Mediazione-obbligatoria

Mediazione Delegata: Ordinanza Tribunale di Bologna

    Ancora sulla presenza personale

   delle parti in mediazione

Si afferma sempre più, in giurisprudenza, il principio in base al quale la natura stessa della mediazione civile comporta la presenza personale delle parti dinanzi al mediatore.

L’istituto, infatti, è finalizzato al recupero della dialettica tra le parti in vista della ricostruzione di un rapporto che consenta loro il superamento delle rispettive posizioni iniziali (spesso – come ben sa chi opera nel settore – preconcette), e, in   conseguenza di ciò, un incontro che si svolga tra i soli avvocati delle parti ed il mediatore – se può, in ipotesi, portare ad un esito positivo – solo formalmente risulterebbe qualificabile come mediazione.

Nella scia di tali considerazioni deve inserirsi la recente ordinanza 5 giugno 2014 del Tribunale di Bologna, in tema di mediazione delegata dal giudice ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.

Va rilevato, peraltro, come i contenuti del provvedimento appaiono, francamente, estensibili anche alla mediazione ante causam, ove condizione di procedibilità della domanda giudiziale, come peraltro già espressamente affermato in giurisprudenza (cfr. Trib. Firenze, ordd. 17 e 19 marzo 2014)

Secondo la pronuncia in esame, infatti, le disposizioni di cui agli artt. 5, co. 5 – bis, e 8 D.lgs 28/2010 devono essere interpretate alla luce del contesto europeo nel quale si collocano (cfr. direttiva 2008/52/CE).

Ciò implica, secondo il Tribunale, che l’ordine del giudice deve ritenersi osservato “…soltanto in caso di presenza della parte (o di un di lei delegato), accompagnata dal difensore (e non anche in caso di comparsa del solo difensore, anche quale delegato della parte).

Quanto precede è giustificato dalle considerazioni che seguono.

In primo luogo, la natura della mediazione richiede “…che all’incontro (…) siano presenti (anche e soprattutto le parti): l’istituto, infatti, mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore”.

Inoltre, va osservato che “…i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, sono senza dubbio già a conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità (come peraltro si desume dal fatto che essi, prima della causa, devono fornire al cliente l’informazione prescritta dall’art. 4, comma 3, del d.lgs 28/2010), di talchè non avrebbe senso imporre l’incontro tra i soli difensori ed il mediatore in vista di una (dunque, inutile) informativa.

 In terzo luogo (e soprattutto, ad avviso di chi commenta), il giudice bolognese rileva il fatto che “…l’ipotesi in cui all’incontro davanti al mediatore compaiono i soli difensori, anche in rappresentanza delle parti, non può considerarsi in alcun modo mediazione, come si desume dalla lettura coordinata dell’art. 5, comma 1 – bis, e dell’art. 8, che prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento mediativo con l’assistenza degli avvocati, e questo implica la presenza degli assistiti (personale o a mezzo di delegato, cioè di soggetto comunque diverso dal difensore)”.

Sulla base delle considerazioni che precedono, dunque, non potrà ritenersi osservato l’ordine del giudice laddove i soli difensori delle parti si rechino dal mediatore e, ricevute le chiarificazioni del caso su funzione e modalità della mediazione, dichiarino il proprio rifiuto di procedere nel tentativo.

D’altra parte, è chiaro come, nella mediazione disposta dal giudice ai sensi dell’art. 5, co. 2, un’eventuale partecipazione al procedimento dei soli difensori appaia caratterizzata dalla massima irrazionalità: in tal caso, infatti, si presuppone che il giudice abbia già svolto le opportune valutazioni circa la “mediabilità” del conflitto (come prevede l’art. 5 cit.: che impone al giudice di valutare ”…la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”), e che le stesse si siano svolte nel colloquio processuale con i difensori.

Ciò, naturalmente, presuppone anche un’adeguata informazione ai clienti da parte dei difensori; tanto che, in caso di lacuna al riguardo, lo stesso giudice, qualora verifichi la mancata allegazione del documento informativo, dovrà, a norma dell’art. 4, co. 3, D.lgs 28/2010, assegnare alle parti il termine di 15 gg. per la presentazione dell’istanza di mediazione presso un organismo territorialmente competente – ove si tratti di  mediazione obbligatoria – ovvero dovrà provvedere egli stesso a rendere le parti edotte circa la facoltà in parola, eventualmente disponendone la comparizione personale, nell’ipotesi appunto di mediazione facoltativa.

In sintesi, dunque, il Tribunale di Bologna si innesta, con la pronuncia in parola,  in quell’orientamento le cui origini vanno rintracciate nelle ordd. 17 e 19 marzo 2014 del Tribunale di Firenze.

Si tratta – giova rammentarlo – di provvedimenti adottati all’interno di ipotesi di mediazione delegata dal giudice: le considerazioni in esse svolti – però – investendo la natura stessa della mediazione (e posto che il legislatore non attribuisce, di per sé, caratteristiche diverse al procedimento a seconda che consegua all’iniziativa della parte istante o all’ordine del giudice), sembra possano essere senz’altro estese alla mediazione obbligatoria tout court e, pertanto, anche a quella ex lege di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010.

Appare quindi del tutto condivisibile l’opinione per la quale l’assenza della parte finisca con il determinare conseguenze rilevanti sulla natura stessa del tentativo di mediazione che, in quanto tale, dovrebbe dipanarsi in modo tale da consentire agli interessati di assurgere quanto più possibile al ruolo di autentici protagonisti di una vicenda che di per sé è destinata a favorire il recupero del rapporto tra le parti, propedeutico all’auspicato sbocco conciliativo.