Mediazione demandata con ordinanza fuori udienza

Mediazione demandata con ordinanza fuori udienza

Come ampiamente noto, in conseguenza delle misure assunte a contrasto dell’emergenza Covid-19 le attività giudiziarie risultano attualmente rallentate in misura notevole, con ricadute prevedibilmente gravi sotto molteplici profili.

In effetti, successivamente ad un primo periodo, da marzo all’11 maggio scorso, caratterizzato dalla sospensione delle udienze civili e penali, con poco rilevanti eccezioni, siamo oggi di fronte ad una “fase 2”, il cui termine è ad oggi fissato per il 31 luglio, nella quale stanno purtroppo emergendo tutte le problematiche correlate alla ripartenza, tanto che in un novero assai consistente di processi civili è dato assistere a rinvii di udienze che implicheranno inevitabilmente la ripresa della trattazione e/o l’eventuale definizione solo nel corso del 2021.

Si impone, dunque, un attento utilizzo degli strumenti attualmente contemplati dall’ordinamento giuridico, tra cui spicca la mediazione delegata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, secondo cui, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, il giudice può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Detto provvedimento può essere adottato prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa.

Proprio con riferimento a tale tipologia di mediazione, ed al fine di sfruttare in modo potenzialmente utile i “tempi morti” conseguenti al rinvio causato dalla particolare situazione contingente, i Tribunali di Firenze e di Perugia hanno attivato interessanti, ed analoghi, programmi di implementazione della stessa, predisponendo – e mettendo dunque a disposizione dei magistrati – modelli similari di ordinanza volti a consentire di demandare la mediazione, disponendo la stessa con ordinanza emanata a prescindere dal tenersi di un’udienza.

Si tratta di modelli che potrebbero rappresentare l’avvio di non trascurabili strategie deflattive, vieppiù auspicabili ove si rifletta adeguatamente sulle conseguenze che, altrimenti, potrebbero verificarsi nel prossimo futuro.

Muovendo dalla generale premessa per cui la definizione della lite in mediazione appare rispondente ai doveri di solidarietà che a maggior ragione devono emergere in un periodo di oggettiva crisi come quello presente, i modelli in parola mirano a sottolineare le rilevanti positività correlate alla mediazione.

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In primis, si evidenzia come la mediazione, contrariamente a quanto l’esperienza dimostra con riguardo alla definizione giudiziale della controversia, consenta con ben maggiore probabilità e frequenza l’approdo ad una soluzione conciliativa tale da soddisfare – nella massima misura possibile – i reali interessi ed esigenze delle parti, tra l’altro con un sensibile contenimento di costi e di tempi, oltre che con vantaggi non certo trascurabili sotto il profilo fiscale.

In secondo luogo, si sottolinea, con particolare riferimento al problema delle tempistiche, come in ogni caso, stante il rinvio dell’udienza, il percorso di “fuoriuscita dal processo” non rappresenti in alcun modo un allungamento dei tempi di giustizia, bensì, in sostanza, un’opzione con potenziali vantaggi, anche di grande rilevanza, a fronte di controindicazioni nulle (se le parti non raggiungeranno l’accordo, il giudizio proseguirà, senza che il tentativo effettuato abbia avuto incidenza alcuna dal punto di vista temporale).

Si osserva, ancora, come la mediazione disposta dal giudice, indipendentemente dal fatto che si tratti di controversia rientrante nelle materie in cui la mediazione è obbligatoria ante causam (dunque, indipendentemente dal fatto che un tentativo sia già stato effettuato), in ogni caso condiziona la procedibilità della domanda giudiziale, con conseguente sollecitazione, nei confronti delle parti, a partecipare personalmente al procedimento al fine di rendere la mediazione il più possibile effettiva, con esplorazione di tutte le possibilità di accordo ipotizzabile, non ultima quella consistente nella richiesta congiunta al mediatore di formulazione di una proposta conciliativa ai sensi dell’art. 11, D.lgs 28/2010.

Al tempo stesso, nei menzionati modelli, non mancano i richiami alle conseguenze di natura sanzionatoria che possono derivare dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento, di cui all’art. 8, co. 4 – bis, D.lgs 28/2010), secondo cui “Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.

Né, giova sottolinearlo, manca la menzione del  fatto che il contegno delle parti nell’ambito della mediazione può essere oggetto di valutazione in punto di condanna alle spese di cui all’art. 92 c.p.c., e di condanna alla sanzione di cui all’art. 96, co. 3, c.p.c.

In particolare, sotto il primo profilo, sia consentito conclusivamente osservare come, secondo un ormai diffuso orientamento giurisprudenziale, nel citato art. 92 c.p.c. debba rintracciarsi un chiaro richiamo al dovere di lealtà processuale delle parti (art. 88 c.p.c.), con la conseguenza che il non partecipare alla mediazione, sempre più considerata dal legislatore e, per l’appunto, da cospicua giurisprudenza, in termini di istituto idoneo a garantire ai consociati una giustizia dai tempi sensibilmente più ragionevoli, costituisce un comportamento dal quale può discendere la condanna alla spese anche per la parte non soccombente.

Luigi Majoli – ADR Intesa

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