Notifica della domanda di mediazione al procuratore costituito
L’art. 8, co. 1, D.lgs 28/2010, prevede che “… la domanda di mediazione, la designazione del mediatore, la sede e l’orario dell’incontro, le modalità di svolgimento della procedura, la data del primo incontro e ogni altra informazione utile sono comunicate alle parti, a cura dell’organismo, con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione…”.
Al contempo, l’art. 3, co. 3, del medesimo decreto legislativo afferma che “Gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità”.
Occorre poi ricordare come nei casi in cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale (ratione materiae ex art. 5, co. 1, D.lgs 28/2010 ovvero in quanto delegata dal giudice ex art. 5 – quater, D.lgs 28/2010) sia espressamente richiesta dalla legge l’assistenza legale (art. 8, co. 5, D.lgs 28/2010: “Nei casi previsti dall’articolo 5, comma 1, e quando la mediazione è demandata dal giudice, le parti sono assistite dai rispettivi avvocati”).
Se, dunque, in via generale e logicamente prioritaria la convocazione in mediazione va comunicata, ai fini dell’avverarsi della condizione di procedibilità, alla parte che in mediazione è chiamata, e se è vero, altresì, che il D.lgs 28/2010, non prevede espressamente in alcuna sua disposizione la possibilità di notificare la domanda al procuratore costituito, occorre anche contemperare tali principi con quello dell’informalità della mediazione (art. 8, co. 3, D.lgs 28/2010) ed in particolare degli atti del relativo procedimento, come previsto dal poc’anzi ricordato art. 3, co. 3, e con la dicitura, anch’essa già accennata, di cui all’art. 8, co. 1, “…ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione”.
Il problema si pone con particolare evidenza nelle ipotesi di mediazione demandata dal giudice (come ad esempio nel caso di mutamento di rito a seguito di opposizione alla licenza o sfratto ex artt. 657 e 658 cc. o di opposizione a decreto ingiuntivo in materia nella quale la mediazione è “obbligatoria” ratione materiae) o di mediazione delegata dal giudice in senso tecnico ai sensi dell’art. 5 – quater, D.lgs 28/2010, ipotesi nelle quali, assai spesso, nella domanda di mediazione è indicata non solo la parte chiamata ma anche il legale costituito nel giudizio. D’altra parte, la disposizione da ultimo richiamata, sotto il profilo delle modalità di convocazione, nulla ha previsto in deroga rispetto alle forme ordinarie.
Sul punto appare opportuno un cenno agli sviluppi succedutisi in ambito giurisprudenziale.
In un primo tempo, l’orientamento largamente maggioritario è stato quello a tenore del quale – sulla base di un’interpretazione meramente letterale delle disposizioni in precedenza citate – l’istanza (oggi domanda) di mediazione deve necessariamente essere comunicata alla parte, e non al procuratore costituito nel giudizio. Non risulterebbe dunque rituale la convocazione inviata solo a quest’ultimo, come invece avviene relativamente agli atti processuali. In tal senso già Tribunale di Rimini, 28 febbraio 2017; Tribunale di Palermo, 5 settembre 2019; Tribunale di Siena 5 maggio 2020; Tribunale di Cremona, 1 luglio 2021, in cui, a conferma della letteralità dell’interpretazione adottata, si rileva espressamente come “…il richiamato decreto (28/2010), infatti, non prevede in alcun suo punto la possibilità di notificare la domanda al procuratore costituito, essendo necessario che l’atto sia portato a conoscenza della parte”.
Ancora – e più recentemente – si veda Tribunale di Torre Annunziata, 21 febbraio 2023, secondo cui l’istanza di mediazione “…deve essere portata a conoscenza della controparte personalmente, a cura dell’istante o della segreteria dell’organismo di mediazione”.
Uno spiraglio, all’interno dell’orientamento in parola, sembra aprirsi con l’interessante sentenza 1 febbraio 2023, n. 178, del Tribunale di Avellino, con la quale, dopo aver ribadito come il D.lgs 28/2010 non contempli in alcuna sua disposizione “… la possibilità di notificare la domanda al procuratore legale costituito, essendo invece necessario che l’atto sia portato a conoscenza del diretto interessato”, dovendosi pertanto ritenere “… valida la notifica della comunicazione di avvio mediazione effettuata direttamente al domicilio della controparte anziché al difensore”, si osserva tuttavia che l’irregolarità della convocazione in mediazione non sarebbe sanata neppure “…dalla procura alle liti rilasciata dall’opponente al proprio difensore atteso che quanto all’ipotesi di notifica al solo avvocato e non al diretto interessato, affinché la condizione di procedibilità possa considerarsi propriamente soddisfatta, occorre quantomeno che si evinca in maniera chiara che parte chiamata abbia eletto domicilio presso il proprio legale anche con riferimento alla fase stragiudiziale, ed espressamente per il procedimento di mediazione.”
In caso di procura alle liti allegata alla domanda di mediazione contenente l’elezione di domicilio con specifico riferimento anche alla procedura di mediazione, dunque, secondo la pronuncia in parola, la convocazione in mediazione risulterebbe valida anche se effettuata al solo procuratore costituito.
Ferma restando la precauzione di regola adottata dagli Organismi di mediazione, vale a dire procedere all’invio della convocazione tanto alla parte personalmente quanto all’avvocato costituito nel giudizio, va in ogni caso richiamata la sentenza n. 586/2024 della Corte d’Appello di Napoli.
Secondo la pronuncia in esame, occorre certamente premettere come, dato che “… la funzione è quella di informare la parte personalmente perché possa partecipare all’incontro di mediazione (assistita dall’avvocato) è sicuramente sempre preferibile che anche quando il processo sia già pendente la comunicazione venga effettuata direttamente alla parte personalmente.”
Occorre tuttavia considerare anche come la Corte di Cassazione, Sez. II Civ., con la sentenza 14 dicembre 2021, n. 40035, abbia affermato che la mediazione delegata dal giudice produce una “parentesi non giurisdizionale all’interno del processo” (e – sia detto qui per inciso – nella stessa pronuncia si sottolinea, anche se in tema di natura non perentoria del termine di quindici giorni, fissato dal giudice ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, per l’introduzione dell’istanza di mediazione – all’epoca vigente – come detta interpretazione sia volta a “…favorire, ove possibile ed in termini effettivi, forme alternative ma altrettanto satisfattive di tutela mediante la composizione amichevole delle liti ed al contempo conferma il carattere di extrema ratio che il legislatore della mediazione riconosce, in prospettiva deflattiva, alla tutela giurisdizionale”).
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte d’Appello di Napoli, nella richiamata sentenza, ha espressamente rilevato come non possa escludersi che la comunicazione in parola “…sia inviata (anche) o esclusivamente al suo procuratore costituito presso il quale la parte ha eletto domicilio”. D’altra parte, prosegue la pronuncia in esame, se è vero che la mediazione demandata dal giudice apre una “parentesi non giurisdizionale all’interno del processo“, come stabilito dalla Suprema Corte con la citata sentenza 14 dicembre 2021, n. 40035, il fatto che la comunicazione sia inviata al legale “…non impedisce che attraverso la comunicazione al procuratore costituito nel processo si possa raggiungere la medesima finalità indicata dal legislatore di informare la parte perché possa partecipare personalmente all’incontro di mediazione”. Con la conseguenza che, ad avviso del Collegio, “…appare ragionevole ritenere che la comunicazione dell’invito presso il procuratore costituito nel processo durante il quale viene disposta la mediazione sia sufficiente alla effettiva conoscibilità della stessa per la parte rappresentata.”
Un passo avanti di non trascurabile importanza.
Peraltro, anche il Tribunale di Roma (30 aprile 2024), in presenza di chiamata in mediazione tramite PEC inviata al procuratore costituito, ha ritenuto che la procedura di mediazione fosse stata regolarmente espletata.
Muovendo dal presupposto che, ai sensi dell’art. 8, D.lgs 28/2010, “…la domanda è la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante”, il giudice romano ha rilevato come “…la suddetta disposizione mira, dunque, a garantire l’instaurazione del contraddittorio prescindendo dall’applicazione di rigidi formalismi: tale impostazione, del resto, trova conferma nello stesso dettato normativo atteso che, secondo l’articolo 3, comma 3 del D. Lgs. 28/2010 gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità”.
Nel caso di specie, la comunicazione de qua era stata inviata all’avvocato della parte chiamata, presso cui la stessa aveva eletto domicilio. Con la conseguenza che, ad avviso del Tribunale, “…è evidente l’idoneità dell’invito dell’attore a entrare nella sfera conoscitiva del convenuto e a consentire a quest’ultimo di partecipare al procedimento di mediazione”.
L’evoluzione giurisprudenziale, dunque, sembra evidentemente improntata ad un progressivo transito dall’interpretazione letterale a quella teleologica, dunque finalisticamente orientata.
A tale proposito, pur essendo attinente a profili squisitamente processuali, sembra opportuno, a conclusione delle presenti note, il richiamo alla recentissima sentenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione, 5 novembre 2024, n. 28452, secondo la quale non può considerarsi perfezionata la notifica a mezzo PEC in presenza di un avviso di mancata consegna al destinatario per “casella piena”.
Le SS.UU., nella pronuncia in esame, superano un orientamento – originariamente maggioritario, ma non univoco – secondo cui la notifica era comunque da ritenersi perfezionata per essere la “…saturazione della capienza (…) un evento imputabile al destinatario, per l’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi” (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 3164/2020).
La statuizione in oggetto, pur riferita al regime antecedente la riforma c.d. Cartabia, tende esplicitamente ad una visuale coerente con il nuovo assetto normativo che, ad avviso della Corte, è tale da fornire una “…luce retrospettiva favorendo una interpretazione evolutiva”, dal momento che, rilevano le SS.UU, “…il canone dell’interpretazione c.d. evolutiva (o storico-evolutiva) – che si coordina con gli altri (letterale, teleologico, sistematico) per guidare lo svolgimento dell’interpretazione giuridica, così da costituire un complesso di criteri filtranti la ‘lettura’ delle norme, le quali, in quanto modelli deontici di condotta, necessitano di trovare concreta attuazione e, quindi, di essere immerse nella realtà viva e mutevole dell’ordinamento – può ben esplicare la propria modalità operativa anche nutrendosi del diritto positivo di più recente conio, successivo, dunque, all’assetto regolatorio pertinente alla disciplina da interpretare”.
Con la decisione de qua, giova ribadirlo relativa al regime antecedente al D.lgs 149/2022, si afferma dunque che la notificazione a mezzo PEC operata dall’avvocato ex art. 3 – bis, L. 53/1994, non può considerarsi perfezionata nell’ipotesi in cui il sistema generi un avviso di mancata consegna, anche per causa imputabile al destinatario (come nell’ipotesi di saturazione della casella di PEC con messaggio di errore dalla dicitura “casella piena”), ma esclusivamente laddove sia generata la ricevuta di avvenuta consegna. Con la conseguenza, secondo la pronuncia, che “…il notificante, ove debba evitare la maturazione a suo danno di un termine decadenziale, sarà tenuto a riattivare tempestivamente il procedimento notificatorio attraverso le forme ordinarie di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c., potendo così beneficiare del momento in cui è stata generata la ricevuta di accettazione della originaria notificazione inviata a mezzo PEC”.
Le SS.UU. osservano come il predetto approdo ermeneutico trovi “…ulteriore e significativo conforto dalla disciplina recata dalla riforma del processo civile del 2022”, che, come è noto, ha introdotto l’obbligatorietà della notifica a mezzo PEC da parte dell’avvocato, ex art. 3, L. 53/1994, inserito dall’art. 12, co. 1, lett. b), D.lgs. n. 149/2022. A tale proposito, osserva la Corte, la medesima disposizione disciplina poi gli effetti della notificazione a mezzo PEC non andata a buon fine. Il co. 2 prevede, infatti, che “quando per causa imputabile al destinatario la notificazione a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato non è possibile o non ha esito positivo: a) se il destinatario è un’impresa o un professionista iscritto nell’indice INI-PEC l’avvocato esegue la notificazione mediante inserimento a spese del richiedente nell’area web riservata (la notificazione si ha per eseguita nel decimo giorno successivo); b) se il destinatario è una persona fisica o un ente di diritto privato non tenuto all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese e ha eletto il domicilio digitale, l’avvocato esegue la notificazione con le modalità ordinarie”.
Il successivo co. 3 regola, poi, il caso di notificazione impossibile o con esito negativo “per causa non imputabile al destinatario”, disponendo che venga eseguita “con le modalità ordinarie”.
La Suprema Corte rammenta il fatto che “…l’efficacia di tali disposizioni è stata sospesa, dapprima, sino al 31 dicembre 2023 e, poi, sino al 31 dicembre 2024 (…) Tuttavia, prosegue la Corte, “…la normativa che ha disposto la sospensione dell’efficacia delle anzidette disposizione ha anche precisato che: “Fino a tale data, quando la notificazione ai sensi del comma 1 dell’articolo 3-ter della citata legge n. 53 del 1994 non è possibile o non ha esito positivo, essa è eseguita con le modalità ordinarie e si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui è generata la ricevuta di accettazione della notificazione dallo stesso inviata mediante posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato”(differimento peraltro dovuto alla mancanza del luogo di “messa a disposizione” della notifica (vale a dire l’area web).
Del resto, osserva conclusivamente la Corte, “…anche secondo l’art. 3-ter, la mancata notifica per causa imputabile al destinatario che sia persona fisica o un ente di diritto privato non tenuto all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese e ha eletto il domicilio digitale di cui all’ articolo 6-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, si esegue con modalità ordinarie”.
In sostanza, dunque, siamo in presenza di un disallineamento rispetto alla delega (che prevedeva esclusivamente l’inserimento dell’area web), dovuto alle peculiarità della vicenda notificatoria, finalizzata a garantire quanto più possibile il destinatario in ordine all’effettiva conoscenza dell’atto.
La conclusione della sentenza è pertanto nel senso, chiaramente ispirato alla garanzia del diritto di difesa, di una “…mancanza di equivalenza fra oneri di tenuta PEC e perfezionamento o meno della notifica”, per cui il perfezionamento della stessa “…richiede un quid pluris rispetto al mero evento della mancata consegna del messaggio di PEC e dei relativi allegati, anche se dovuta a causa imputabile al destinatario”.