30 Luglio
Luigi Majoli
Materie di mediazione obbligatoria
Tutti gli organismi di mediazione aventi sede nel distretto di Corte d’Appello devono ritenersi competenti in ordine all’esperimento del tentativo di mediazione qualora lo stesso sia demandato nell’ambito del secondo grado di giudizio.
È la conclusione cui è pervenuta la Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 36/2023.
Trattandosi di questione talvolta ancora dibattuta, e comunque tale da ingenerare dubbi nella parte onerata e/o interessata all’avvio della procedura, si ritiene opportuno tornarvi attraverso le brevi note che seguono, soprattutto al fine di sottolineare la chiarezza dell’apparato motivazionale della pronuncia richiamata.
Muoviamo da due dati normativi di riferimento.
Come è noto, ai sensi dell’art. 5 – quater, D.lgs 28/2010 (già art. 5, co. 2, nel testo antecedente la riforma c.f. “Cartabia”), “Il giudice, anche in sede di giudizio di appello, fino al momento in cui fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione, il comportamento delle parti e ogni altra circostanza, può disporre, con ordinanza motivata, l’esperimento di un procedimento di mediazione. Con la stessa ordinanza fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6”.
La disposizione in parola, naturalmente, deve essere coordinata con quanto previsto dall’art. 4 del medesimo decreto legislativo, in forza del quale “La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è depositata da una delle parti presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. La competenza dell’organismo è derogabile su accordo delle parti. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito”.
Nel caso di specie, la mediazione è stata disposta – ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010 – dalla Corte di Appello di Napoli.
Parte appellante ha quindi ritualmente depositato il verbale del primo incontro di mediazione, conclusosi con esito negativo, per la verifica degli esiti e, quindi, nella fattispecie, al fine della procedibilità della domanda, ma parte appellata ha eccepito l’improcedibilità dell’appello sulla base del fatto che la procedura di mediazione sarebbe stata esperita presso un Organismo territorialmente non competente (nello specifico, un Organismo di Mediazione con sede in Avellino).
In sostanza, secondo la tesi sostenuta dall’appellato, la circostanza che la domanda di mediazione sia stata depositata e che dunque il procedimento si sia effettivamente svolto – sia pure limitatamente al primo ed unico incontro – presso un Organismo sito in luogo diverso (Avellino) da quello del Giudice competente per la controversia (Napoli) sarebbe tale da renderlo privo di effetti ed inidoneo a soddisfare la condizione di procedibilità della domanda (di appello). Non essendosi pertanto verificata la condizione di procedibilità della domanda, così come richiesta ex lege, il giudizio non potrebbe in alcun modo proseguire.
Detta eccezione, tuttavia, secondo il Giudice di seconde cure non può ritenersi degna di pregio, dovendosi rilevare che, essendo stata la mediazione disposta nel caso di specie dalla Corte di Appello di Napoli ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.Lgs. n. 28/2010, debbano ritenersi astrattamente competenti per territorio tutti gli Organismi aventi sede nel distretto nel quale la detta Corte esercita le sue funzioni.
Di talché, “…la procedura in questione è stata correttamente incardinata presso un organismo di mediazione che ha sede in Avellino che rientra nel distretto della Corte di Appello di Napoli (considerato che il Comune di Avellino è sede del Tribunale il cui circondario è parte del distretto territoriale per cui è competente questa Corte)”.
L’Organismo presso il quale si è svolta la mediazione era dunque competente e deve osservarsi, come la sentenza in commento in effetti osserva, la pretestuosità della richiamata eccezione, dal momento che parte appellata “…ha partecipato all’incontro di mediazione senza sollevare alcuna eccezione rispetto al corretto svolgimento della stessa”.
Aspetto, quello da ultimo ricordato, che non può in alcun modo essere sottaciuto, in quanto, essendo la competenza territoriale di cui all’art. 4, D.lgs 28/2010 derogabile su accordo delle Parti (come peraltro oggi espressamente previsto dalla menzionata disposizione, a seguito della modifica apportata in sede di riforma dal D.lgs 149/2022), qualora l’organismo investito della procedura fosse risultato effettivamente incompetente (il che nella fattispecie non è), non avesse cioè avuto sede nel distretto territoriale della Corte di Appello di Napoli, in ogni caso “…l’eccezione sarebbe risultata priva di pregio in considerazione dell’accordo tacito intervenuto tra le parti in deroga al criterio previsto dalla norma di riferimento”.
In sostanza, l’appellato – non avendo eccepito in sede di mediazione l’incompetenza dell’Organismo evocato – avrebbe in ogni caso avallato la scelta della parte istante, andando in tal modo a derogare implicitamente alla competenza per territorio.
Qualora, invece, la mediazione si fosse svolta dinanzi ad Organismo con sede esterna al distretto territoriale della Corte di Appello, l’incompetenza – salvo deroga espressa o tacita al criterio della competenza – avrebbe dovuto essere rilevata (cfr. Tribunale di Milano Sez. I Civ., 26 febbraio 2016: mediazione svolta a Roma, pertanto in un Comune fuori [dal distretto e] dal circondario di Milano, giudice territorialmente competente; o, più recentemente, Tribunale di Torino Sez. I Civ., 10 giugno 2022, che ha dichiarato l’improcedibilità in quanto la mediazione è stata svolta presso un organismo avente sede a Milano (e perciò fuori dal distretto e dal circondario di Torino, giudice territorialmente competente).
D’altra parte, la Corte osserva come una diversa interpretazione della disposizione in parola risulterebbe del tutto irragionevole posto che, da un lato, il legislatore “…ha inteso chiaramente ancorare il criterio di territorialità degli organismi di mediazione a quello del giudice competente per territorio dovendosi quindi tener conto dello specifico e diverso ambito di competenza territoriale dei diversi uffici giudiziari (giudice di pace, tribunale, corte di appello)”; e che, dall’altro, “…la ratio della norma in questione è indiscutibilmente (soltanto) quella di favorire l’incontro tra le parti al fine di consentire l’effettivo svolgimento della mediazione evitando condotte elusive e, comunque, finalizzate ad ostacolare l’incontro, in tal modo vanificando sin dall’origine lo scopo della mediazione, sostanzialmente privando di utilità e riducendo ad una vuota formalità il procedimento così introdotto”.
Peraltro la Cassazione (Cass. civ., Sez. VI – 3, Ord., 02/09/2015, n. 17480), ha da tempo chiarito come il meccanismo legislativo postuli che “…sia dapprima individuato il foro giudiziale, secondo le regole sottese a tale determinazione, e solo di riflesso sia individuato l’organismo cui accedere in fase conciliativa”. Di talché, come è ovvio, allorché la mediazione sia demandata dal giudice non possono sussistere dubbi circa l’individuazione dell’ambito territoriale entro il quale deve essere presente la sede dell’organismo presso il quale svolgere la procedura di mediazione.
Infine, giova rammentare che fin dal 2013 (in occasione cioè della riforma del D.lgs 28/2010 apportata dal c.d. “Decreto del Fare”, con la quale venne introdotto il criterio di territorialità per la scelta dell’Organismo di mediazione innanzi al quale introdurre il procedimento), il Consiglio Nazionale Forense aveva inteso chiarire, in via interpretativa, come “…per determinare la competenza dell’organismo di mediazione, una volta individuato il giudice competente secondo le norme del c., occorrerà fare riferimento all’ambito di competenza territoriale previsto per gli uffici giudiziari, rispettivamente: distretto per la Corte d’Appello, circondario per il Tribunale, mandamento per il giudice di pace ed ambito territoriale regionale per il c.d. tribunale delle imprese (…) Premessa la tendenziale derogabilità della competenza territoriale degli ODM (…) modalità attraverso le quali può essere esercitata l’autonomia privata in ordine alla competenza territoriale dell’ODM (…) ipotesi, probabilmente più frequente, sarà quella in cui dalla mancata contestazione della parte invitata, deriverà l’implicito accordo in deroga. Qui manca l’accordo preventivo, ma l’accettazione dell’invito a presentarsi davanti ad un ODM in un luogo diverso da quello di competenza del giudice, provoca, come avviene nel processo, la tacita accettazione della deroga (…) Nel caso di effettivo svolgimento della mediazione dinnanzi ad un organismo territorialmente incompetente se (…) non si è raggiunto l’accordo, la presenza della controparte ha garantito la tacita deroga alla competenza e quindi la condizione di procedibilità si considererà rispettata”.
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