Opposizione a decreto ingiuntivo e mediazione civile

Opposizione a decreto ingiuntivo e mediazione civile

Giunge, quanto mai atteso, l’intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione in ordine alla vexata quaestio relativa alle conseguenze della omessa mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

In effetti, stante il persistente contrasto interpretativo, la Terza Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 18741 del 12 luglio 2019, aveva rimesso gli atti al Primo Presidente affinché valutasse l’opportunità di rimessione alle Sezioni Unite, avendo ritenuto sussistente il presupposto della questione di massima di particolare importanza che, ai sensi dell’art. 374, co. 2, c.p.c., legittima per l’appunto la richiesta di intervento del massimo organo di nomofilachia.

Le Sezioni Unite (n. 19596 del 18 settembre 2020, Pres. G. Mammone, Est. F.M. Cirillo), decidendo pertanto su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato il seguente principio di diritto: “Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1 – bis, del d.lgs n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità  di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo“.

L’importanza del principio di cui sopra non può sfuggire. Il Collegio, infatti, rovescia la precedente impostazione, per l’appunto di segno opposto, fatta propria dalla sentenza n. 24629 del 2015 della Terza Sezione Civile, nella quale, come è noto, si affermava come nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo l’onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione fosse da porre a carico della parte opponente.

Sembra opportuno sintetizzare, sia pur brevemente, i termini della questione.

Come è noto, secondo l’art. 5, co. 4, D.lgs 28/2010, i commi 1 – bis e 2 della medesima disposizione, che prevedono, rispettivamente, la mediazione obbligatoria ante causam, e la mediazione delegata dal giudice per le cause già pendenti, non si applicano “...nei procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione“.

Appare evidente come il legislatore abbia ritenuto che lo svolgimento della procedura di mediazione fosse sostanzialmente incompatibile con le peculiari caratteristiche del procedimento monitorio, caratterizzato dalla rapidità e assenza di previa attivazione del contraddittorio, e dell’opposizione, il cui termine di proponibilità risulta contingentato dall’art. 641 c.p.c.

In conseguenza di quanto premesso, in caso di pretesa azionata in via monitoria, l’esperimento della mediazione diviene possibile solo quando sia stata proposta opposizione, e, comunque, dopo l’adozione dei provvedimenti, considerati urgenti e lato sensu cautelari, sulla esecutività del provvedimento monitorio emesso.

Ora, fermo restando che il mancato esperimento della mediazione, tanto nei casi di cui all’art. 5, co. 1 – bis, quanto laddove la stessa venga delegata dal giudice, comporta la improcedibilità della domanda giudiziale, si è assai discusso, in dottrina e soprattutto in giurisprudenza, in ordine a chi abbia l’onere di promuovere la mediazione, e quindi abbia interesse ad evitare la declaratoria di improcedibilità, in punto di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Nella giurisprudenza in materia sono andati progressivamente formandosi due distinti orientamenti che, fino alle pronunce più recenti, hanno seguitato a contrapporsi.

Secondo un primo indirizzo, che tende a valorizzare risalenti orientamenti relativi all’oggetto del giudizio di opposizione, che costituirebbe una (sia pur eventuale) continuazione della fase monitoria nell’ambito di un’unica vicenda processuale che, non a caso, secondo la giurisprudenza di legittimità, risulterebbe pendente sin dal momento del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo (cfr., ad es., Corte Cass., ord. 4 settembre 2014, n. 18707, e Corte Cass., ord. 3 settembre 2009, n. 19120), la declaratoria di improcedibilità avrebbe ad oggetto la domanda sostanziale proposta in via monitoria.

Il ricorrente opposto, formalmente convenuto nel relativo giudizio, sarebbe da considerarsi attore sotto il profilo sostanziale, mentre l’opponente, che formalmente ha agito, sempre sotto il profilo sostanziale dovrebbe ritenersi convenuto. Pertanto l’opposto, titolare della pretesa sostanziale azionata, divenuta oggetto del giudizio di opposizione, avrà l’onere di promuovere il tentativo di mediazione, subendo, in mancanza, la declaratoria di improcedibilità della domanda, che implicherebbe il venir meno della pretesa sostanziale proposta in via monitoria.

Alla base di una siffatta ricostruzione si pone la ricorrente considerazione secondo cui, diversamente opinando, si finirebbe con il produrre un irragionevole squilibrio ai danni del debitore che non solo subisce l’ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria, viene pure gravato di altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E ciò sulla base di una scelta discrezionale del creditore (cfr., in primis, Trib. Varese, 18 maggio 2012, est. Buffone. Successivamente, cfr., ad es., Trib. Ferrara, sent. 7 gennaio 2015 e, ancora Trib. Cuneo, sent. 1 ottobre 2015, che, quanto all’interesse dell’originario ricorrente, si spinge ad affermare che non può ritenersi “…che lo stesso sia già soddisfatto dal titolo monitorio perché, in caso di accoglimento della spiegata opposizione, tale titolo è suscettibile di essere revocato. Dunque, diversamente da quanto affermato dai sostenitori della tesi opposta a quella che qui si preferisce, ben può ritenersi che l’attivazione della procedura di mediazione corrisponda all’interesse del creditore ingiungente giacché, ove quest’ultimo non provveda, il titolo monitorio è destinato alla caducazione per improcedibilità della domanda come originariamente proposta nei confronti del soggetto ingiunto”).

Secondo un diverso orientamento, invece, muovendo da un lato da una asserita scarsa chiarezza obbiettiva delle espressioni letterali utilizzate dal legislatore e dall’altro dall’intento di valorizzare la particolare disciplina giuridica del giudizio di opposizione, si è sostenuta, in caso di omessa mediazione, la improcedibilità della opposizione, con conseguente passaggio in giudicato del decreto opposto (in tal senso già Trib. Prato, 18 luglio 2011, est. Iannone; successivamente cfr., ex multis, Trib. Rimini, 5 agosto 2014 est. Bernardi; Trib. Firenze, 30 ottobre 2014, est. Ghelardini; Trib. Pavia, 12 ottobre 2015, est. Marzocchi).

Proprio a questa seconda conclusione era giunta la Terza Sezione Civile con la predetta sentenza n. 24629 del 2015, sulla base una serie di considerazioni, fondamentalmente incentrate sulla natura deflattiva del procedimento di mediazione, sulla particolare struttura del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, che può consentire di pervenire anche in tempi brevi ad un accertamento definitivo, e sulla ravvisata opportunità di porre l’onere di instaurare il procedimento di mediazione a carico della parte che ha l’effettivo interesse ad introdurre il giudizio di merito a cognizione piena, attraverso lo strumento dell’opposizione al decreto; giudizio che il creditore opposto avrebbe viceversa inteso evitare attraverso l’utilizzo del più agile strumento del decreto ingiuntivo.

Occorre peraltro rilevare come detta impostazione non abbia affatto raccolto unanime consenso in sede di giurisprudenza di merito, restando – dopo la pronuncia della Cassazione – assai elevato il numero di decisioni fondate sul presupposto opposto.

Particolarmente opportuno, dunque, appare l’intervento delle Sezioni Unite, che non a caso nel provvedimento in commento sottolineano come “…una simile frontale contrapposizione non giova al sistema; le regole processuali, infatti, costituiscono uno strumento finalizzato a permettere alle parti il corretto esercizio del diritto di difesa attraverso la proposizione delle rispettive posizioni”.

Tutto ciò premesso, le Sezioni Unite hanno ritenuto di non poter confermare l’orientamento inaugurato dalla più volte citata sentenza n. 24629 del 2015 e che, di conseguenza, il contrasto esistente nella giurisprudenza vada composto stabilendo che l’onere di attivare il procedimento di mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è a carico del creditore opposto.

In tal senso, infatti, secondo i Giudici, militano argomenti tanto di ordine logico-testuale quanto di carattere sistematico, dovendosi, inoltre, ritenere tale interpretazione l’unica costituzionalmente orientata.

Sotto il primo profilo, la Corte rileva come “…le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 28 del 2010 non siano neutre ai fini che qui interessano”.

Tra tutte l’art. 4, co. 2, che stabilisce che “l’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa”: di talché, risulterebbe quantomeno “…curioso, quindi, ipotizzare che l’opponente, cioè il debitore – ossia chi si è limitato a reagire all’iniziativa del creditore – sia costretto ad indicare l’oggetto e le ragioni di una pretesa che non è la sua”.

Quanto precede trova conferma nell’art. 5, co. 1 – bis del medesimo decreto, laddove, testualmente, “…l’obbligo di esperire il procedimento di mediazione è posto dalla legge a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione, e non c’è alcun dubbio che tale posizione sia quella dell’attore, che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è il creditore opposto (c.d. attore in senso sostanziale)”.

Né può sottacersi un ulteriore argomento letterale: l’art. 5, co. 6 dispone che “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”, oltre all’effetto impeditivo sulla decadenza per una sola volta. Ed in effetti rileva il Collegio come “…non appare logico che un effetto favorevole all’attore come l’interruzione della prescrizione si determini grazie ad un’iniziativa assunta dal debitore, posto che l’opponente nella fase di opposizione al monitorio è, appunto, il debitore (convenuto in senso sostanziale)”.

Le tre disposizioni or ora richiamate sembrano dunque univoche nel senso che l’onere di attivarsi per promuovere la mediazione debba essere posto a carico del creditore, che è appunto l’opposto.

Sul versante sistematico, le Sezioni Unite sottolineano due aspetti fondamentali.

In primo luogo, instaurata l’opposizione e sciolto il nodo della provvisoria esecuzione, “…non ha più rilievo che il contraddittorio sia differito; e dunque appare più conforme al sistema, letto nella sua globalità, che le parti riprendano ciascuna la propria posizione, per cui sarà il creditore a dover assumere l’iniziativa di promuovere la mediazione”. D’altra parte, la Cassazione ha già da tempo chiarito come l’opposizione a decreto ingiuntivo non rappresenti l’impugnazione del decreto, ma abbia “…natura di giudizio di cognizione piena che devolve al giudice dell’opposizione il completo esame del rapporto giuridico controverso, e non il semplice controllo della legittimità della pronuncia del decreto d’ingiunzione” (così SS. UU., sent. 9 settembre 2010, n. 19246).

Inoltre, e soprattutto, l’opzione ermeneutica prescelta nella pronuncia in commento si fonda – sotto il profilo sistematico – sulle diverse conseguenze derivanti dall’inerzia delle parti a seconda che si propenda per l’una o per l’altra soluzione.

Osserva infatti la Corte che “…se si pone l’onere in questione a carico dell’opponente e questi rimane inerte, la conseguenza è che alla pronuncia di improcedibilità farà seguito l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo; se l’onere, invece, è a carico dell’opposto, la sua inerzia comporterà l’improcedibilità e la conseguente revoca del decreto ingiuntivo; il quale ben potrà essere riproposto, senza quell’effetto preclusivo che consegue alla irrevocabilità del decreto“.

Nella prima ipotesi, quindi, definitività del risultato; nella seconda, mero onere di riproposizione per il creditore, il quale non perde nulla.

Come osservato in uno dei passaggi fondamentali dell’apparato motivazionale, non può oltremodo rilevare il fatto che il decreto ingiuntivo, per sua stessa attitudine, sia un provvedimento idoneo a passare in giudicato (ciò che risulta sia dall’art. 647 c.p.c. – in base al quale il decreto diventa esecutivo in caso di mancata opposizione – sia dall’art. 653 c.p.c., il quale ricollega un identico effetto all’estinzione del processo di opposizione al decreto stesso). Sul punto, la Corte sottolinea che “…come correttamente ha rilevato il Procuratore generale nella requisitoria scritta, «non vi è possibilità di assimilazione tra l’inerzia “sanzionata” con l’esecutività del decreto a norma dell’art. 647 cit., perché un processo non è stato neppure instaurato o, se lo è stato, si è estinto de iure per mancata costituzione, e la attivazione del giudizio seguita da tempestiva costituzione, espressione, all’opposto, della volontà di difendersi». In altri termini, poiché l’opponente si è attivato promuovendo il giudizio di opposizione – che è, in concreto, l’unico rimedio processuale che la legge gli riconosce in presenza di un provvedimento monitorio – ricollegare alla sua inerzia nel promuovere il procedimento di mediazione un effetto identico appare un’evidente forzatura, stante la non confrontabilità delle due situazioni”.

Si perviene, infine, ai rilievi di natura costituzionale.

In sostanza, dovendo optare tra due contrapposte interpretazioni, le Sezioni Unite non possono che preferire quella che appare in maggiore armonia con il dettato costituzionale; porre l’onere di promuovere il procedimento di mediazione a carico dell’opponente si traduce, in caso di sua inerzia, nella irrevocabilità del decreto ingiuntivo come conseguenza del mancato esperimento di un procedimento che non è giurisdizionale.

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Certamente, come la sentenza n. 24629 del 2015 ha posto in evidenza, la procedura di mediazione ha una finalità deflattiva, in armonia col principio costituzionale della ragionevole durata del processo, ma “…è altrettanto evidente che – come ha ancora rilevato il Procuratore generale – nel conflitto tra il principio di efficienza (e ragionevole durata) e la garanzia del diritto di difesa, quest’ultimo deve necessariamente prevalere”.

La giurisprudenza costituzionale, più volte chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della c.d. giurisdizione condizionata, fornisce quindi un ulteriore e decisivo argomento nel senso che si è delineato. La Corte costituzionale ha infatti costantemente sottolineato come le forme di accesso alla giurisdizione condizionate al previo adempimento di oneri siano legittime purché ricorrano certi limiti; e che comunque debbano considerarsi illegittime le norme che collegano al mancato previo esperimento di rimedi stragiudiziali la conseguenza della decadenza dall’azione giudiziaria.

Le considerazioni da ultimo riportate, pertanto, costituiscono un ulteriore decisivo apporto in favore dell’innovativo approdo cui le Sezioni Unite della suprema Corte, con la pronuncia in commento, hanno ritenuto di dover pervenire.

Luigi Majoli – ADR Intesa

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