrimonio giurisprudenziale (a partire dall’intervento delle Sezioni Unite n. 23276 del 2007 con indirizzo confermato anche di recente: Cass. Civ. 19 marzo 2015 n. 5491) che la scissione strumentale del contenuto dell’obbligazione unitaria si pone il contrasto con il principio di buona fede e con il principio di ragionevole durata del processo realizzandosi una violazione anche della minima unità strutturale del processo. In particolare, secondo l’indirizzo di legittimità, alla luce di una più accentuata valorizzazione del principio di buona fede
anche nella fase della tutela giudiziale del credito e dell’affermazione del canone del giusto processo, non è consentita al creditore la parcellizzazione in plurime e distinte domande dell’azione giudiziaria per l’adempimento di una obbligazione pecuniaria (v. Cass. Civ. Sezioni Unite sentenza 15 novembre 2007 n. 23726; v., anche, Cons Stato, Ad Plen., 23 marzo 2011 n. 3, Pres. De Lise, Rel. Caringella). Il Collegio rileva come vi sia contrasto, in giurisprudenza, in merito alle conseguenze che discendono dal frazionamento: secondo un certo indirizzo, la disarticolazione del rapporto creditorio unico provoca la improponibilità delle domande (Cass. Civ. n. 15476 del 2008); altre pronunce predicano una riunione dei processi frazionati e delle conseguenze sanzionatorie mediante la pronuncia sulle spese del processo (v. Cass. Civ. n. 10634 del 2010). La questione, rilevata d’ufficio, va sottoposta alle parti.
[4]. Anche alla luce della questione rilevata d’ufficio, il Collegio stima del tutto opportuno invitare le parti a procedere a un tentativo di mediazione civile per la composizione amichevole della controversia. Va premesso che la lite concerne un pregresso rapporto negoziale intercorso tra attore e convenuto, avente natura fiduciaria (contratto di patrocinio che lega Avvocato e suo cliente). Si tratta, dunque, di litiganti in precedenza vincolati da una relazione giuridica che può rappresentare un elemento di favore per una trattativa conciliativa. Va, poi, rilevato che la causa ha ad oggetto un credito di modesto valore: credito che la parte convenuta intende contrastare con una eccezione di prescrizione presuntiva a fronte della quale il creditore ha inteso azionare il rimedio di cui all’art. 2960 c.c.
La lite, pertanto, potrebbe ospitare un incombente istruttorio rilevante come il giuramento decisorio: una struttura probatoria imponente che fa iato con il modesto valore della controversia. Deve, peraltro, rimarcarsi, come già segnalato, che pende dinanzi a questo ufficio, altra identica causa instaurata tra le medesime parti e ove il creditore-attore agisce per altro credito. Sulla scorta dei dati già messi in evidenza, l’esito del giudizio è, infine, certamente non prevedibile, al lume delle questioni di rito e di prova da esaminare. Lo sfoglio di rito e merito delle questioni da affrontare nel processo rischia di rendere finanche antieconomico il giudizio per la distribuzione dei torti e delle ragioni. Appare, dunque, opportuno esperire il procedimento di mediazione, in linea con precedenti analoghi di questo ufficio (v. Trib. Milano, sez. IX civ., ordinanza 29 ottobre 2013, est. G. Buffone). La legge 9 agosto 2013 n. 98 (di conversione del d.l. 21 giugno 2013 n. 69), riscrivendo parzialmente il tessuto normativo del d.lgs. 28/2010, ha previsto la possibilità per il giudice (anche di appello) di disporre l’esperimento del procedimento di mediazione (cd. mediazione ex officio). Si tratta di un addentellato normativo che inscrive, in seno ai poteri discrezionali del magistrato, una nuova facoltà squisitamente processuale: il fascio applicativo della previsione in esame prescinde dalla natura della controversia (e, cioè, dall’elenco delle materie sottoposte alla cd. mediazione obbligatoria: art. 5 comma I-bis, d.lgs. 28/2010) e, per l’effetto, può ricadere anche su un controversia quale quella in esame, avente ad oggetto il recupero di un credito rimasto insoddisfatto. Giova, peraltro, ricordare come i mediatori ben potrebbero estendere la «trattativa (rectius: mediazione)» ai fatti di lite considerati in modo complessivo, così affrontando, in sede conciliativa, la questione dei due crediti in modo cumulativo.
Va ricordato alle parti che, per effetto della mediazione ex officio, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Anche per le mediazioni attivate su disposizione del giudice, è vincolante la previsione di cui al novellato art. 4 comma III d.lgs. 28/2010: la domanda di mediazione, pertanto, va presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia.

P.Q.M.

Letto ed applicato l’art. 5, comma II, d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28,
Dispone l’esperimento del procedimento di mediazione avvisando le parti che esso è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Fissa nuova udienza in data __ 6.2016 ore____ assegnando alle parti il termine di quindici giorni dalla notifica dell’odierna ordinanza, per la presentazione della domanda di mediazione (da depositarsi nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia; v. art. 4, comma I, dlgs 28/10).
Manda alla cancelleria per le comunicazioni alle parti costituite.
Si comunichi.
Milano, lì 14 ottobre 2015
Il Presidente est.
Dr.ssa Enrica Manfredini

tribunale siracusa

Tribunale di Siracusa, II sez. civile, ordinanza 11 settembre 2015

Il Tribunale di Siracusa, confermando il proprio orientamento sul punto (cfr. ord. 30 marzo 2013), torna a formulare l’espresso invito al mediatore affinché formuli una proposta conciliativa, anche in mancanza di istanza congiunta delle parti.
Né si tratta dell’unico precedente rintracciabile in giurisprudenza.
In effetti, già il Tribunale di Firenze, con ordinanza 30 giugno 2014, seppur in sede di mediazione demandata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, dopo aver evidenziato la necessità “…che al primo incontro l’attività di mediazione sia concretamente espletata (ferma la gratuità di cui all’art 17 V co. ter in caso di mancato accordo ed indisponibilità delle parti ad ulteriore incontro)”, aveva invitato “…il mediatore ad avanzare proposta conciliativa, pur in assenza di congiunta richiesta delle parti (art. 11, co. 1, D.lgs. cit.)”.
Nel caso di specie oggi in commento, a fronte dell’opposizione del correntista intimato al decreto ingiuntivo ottenuto dalla Banca, in sede di udienza fissata per i provvedimenti cautelari il Giudice, negata la provvisoria esecutività, disponeva il termine di legge per l’instaurazione del procedimento di mediazione (dunque, non delegata, ma obbligatoria data l’opposizione a decreto ingiuntivo in materia bancaria), richiamando, in primis, “…la necessità che al primo incontro l’attività di mediazione sia certamente espletata”, con conseguente improcedibilità della domanda in caso di mancato effettivo svolgimento della stessa, e, per l’appunto, invitando il mediatore a formulare la proposta conciliativa anche in difetto di istanza congiunta delle parti in tal senso.
Ora, chi scrive ha già avuto modo di esprimere le proprie perplessità in ordine all’adozione di provvedimenti siffatti.
Ciò, fondamentalmente, per due ordini di ragioni.
Innanzitutto, il Giudice può formulare l’invito de quo al mediatore? A me sembra di no, se non, per l’appunto, sotto forma di mero invito, come tale disattendibile.
Il Mediatore non è un ausiliario del giudice, dunque sembra arduo riconoscere una qualche portata vincolante all’invito; se così fosse, peraltro, ciò andrebbe ad incidere anche sulla scelta dell’Organismo ad opera della parte diligente, dal momento che numerosi sono quelli in cui il Regolamento non consente al Mediatore di formulare proposte fuori dalle ipotesi di istanza congiunta in tale senso delle parti.
D’altronde, se l’invito si risolvesse in un mero “suggerimento”, non si comprenderebbe l’ulteriore invito, egualmente rintracciabile nell’ordinanza in commento, ad informare tempestivamente il Giudice, ai fine della “…statuizione sulle spese processuali del giudizio, in caso di ingiustificato rifiuto delle parti della proposta di conciliazione formulata dal mediatore”.
In secondo luogo, anche a considerarlo ammissibile, l’invito in parola potrebbe, a mio avviso, produrre conseguenze tutt’altro che positive. Certamente provvedimenti così strutturati possono “spingere” ad una soluzione conciliativa della controversia che, in molti casi, appare decisamente auspicabile, ma occorrerebbe, forse, una più dettagliata formulazione dell’invito.
Ove si tenga conto di quanto disposto dall’art. 11, co. 1, D.lgs 28/2010,in ordine all’aumento (lieve, ma pur sempre previsto) dei costi a carico delle parti nel caso di formulazione della proposta conciliativa (aumento perfettamente giustificabile nel caso di istanza congiunta, molto meno se frutto della iniziativa unilaterale del mediatore) e delle possibili conseguenze connesse al rifiuto della stessa, la considerazione che precede non appare peregrina.
Né va sottovalutato il fatto che il mediatore deve essere in grado di approfondire adeguatamente la conoscenza dei reali interessi delle parti, correndosi altrimenti il rischio di una proposta – inevitabilmente di natura transattiva – che difficilmente potrà incontrare il favore di entrambe le parti ma che, verosimilmente, sarà vista come un “prendere o lasciare” e, pertanto, accettata obtorto collo al solo fine di evitare eventuali pesanti conseguenze negative sul piano processuale.
Resta poi da precisare come dovrebbe comportarsi il mediatore nell’ipotesi, improbabile ma pur sempre possibile, di mancata adesione al procedimento della parte “non diligente”: fermo il fatto che in tal caso il mediatore, non avendo un contraddittorio, non sarebbe in grado di formarsi una propria opinione e rischierebbe, quindi, di assecondare troppo le richieste dell’unica parte presente in mediazione, potrebbe quest’ultima, forte dell’invito del giudice, chiedere comunque la formulazione della proposta?
In caso di risposta affermativa al quesito da ultimo proposto, il pericolo di “proposta creativa” appare, francamente, troppo forte.
Dott. Luigi Majoli

Testo integrale:

Tribunale di Siracusa
II Sezione Civile

Il Giudice, dott. Alessandro Rizzo, nel procedimento sub ___/2014 R.G., a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 3 giugno 2015, osserva quanto segue:
1. a fronte dell’istanza di concessione della provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c., il Giudice deve provvedere “in prima udienza”, di modo che l’istanza di parte opponente di concessione di termine per il deposito di note è inammissibile.
2. Ai sensi dell’art. 2697 c.c. la banca che domanda il pagamento del saldo debitore del conto corrente, come attrice, o quale parte opposta – ma attrice in senso sostanziale – nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi posti a base della propria pretesa creditoria.
L’istituto di credito, quindi, ha l’onere di dimostrare l’esistenza e la consistenza del preteso credito, mediante la produzione del titolo genetico, ovvero del contratto posto a base della domanda, nonché delle scritture contabili di riferimento, vale a dire degli estratti conto relativi alla intera durata del rapporto, dall’apertura alla estinzione del conto, atteso che soltanto attraverso una compiuta e integrale valutazione continuativa dei singoli saldi trimestrali può pervenirsi all’accertamento dell’ipotetico saldo debitore finale (tra le tante, Cass. 9695/2011).
Ciò premesso in diritto,_____ha versato in atti tanto la copia dei contratti di conto corrente ordinario n. ___/___/___ del 6 giugno 2008 e di conto corrente anticipi n. 0__/1___/___ del 21 ottobre 2011, oltre ai relativi estratti conto a far tempo dalla stipula e sino “al passaggio a sofferenza” dei rapporti, senza che risulti tuttavia dagli atti l’intercorsa estinzione degli stessi alla data della proposizione della domanda monitoria (refluendo tale ultimo profilo sull’esigibilità del credito), di modo che, valutato come parziale l’apparente riconoscimento del debito di cui al doc. 5 di parte opposta – ad ogni modo, sottoscritto dalla sola società opponente – deve denegarsi la richiesta concessione della clausola di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto.
3. Non avendo le parti domandato concedersi i termini ex art. 183, co. VI c.p.c., deve ritenersi la causa matura per la decisione, previa rimessione delle parti in mediazione
ex art.5, D.Lgs. 28/2010.

P.Q.M.

Visto l’art. 648 c.p.c.

RIGETTA l’istanza di concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto;
DISPONE che le parti, assistite dai rispettivi difensori, promuovano il procedimento di mediazione, con deposito della domanda di mediazione presso organismo abilitato, entro il termine di 15 giorni a decorrere dalla comunicazione della presente ordinanza;
EVIDENZIA la necessità che al primo incontro l’attività di mediazione sia certamente espletata;
INVITA il mediatore ad avanzare proposta conciliativa, pur in assenza di congiunta richiesta delle parti ex art. 11, co. 1 D.L.gs 28/2010;
RAMMENTA che il mancato, effettivo esperimento della suddetta procedura è sanzionato a pena di improcedibilità della domanda;
INVITA le parti ad informare tempestivamente il Giudice, anche mediante comunicazione presso l’indirizzo alessandro.rizzo01@giustizia.it, anche in relazione a quanto stabilito dagli artt. 8, co. IVbis e 13 D.Lgs. 28/2010, rispettivamente per l’ipotesi della mancata partecipazione delle parti (sostanziali),
senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione, ed in tema di statuizione sulle spese processuali del giudizio, in caso di ingiustificato rifiuto delle parti della proposta di conciliazione formulata dal mediatore;
attesa la necessità di progressiva riorganizzazione del ruolo ed, in particolare, l’esigenza di riorganizzazione delle udienze di discussione e di precisazione delle conclusioni, al fine di garantire il tempestivo deposito dei provvedimenti, avuto riguardo anche all’aggravio del ruolo dello scrivente per l’effetto della migrazione di n.200 fascicoli (gran parte dei quali già chiamati per l’udienza di precisazione delle conclusioni) dal ruolo di altro magistrato della Sezione, di cui al
provvedimento medio tempore adottato di variazione urgente della tabella organizzativa del Tribunale di Siracusa ai sensi del par. 14.1 della circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli ufficio giudicanti per il triennio 2012-2014 (prot__________ del 7 aprile 2014);
ritenuto, in specie, che debba farsi applicazione del criterio oggettivo della priorità di trattazione e decisione dei procedimenti con data di iscrizione a ruolo più risalente, anche alla luce delle indicazioni di cui al programma di gestione ex art. 37 D.L. n. 98/2011 del Tribunale di Siracusa per l’anno 2015;
rilevato che occorre, quindi, procedere ad una razionale e graduale riorganizzazione del ruolo secondo i criteri sopra individuati ed avuto riguardo anche agli effetti della variazione tabellare urgente medio tempore disposta, di cui sopra;
rilevato che la presente causa reca n. R.G. 6446/2014,

FISSA

l’udienza del 14 febbraio 2018, ore 11 per la precisazione delle conclusioni;
si comunichi alle parti.

Siracusa, 11/09/2015.
Il Giudice
Dott. Alessandro Rizzo

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