effettività mediazione

Tribunale di Verona, ordinanza 24 marzo 2016

Con un provvedimento che spicca per ampiezza e complessità dell’apparato motivazionale, il Tribunale di Verona si esprime su due questioni che, seppure in misura diversa, continuano ad essere oggetto di dibattito in giurisprudenza, vale a dire, da un lato, se le domande riconvenzionali proposte dal convenuto, ove ricadenti su materie per le quali è prevista l’obbligatorietà della mediazione debbano essere assoggettate al relativo procedimento, e dall’altro, se possa considerarsi assolta la condizione di procedibilità della domanda giudiziale allorché le parti non vadano oltre il primo incontro (c.d. effettività del tentativo di mediazione).

In sostanza, nel caso di specie, il convenuto (Banca) eccepiva l’improcedibilità della domanda dell’attore in quanto il tentativo di mediazione non sarebbe stato effettivamente svolto, mentre, a sua volta, la difesa attorea contestava l’eccezione di improcedibilità ex adverso sollevata, eccependo l’improcedibilità della domanda riconvenzionale della banca convenuta ex art. 5, co. 1 – bis, D.Lgs 28/10, per mancato esperimento della mediazione obbligatoria, anche alla luce del principio di parità di trattamento ex art. 3 della Costituzione tra l’attore e il convenuto, richiamando, tra l’altro, quella giurisprudenza di merito che (per la verità sotto la vigenza dell’originario modello di mediazione) aveva ritenuto di doversi esprimere in tal senso (Cfr. Trib. Como, sez. Cantù, 2 febbraio 2012 e Trib. Roma, 15 marzo 2012).

Secondo il Giudice veneto, entrambe le eccezioni sollevate dalle parti risultano prive di pregio.

In particolare, per quanto concerne l’eccezione di improcedibilità sollevata dalla convenuta, il Tribunale osserva come la stessa non possa ritenersi persuasiva.

Infatti, richiamato come acquisito “…l’orientamento giurisprudenziale che assume che lo svolgimento della mediazione obbligatoria assolva la condizione di procedibilità solo quando vi partecipino le parti personalmente (assistite dai difensori) e non solo i difensori (sul punto in esame, ex multis, Trib. Firenze 19/3/14 est. Breggia; Trib. Pavia 9/3/15 est. Marzocchi; Trib. Vasto 9/3/15 est. Pasquale; Trib. Roma sez. III 19/2/15; Trib. Roma, 14/12/15)” e rimarcato come l’ipotesi, per così dire fisiologica, è quella in cui partecipino alla mediazione entrambe le parti (istante e chiamata), il Giudice passa in rassegna le norme del D.lgs 28/2010, come modificate dalla L. 98/2013, che disciplinano lo svolgimento della mediazione rispetto al tema della procedibilità della domanda.

Come ben noto, secondo l’art. 5, co. 2 – bis, “Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”, mentre, a norma dell’art. 8, co. 1, “Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”.

Ebbene, notevolmente distanziandosi, sul punto, dal noto orientamento “fiorentino” consolidatosi successivamente alle ordinanze 17 e 19 marzo 2014 del Tribunale toscano, nella motivazione del provvedimento in esame si osserva che il menzionato art. 8, co. 1, D.lgs 28/2010, “… impone di ritenere che il primo incontro tra le parti e il mediatore abbia la funzione di verificare la volontà e disponibilità delle parti, informate sulla natura e funzione della mediazione cui il mediatore intende procedere, ad ‘autorizzare’ l’avvio della procedura, consentendo loro altresì di fornire le eventuali giustificazioni per non procedervi; ritenuto che tale ricostruzione sia pienamente avallata dal richiamato art. 5, comma 2 bis, che, nell’affermare espressamente che “…la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”, implicitamente ammette che il primo incontro informativo non è un momento estraneo alla ricerca dell’accordo e che la mediazione possa legittimamente chiudersi al primo incontro, sicché nell’espressione ‘senza l’accordo’ deve necessariamente rientrare anche l’ipotesi che le parti o una di esse non intendano tout court proseguire con la mediazione, ritenendo preferibile che la controversia sia conosciuta dall’autorità giudiziaria (sostanzialmente conforme a tale ricostruzione anche Tribunale Taranto, sez. II, ord. 16/04/2015)”.

Secondo la pronuncia in oggetto, in altri termini, l’effettività della mediazione sarebbe bensì richiesta dalla normativa vigente, non potendosi, ovviamente, condizionare la procedibilità della domanda giudiziale ad un tentativo meramente eventuale, ma dovrebbe considerarsi realizzata “…sic et simpliciter nel mettere le parti nella condizione di prendervi parte, all’interno della cornice procedimentale che la legge predispone come obbligatoria, senza che tuttavia il perseguimento dello scopo dell’effettività della mediazione possa essere ‘forzato’ sino al punto di ritenere non assolta la condizione di procedibilità anche quando la parte, all’esito del primo incontro con il mediatore, rifiuti di proseguire con la mediazione manifestando la chiara e ferma volontà che la controversia sia conosciuta dall’autorità giudiziaria, cioè dall’organo cui l’ordinamento costituzionale conferisce l’attribuzione dei poteri giurisdizionali”.

Come si vede, un’interpretazione diametralmente opposta rispetto alle “aperture”, peraltro sempre più frequenti in giurisprudenza, cui l’ “onda lunga” degli orientamenti fiorentini in precedenza menzionati ha ormai abituato, e non solo in tema di mediazione demandata, coloro i quali operano nell’ambito della mediazione.

“Aperture” secondo le quali, come è noto, l’art. 8, D.lgs 28/2010, dovrebbe essere letto nel senso “…di attribuire al mediatore il compito di verificare l’eventuale sussistenza di concreti impedimenti all’effettivo esperimento della procedura e non già quello di accertare la volontà delle parti in ordine all’opportunità di dare inizio alla stessa” (in questi termini Tribunale Firenze, Sez. spec. Impresa, ordinanza 15 ottobre 2015; Tribunale Firenze, ordinanza 26 novembre 2014), dovendosi altrimenti ipotizzare una mediazione di fatto facoltativa, dal momento che ciascuno dei partecipanti finirebbe con il godere della  titolarità di un vero e proprio “…diritto potestativo alla chiusura del procedimento” (cfr. Tribunale Palermo, ordinanza 16 luglio 2014), circostanza, quest’ultima, invero bizzarra nel contesto in un meccanismo stragiudiziale preventivo, in quanto concepito dal legislatore come condizione di procedibilità della domanda.

Secondo il Giudice veneto, un approccio di tal fatta deve essere criticato sotto molteplici aspetti, che vengono minuziosamente esplicitati.

Innanzitutto, detto orientamento andrebbe a sposare una lettura estensiva del testo attualmente vigente del D.lgs 28/2010 “…senza considerare che le norme ordinarie che prevedono una giurisdizione cd. ‘condizionata’ sono di stretta interpretazione (cfr. ex multis Corte Cost. 403/07), trattandosi di norme eccezionali che, in quanto derogative del principio del libero accesso al giudice, non possono essere interpretate in senso estensivo né essere applicate in via analogica ma devono al contrario essere interpretate nel loro significato minore, quello cioè che utilmente (e sufficientemente) realizza il fine che le stesse perseguono”.

In secondo luogo, l’opinione in parola non terrebbe conto “…della volontà del legislatore della riforma di <…alleggerire le (pur) riproposte fattispecie d’obbligo>, anche con riguardo alle criticità evidenziate in merito ai costi della mediazione, rendendo possibile il soddisfacimento della condizione di procedibilità con la semplice partecipazione a un primo incontro a contenuto informativo ed il pagamento del solo costo fisso per il deposito dell’istanza o dell’adesione”.

Si giunge, poi, all’aspetto che appare centrale: la difficoltà di individuare quali siano, nello specifico e sul terreno pratico, “concreti impedimenti all’effettivo esperimento della procedura” (così Tribunale di Firenze, ordinanza 15 ottobre 2015, già citata); secondo l’ordinanza in commento, a tale proposito, più che di difficoltà dovrebbe parlarsi di impossibilità, laddove non si tenesse nel dovuto conto che, nell’ottica del legislatore, il principale impedimento all’effettivo esperimento della procedura sarebbe rappresentato dall’eventuale “…legittima volontà contraria della parte che, una volta ricevuta l’informativa sulla funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, conservi l’intendimento di sottoporre le sue ragioni all’autorità giudiziaria, e che non può, pertanto – se non al costo di affermazioni paternalistiche per non dire autoritarie – essere marginalizzata e ridotta a mero capriccio sino ad essere attinta dalla sanzione della improcedibilità della corrispondente domanda di giustizia financo nel caso in cui la parte, con la sua presenza innanzi al mediatore all’incontro informativo, ha realizzato la condotta che la legge all’art. 5 comma 2 bis, cit. testualmente indica integratrice della condizione di procedibilità (così finendo anche – ed irragionevolmente – per sanzionare più severamente la parte che, partecipando al procedimento di mediazione, manifesti la volontà di non conciliare rispetto a quella che ometta tout court di parteciparvi);

Infine, il Giudice osserva che se l’ordinamento riconosce il diritto del soggetto evocato in causa a non partecipare al processo restando contumace, analogamente dovrebbe “…riconoscere al soggetto convocato in mediazione quantomeno il diritto di non aderirvi”; ragione per cui, salvo “…cedere a pericolose tentazioni di giurisdizionalizzare il foro interno della persona (gesinnung), bisogna riconoscere che la partecipazione effettiva della parte al procedimento di mediazione è e resta un fatto sostanzialmente incoercibile e non sanzionabile se non sul piano delle spese legali e nei limiti di cui alla legge, non potendo non riconoscersi alle parti, in qualsiasi momento del procedimento, la facoltà di sottrarvisi, sopportandone sì le conseguenze processuali ma non in chiave di improcedibilità della domanda, di dubbia compatibilità con l’art. 24 della Costituzione”.

Sulla base di tale complesso di considerazioni, dunque, il Giudice non può che propendere per il rigetto dell’eccezione, sollevata dalla Banca convenuta, di improcedibilità della domanda dell’attore, stante, comunque, il fatto della partecipazione di quest’ultimo al primo incontro dinanzi al mediatore.

Peraltro, anche la speculare eccezione attorea di improcedibilità della domanda riconvenzionale della banca convenuta per mancato esperimento della mediazione obbligatoria ai sensi del  D.lgs. 28/10 deve ritenersi infondata.

Ciò, malgrado detta domanda riconvenzionale (finalizzata al pagamento del saldo passivo del conto corrente bancario intercorso tra la banca stessa e l’attore) rientri a tutti gli effetti tra quelle, relative ai contratti bancari, che l’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, subordina ratione materiae alla mediazione obbligatoria.

Ora, anche in ordine all’assoggettabilità alla mediazione della domanda riconvenzionale rientrante nelle materie di cui sopra, sussistono contrapposti orientamenti giurisprudenziali, conseguenti a diversificate ricostruzioni interpretative del citato art. 5, co. 1 – bis, nella parte in cui prevede che “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di (…) è tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione”.

Muovendo dalla ovvia considerazione che rispetto alla domanda riconvenzionale il convenuto è processualmente attore in senso sostanziale, dovrebbe dedursi che ogni domanda proposta in giudizio, quindi anche le domande riconvenzionali (e quelle proposte dal terzo intervenuto volontariamente o chiamato in causa, sempre con riferimento alle  materie indicate dall’art. 5, co. 1 – bis, D.Lgs. 28/10) debba necessariamente soggiacere alla mediazione obbligatoria (in tal senso, Tribunale Firenze 14 febbraio 2012; Tribunale Como, Sez. Cantù, 2 febbraio 2012; Tribunale Roma 15 marzo 2012).

Diverso, invece, è l’approccio cui il Tribunale di Verona ritiene di aderire nella pronuncia in esame, sulla base di una pluralità di ragioni “…sinteticamente compendiabili: A) nell’esigenza di interpretare l’art. 5 D.Lgs. 28/10 alla luce dei principi: 1) di ragionevole durata del processo; 2) di efficienza ed effettività della tutela giurisdizionale rispetto alle norme di deroga alla giurisdizione alla luce dell’art. 24 Cost.; 3) di equilibrio nella relazione tra procedimento giudiziario e mediazione come espresso dalla Direttiva 2008/52/CEE; B) nell’esigenza di rispettare l’autentica finalità dell’istituto mediatorio che è marcatamente deflattiva, tenuto conto che, rispetto alla domanda riconvenzionale, l’esperimento della mediazione <…non sortirebbe l’effetto di chiudere il giudizio in corso>, poiché <…non è generalmente idoneo, dopo il fallimento del procedimento di mediazione sulla domanda principale, a porre fine al giudizio> (Trib. Palermo, sez. distaccata di Bagheria, ordinanza 11 luglio 2011.); C) nell’esigenza di evitare la formulazione di domande riconvenzionali ‘strumentali’ al solo fine di imporre al giudice l’invio in mediazione, con conseguente allungamento dei tempi processuali anche per la definizione della domanda principale ovvero separazione della domanda riconvenzionale da quella principale, con quanto deriverebbe in termini di proliferazione delle cause e aggravamento degli adempimenti amministrativi di cancelleria”.

Con la conseguenza, dunque, che anche l’eccezione sollevata dall’attore di improcedibilità della riconvenzionale proposta dalla convenuta, per mancato esperimento della mediazione obbligatoria, deve considerarsi priva di pregio e che, pertanto, la causa deve proseguire per la decisione di merito sull’intero thema decidendum, con rimessione, per ciò che concerne le spese di lite, al giudizio definitivo.

Ora, se per quanto riguarda il concetto (ben più complesso, in quanto difficilmente definibile in modo pacifico alla luce della norme positive a tutt’oggi vigenti, non certo un preclaro esempio di coerenza sistematica ed espositiva) di “effettività” del tentativo di mediazione, di ciò che è richiesto, in sostanza, al fine di potersi ritenere assolta la condizione di procedibilità della domanda, i dubbi restano e – sia consentito – non sono di poco conto, per quanto concerne invece la non assoggettabilità delle riconvenzionali alla mediazione le considerazioni svolte nel provvedimento in commento appaiono francamente convincenti sotto tutti i profili.

Peraltro, l’orientamento accolto dal Tribunale di Verona è già stato fatto proprio da numerosi Uffici giudiziari, non rappresenta dunque un’eccezione nel panorama giurisprudenziale, potendosi anzi considerarsi ormai maggioritario (cfr. per tutti Tribunale di Reggio Calabria, ordinanza 22 aprile 2014, in cui si osserva come “…pur se l’art. 5 d. lgs. n. 28/2010 non sembra distinguere tra domanda principale e quella riconvenzionale, laddove fa genericamente riferimento a “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a…”, la ratio della legge, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, che faccia salvi i principi della ragionevole durata del processo e dell’efficienza ed effettività della tutela giurisdizionale (anche in relazione alla direttiva 2008/52/CEE, in tema di equilibrata relazione tra procedimento giudiziario e mediazione), sembra indicare che:

a) l’obbligo di preventiva mediazione, avendo come prioritario scopo quello di evitare l’instaurazione di un giudizio che, nel caso in esame, è comunque sorto, non sortirebbe, comunque, l’effetto di definire l’intero contenzioso, posto che in ipotesi il tentativo conciliativo è già fallito per la domanda principale e la mediazione per le riconvenzionali non sarebbe preventiva, ma successiva;

b) si avrebbe un allungamento dei tempi del processo, in contrasto con l’art. 111 Cost., senza possibilità di verificare l’eventuale scopo dilatorio dell’azione del convenuto o del terzo; c) lo stesso art. 5 cit. faculta il convenuto ad eccepire il mancato tentativo di mediazione e tale va considerato chi viene citato in giudizio e non già chi, avendo promosso un’azione e, pertanto, notificato ad altri una vocatio in ius, risulti a sua volta destinatario di una domanda, collegata a quella originaria”.

Sulla base delle considerazioni finora svolte, sembra possibile individuare diverse ipotesi e, forse, qualche punto fermo.

Innanzitutto, può darsi il caso in cui la domanda dell’attore non sia soggetta a mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, co. 1 – bis, mentre lo sia quella riconvenzionale del convenuto, avendo ad oggetto una delle materie fra quelle indicate nella norma richiamata. In tale ipotesi, non sembrano sussistere dubbi circa l’onere incombente sul convenuto di proporre rituale e tempestiva istanza di mediazione in relazione alla procedibilità della propria domanda riconvenzionale.

In favore della ricostruzione in parola milita l’argomento, che appare insuperabile, della intrinseca differenza tra la riconvenzionale, vera e propria domanda autonoma, e le eccezioni del convenuto, “…dal momento che queste ultime non hanno vita propria, risultando intrinsecamente collegate alle domande di parte avversa cui mirano ad opporsi” (in tal senso Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 27 novembre 2014).

Ove invece sia la domanda originaria dell’attore che quella riconvenzionale del convenuto risultino rientranti nell’alveo della mediazione obbligatoria, si pongono, in assenza di istanza di mediazione congiunta, le problematiche di cui sopra.

Non ritenendosi di accogliere, in ragione della sua farraginosità, la tesi secondo cui ciascuna delle parti titolari di un diritto azionato sotto forma di domanda vera e propria, come lo è la domanda riconvenzionale, sarebbe onerata al fine di realizzare la condizione di procedibilità di proporre l’istanza di mediazione, si potrebbe ritenere che “…che una volta che l’attore abbia introdotto la procedura di mediazione, ciò valga a ritenere realizzata la condizione di procedibilità per tutte le domande, ivi comprese le eventuali riconvenzionali, e che eguale effetto produca l’introduzione della domanda di mediazione da parte del solo convenuto in relazione alla propria riconvenzionale. Si tratta di una interpretazione che semplifica, in quanto la mediazione potrebbe ritenersi espletata, e la condizione di procedibilità soddisfatta, purché tutte le parti vi abbiano, nei modi di legge, partecipato” (così Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 27 novembre 2014, cit.).

D’altronde, la legge impone che la mediazione si svolga fra le parti su ciò che è il reale oggetto del loro contendere, altrimenti ne deriverebbe una mediazione fuori asse rispetto alla controversia, e quindi verosimilmente inefficace perché non calibrata sull’oggetto ed sulle ragioni effettive del conflitto.

Ben diversa, invece, si prospetta la situazione in presenza di domanda riconvenzionale  formulata dal convenuto nell’ambito di un giudizio nel quale venga disposta la mediazione demandata di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.

In quest’ultima ipotesi, non sembra potersi prescindere da una considerazione decisiva: il giudice, nel momento in cui, valutando la “mediabilità” della controversia, ne dispone per l’appunto il trasferimento in mediazione, opera con riferimento all’intera controversia innanzi a sé pendente.

Ne consegue, dunque, che, al fine di soddisfare al contempo tanto l’ordine del giudice quanto la previsione di procedibilità condizionata all’adempimento a tale ordine, è necessario che le parti congiuntamente (o una qualsiasi di esse) introducano la mediazione su tutta la lite, così da consentire che tutte le questioni dedotte sia con la domanda principale sia con la riconvenzionale possano trovare cittadinanza presso il tavolo della mediazione.

In sintesi, dunque, appare evidente che, a prescindere dalla natura della mediazione, essa deve sempre e comunque avere ad oggetto l’intera controversia insorta tra le parti, dal momento che non avrebbe alcun senso postulare una qualche possibilità di accordo conciliativo laddove si ammettesse che determinate domande possano essere lasciate fuori dal dialogo innanzi al mediatore, riguardando il procedimento solo alcune delle questioni controverse.

Si riporta il testo integrale dell’ordinanza 24 marzo 2016 del Tribunale di Verona, dal momento che la stessa ha costituito il punto di partenze delle riflessioni in questa sede sviluppate.

Dott. Luigi Majoli

TRIBUNALE DI VERONA

N.R.G. 0/2014

(omissis) Successivamente, davanti al G.I. Dr. E. Tommasi di Vignano, all’udienza del 24/03/2016 sono presenti per il ricorrente/attore P. l’Avv. P. unitamente all’attore personalmente, per il B. resistente/convenuto l’Avv. C. in sostituzione dell’Avv..
Il Giudice Dr. Eugenia Tommasi di Vignano, dando pubblica lettura del dispositivo e dei motivi, ha pronunciato la presente
(omissis)
ritenuta la legittimità processuale della motivazione c.d. per relationem (cfr. Cass. 3636/07; Cass. Sez. Lav. 8053 del 22/5/12 e Cass. 11199 del 4/7/12) ed evidenziato che per consolidata giurisprudenza del S.C. il giudice, nel motivare ‘concisamente’ la sentenza secondo i dettami di cui all’art. 118 disp.att.c.p.c., non è tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti, potendosi limitare alla trattazione delle sole questioni – di fatto e di diritto – che risultano “… rilevanti ai fini della decisione” concretamente adottata (Cass., n. 17145/06);
richiamata adesivamente Cass. SS.UU. 16 gennaio 2015, n. 642, secondo la quale nel processo civile – ed in quello tributario, in virtù di quanto disposto dal secondo comma dell’art. 1 d.lgs. n. 546 del 1992 – non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata, dovendosi anche escludere che, alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di rito civile e nella Costituzione, possa ritenersi sintomatico di un difetto di imparzialità del giudice il fatto che la motivazione di un provvedimento giurisdizionale sia, totalmente o parzialmente, costituita dalla copia dello scritto difensivo di una delle parti;
richiamato per relationem il contenuto dell’atto di citazione, con cui l’attore chiede: 1) dichiararsi la violazione da parte della banca delle regole di condotta nella prestazione del servizio di investimento fornito in occasione dell’acquisto di strumenti finanziari Azioni Unipol ORD. Cod. 1074570 effettuato il 9/4/98 per totali € 507.542,16 rispetto agli artt. 21 e 23 TUF, 29, 31, 32, 35 2 comma, 37, 39 e 40 Regolam. Intermediari Consob (Delib. 16190/07) 1176, 1218 e 1375 cod.civ.; 2) dichiararsi la risoluzione per inadempimento sdia del contratto quadro che dei singoli ordini di acquisto, con ogni conseguente effetto restitutorio; 3) condannarsi la banca al risarcimento dei danni quantificati in linea capitale in € 493.605,00 oltre interessi dalla data dell’acquisto, con refusione delle spese di lite; richiamato per relationem il contenuto della comparsa di costituzione e risposta, con la quale la banca ha articolatamente e su più fronti contestato l’ammissibilità e la fondatezza della domanda attorea chiedendone declaratoria di inammissibilità/rigetto, e ha spiegato domanda riconvenzionale di condanna dell’attore al pagamento del saldo negativo del conto corrente n. 6958 per € 302.935,71, con refusione delle spese di lite; richiamato integralmente il verbale dell’udienza del 16/10/14, nel corso della quale la banca, premesso che la controversia rientra tra quelle per le quali è obbligatorio l’esperimento della procedura di mediazione di cui al D. Lgs 28/10, ha sollevato l’eccezione di improcedibilità delle domande attoree per mancato esperimento ‘effettivo’ della mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1 bis del citato D.Lgs. 28/10 intrapresa dall’attore, essendosi questo limitato a rifiutare, in occasione del primo incontro con il mediatore, di iniziare la procedura a seguito della mera illustrazione da parte del mediatore della funzione e modalità di svolgimento della mediazione (cfr. doc. 15 attoreo – Verbale di primo incontro del 31/10/13), richiamando giurisprudenza di merito che assume che la mediazione deve svolgersi alla presenza personalmente delle parti assistite dai difensori art. 8 D.Lgs 28/10 ed essere ‘effettivamente’ avviata, senza che possa pertanto ritenersi verificata la condizione di procedibilità dopo un solo primo incontro in cui il mediatore si limiti a chiarire alle parti presenti la funzione e la modalità di svolgimento della mediazione e senza cioè che vi sia una effettiva chance di raggiungimento dell’accordo conciliativo (cfr. Trib. Firenze 19/3/14, e nello stesso senso Trib. Palermo 16/7/14; Trib. Rimini 16/7/14; Trib. Roma 17/7/14);
dato atto che la banca ne ha ricavato che il mancato svolgimento del procedimento di mediazione in modo effettivo, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, comporta l’improcedibilità del presente giudizio ai sensi del citato art. 5, comma 1 bis, D.Lgs 28/10;
rilevato che la difesa attorea ha contestato l’eccezione di improcedibilità avversaria ed ha eccepito a sua volta l’improcedibilità della domanda riconvenzionale della banca ex art. 5, comma 1 bis del D.Lgs 28/10 per mancato esperimento della mediaconciliazione obbligatoria, anche alla luce del principio di parità di trattamento ex art. 3 della Costituzione tra l’attore e il convenuto, richiamando giurisprudenza di merito che si è espressa in tal senso (Trib. Como, sez. Cantù 2/2/12 e Trib. Roma 15/3/12) ed evidenziando la contraddittorietà della condotta della banca con violazione del divieto di venire contra factum proprium per avere invocato l’improcedibilità della domanda attorea, pur avendo ritenuto inutile intraprendere la mediaconciliazione sulla propria domanda riconvenzionale rispetto alla quale la banca è attrice;
rilevato che la banca ha osservato in replica che la domanda riconvenzionale ha ad oggetto il mero recupero di un credito e che in quanto tale non è soggetta a mediazione obbligatoria;
richiamato integralmente quanto evidenziato dalle parti anche in sede di discussione orale della causa;
rilevato in fatto che, nel caso di specie, sia l’attore che la banca hanno preso parte al primo incontro con il mediatore e che l’attore, ricevuta dal mediatore l’informativa sulla funzione e sulle modalità di svolgimento della mediazione, si è espresso negativamente sulla possibilità di intraprenderla (cfr. doc. 15 attoreo);
ritenuta in iure la non persuasività dell’eccezione della banca di improcedibilità della domanda attorea per mancato ‘effettivo’ svolgimento della mediazione obbligatoria per avere l’attore rifiutato di procedere dopo il primo incontro informativo; richiamato come acquisito l’orientamento giurisprudenziale che assume che lo svolgimento della mediazione obbligatoria assolva la condizione di procedibilità solo quando vi partecipino le parti personalmente (assistite dai difensori) e non solo i difensori (sul punto in esame, ex multis, Trib. Firenze 19/3/14 est. Breggia; Trib. Pavia 9/3/15 est. Marzocchi; Trib. Vasto 9/3/15 est. Pasquale; Trib. Roma sez. III 19/2/15; Trib. Roma, 14/12/15) e dato atto che l’ipotesi normale è quella in cui partecipino alla mediazione entrambe le parti (attore e convenuto);
richiamate le norme del D. Lgs. 28/10, come modificate dalla L. 98/13, che disciplinano lo svolgimento della mediazione rispetto al tema della procedibilità della domanda e, in particolare, gli art. 5, comma 2 bis (“Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”), e 8, 1 comma (“Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”);
ritenuto che il detto art. 8, 1 comma – come attenta dottrina ha evidenziato valorizzandone il dato testuale – impone di ritenere che il primo incontro tra le parti e il mediatore abbia la funzione di verificare la volontà e disponibilità delle parti, informate sulla natura e funzione della mediazione cui il mediatore intende procedere, ad ‘autorizzare’ l’avvio della procedura, consentendo loro altresì di fornire le eventuali giustificazioni per non procedervi;
ritenuto che tale ricostruzione sia pienamente avallata dal richiamato art. 5, comma 2 bis, che, nell’affermare espressamente che “…la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”, implicitamente ammette che il primo incontro informativo non è un momento estraneo alla ricerca dell’accordo e che la mediazione possa legittimamente chiudersi al primo incontro, sicchè nell’espressione ‘senza l’accordo’ deve necessariamente rientrare anche l’ipotesi che le parti o una di esse non intendano tout court proseguire con la mediazione, ritenendo preferibile che la controversia sia conosciuta dall’autorità giudiziaria (sostanzialmente conforme a tale ricostruzione anche Tribunale Taranto, sez. II, ord. 16/04/2015);
osservato che in tale prospettiva, l’effettività della mediazione si realizza sic et simpliciter nel mettere le parti nella condizione di prendervi parte, all’interno della cornice procedimentale che la legge predispone come obbligatoria, senza che tuttavia il perseguimento dello scopo dell’effettività della mediazione possa essere ‘forzato’ sino al punto di ritenere non assolta la condizione di procedibilità anche quando la parte, all’esito del primo incontro con il mediatore, rifiuti di proseguire con la mediazione manifestando la chiara e ferma volontà che la controversia sia conosciuta dall’autorità giudiziaria, cioè dall’organo cui l’ordinamento costituzionale conferisce l’attribuzione dei poteri giurisdizionali; ritenuto che, per quanto detto, non può in alcun modo condividersi l’assunto pure sposato da vari Tribunali secondo il quale l’art. 8 del d.lgs. 28/2010 deve essere interpretato “…nel senso di attribuire al mediatore il compito di verificare l’eventuale sussistenza di concreti impedimenti all’effettivo esperimento della procedura e non già quello di accertare la volontà delle parti in ordine all’opportunità di dare inizio alla stessa” (Tribunale Firenze Sez. spec. Impresa 15 ottobre 2015 n. 3497; Trib. Firenze, ord. 26/11/14) dovendo altrimenti ipotizzarsi una mediazione di fatto facoltativa, giacchè ognuno dei partecipanti finirebbe per essere inammissibilmente titolare di un “…diritto potestativo alla chiusura del procedimento” (cfr. Trib Palermo 16/7/14); osservato criticamente che tale orientamento: 1) sposa una lettura estensiva delle norme della riforma di cui alla Legge n. 98 del 9 agosto 2013, senza considerare che le norme ordinarie che prevedono una giurisdizione cd. ‘condizionata’ sono di stretta interpretazione (cfr. ex multis Corte Cost. 403/07), trattandosi di norme eccezionali che, in quanto derogative del principio del libero accesso al giudice, non possono essere interpretate in senso estensivo né essere applicate in via analogica ma devono al contrario essere interpretate nel loro significato minore, quello cioè che utilmente (e sufficientemente) realizza il fine che le stesse perseguono; 2) non tiene conto – come attenta dottrina ha evidenziato – della volontà del legislatore della riforma di “…alleggerire le (pur) riproposte fattispecie d’obbligo”, anche con riguardo alle criticità evidenziate in merito ai costi della mediazione, rendendo possibile il soddisfacimento della condizione di procedibilità con la semplice partecipazione a un primo incontro a contenuto informativo ed il pagamento del solo costo fisso per il deposito dell’istanza o dell’adesione; 3) oltre a non individuare quali sono, specificamente, i ‘concreti impedimenti all’effettivo esperimento della procedura’ (Trib. Firenze 15/10/15 cit.) che potrebbero essere evidenziati dalle parti personalmente – poiché ai sensi della detta norma l’invito del mediatore è rivolto anche alle parti e non solo ai difensori tecnici del diritto – non considera che il principale potenziale impedimento all’effettivo esperimento della procedura è l’eventuale legittima volontà contraria della parte che, una volta ricevuta l’informativa sulla funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, conservi l’intendimento di sottoporre le sue ragioni all’autorità giudiziaria, e che non può, pertanto – se non al costo di affermazioni paternalistiche per non dire autoritarie – essere marginalizzata e ridotta a mero capriccio sino ad essere attinta dalla sanzione della improcedibilità della corrispondente domanda di giustizia financo nel caso in cui la parte, con la sua presenza innanzi al mediatore all’incontro informativo, ha realizzato la condotta che la legge all’art. 5 comma 2 bis, cit. testualmente indica integratrice della condizione di procedibilità (così finendo anche – ed irragionevolmente – per sanzionare più severamente la parte che, partecipando al procedimento di mediazione, manifesti la volontà di non conciliare rispetto a quella che ometta tout court di parteciparvi); 4) nemmeno persuade nella critica alla configurabilità di un diritto potestativo alla chiusura del procedimento in capo ad ogni parte, tenuto conto: a) che – come acuta dottrina ha sottolineato – se l’ordinamento riconosce il diritto del soggetto evocato in causa a non partecipare al processo restando contumace, analogamente deve riconoscere al soggetto convocato in mediazione quantomeno il diritto di non aderirvi; b) che, salvo cedere a pericolose tentazioni di giurisdizionalizzare il foro interno della persona (gesinnung), bisogna riconoscere che la partecipazione effettiva della parte al procedimento di mediazione è e resta un fatto sostanzialmente incoercibile e non sanzionabile se non sul piano delle spese legali e nei limiti di cui alla legge, non potendo non riconoscersi alle parti, in qualsiasi momento del procedimento, la facoltà di sottrarvisi, sopportandone sì le conseguenze processuali ma non in chiave di improcedibilità della domanda, di dubbia compatibilità con l’art. 24 della Costituzione;
ritenuto che quanto precede sia sufficiente al rigetto dell’eccezione della banca di improcedibilità della domanda attorea, tenuto conto che l’attore ha partecipato al primo incontro con il mediatore in conformità all’art. 5 Dlgs. 28/10 (doc. 15 attoreo);
ritenuta l’infondatezza anche della speculare eccezione attorea di improcedibilità della domanda riconvenzionale della banca per mancato esperimento della mediazione obbligatoria ex D. Lgs. 28/10;
osservato preliminarmente che la domanda riconvenzionale della banca, finalizzata al pagamento del saldo passivo del conto corrente bancario intercorso tra la banca stessa e l’attore, rientri tra quelle che l’art. 5, 1 comma, D. Lgs. 28/10, nel ricomprendere le cause relative ai contratti bancari, assoggetta a mediazione obbligatoria;
dato atto che, sul tema dell’assoggettamento alla mediazione obbligatoria della domanda riconvenzionale (inedita o meno) rientrante nelle materie di cui al D.Lgs. 28/10 (come anche delle domande dei terzi chiamati in causa, delle domande trasversali, della reconventio reconventionis), sussistono contrapposti orientamenti giurisprudenziali, centrati sull’interpretazione dell’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs 28/10 come riformato nel 2013, che prevede che “…chi intende esercitare in diritto un’azione relativa ad una controversia in materia di (…) è tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di medaizione”, e sul rilievo che rispetto alla domanda riconvenzionale il convenuto è processualmente attore in senso sostanziale, sicchè, optando per la tesi positiva, dovrebbe ritenersi che ogni domanda proposta in giudizio, quindi anche le domande riconvenzionali e quelle proposte dal terzo nelle materie indicate dall’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. 28/10, soggiacciono alla mediazione obbligatoria (Trib. Firenze 14/2/12; Trib. Como Sez. Cantù 2/2/12; Trib. Roma 15/3/12), mentre, optando per la tesi negativa (tra tutte Trib. Palermo 11/7/11 e Trib. Reggio Calabria 22/4/14), dovrebbe affermarsi che solo la domanda proposta dall’attore nelle dette materie soggiace al detto obbligo;
ritenuta preferibile la più ragionevole e razionale tesi negativa, per le ragioni compiutamente illustrate da Trib. Palermo 11/7/11 e Trib. Reggio Calabria 22/4/14, cui si rimanda integralmente per relationem, e che sono sinteticamente compendiabili: A) nell’esigenza di interpretare l’art. 5 D.Lgs. 28/10 alla luce dei principi: 1) di ragionevole durata del processo; 2) di efficienza ed effettività della tutela giurisdizionale rispetto alle norme di deroga alla giurisdizione alla luce dell’art. 24 Cost.; 3) di equilibrio nella relazione tra procedimento giudiziario e mediazione come espresso dalla Direttiva 2008/52/CEE; B) nell’esigenza di rispettare l’autentica finalità dell’istituto mediatorio che è marcatamente deflattiva, tenuto conto che, rispetto alla domanda riconvenzionale, l’esperimento della mediazione “…non sortirebbe l’effetto di chiudere il giudizio in corso”, poichè “…non è generalmente idoneo, dopo il fallimento del procedimento di mediazione sulla domanda principale, a porre fine al giudizio” (Trib. Palermo, cit.); C) nell’esigenza di evitare la formulazione di domande riconvenzionali ‘strumentali’ al solo fine di imporre al giudice l’invio in mediazione, con conseguente allungamento dei tempi processuali anche per la definizione della domanda principale ovvero separazione della domanda riconvenzionale da quella principale, con quanto deriverebbe in termini di proliferazione delle cause e aggravamento degli adempimenti amministrativi di cancelleria (ancora Trib. Paermo, cit.); che tanto basta, ad opinione di questo giudice, per il rigetto della eccezione attorea di improcedibilità della domanda riconvenzionale della banca per mancato esperimento della mediazione obbligatoria; che la causa deve proseguire per la decisione di merito sulle domande delle parti; che le spese di lite sono rimesse al giudizio definitivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, non definitivamente decidendo, ogni diversa domanda ed eccezione respinta, così provvede: rigetta le eccezioni preliminari delle parti di improcedibilità delle domande per mancato esperimento della mediazione obbligatoria; spese al definitivo; rimette la causa in istruttoria per la decisione di merito sulle domande delle parti, fissando per la prosecuzione ex art. 183 c.p.c. l’udienza del 14/4/16, ore 11.00.
Verona, 24.03.2016
Il Giudice Dr. Eugenia Tommasi di Vignano