Cassazione: in Mediazione Procura Notarile NON necessaria

La Corte di Cassazione, sez. III civile, con la sentenza 7 marzo 2019, n. 8473, ha finalmente avuto modo di intervenire in ordine ad alcune fondamentali questioni in tema di mediazione obbligatoria, introdotta, come ben noto, quale condizione di procedibilità di una vasta serie di controversie dal D.lgs. n. 28 del 2010 (Attuazione dell’art. 60, L. 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), come modificato dal D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni in L. 9 agosto 2013, n. 98, (che ha introdotto l’attuale comma 1 – bis dell’art. 5, dopo che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 272 del 2012, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1 del medesimo articolo).

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In breve, i fatti di causa.

In una controversia in materia locatizia pendente dinanzi al Tribunale di Udine, disposta dal giudice la mediazione a seguito del mutamento di rito ex art. 667 c.p.c., in sede di primo incontro erano comparsi dinanzi al mediatore i soli procuratori delle parti, richiedendo un rinvio e successivamente comunicando all’Organismo, per le vie brevi, l’indisponibilità dei propri assistiti a percorrere la via stragiudiziale. Il secondo incontro, pertanto, non ebbe mai luogo.

Nella successiva udienza la difesa di parte convenuta aveva eccepito l’improcedibilità della domanda in virtù della mancata partecipazione personale delle parti all’incontro di mediazione. Successivamente, a seguito della rinuncia della ricorrente alla domanda di risoluzione del contratto ed insistendo la stessa esclusivamente in punto di rifusione delle spese sulla base della soccombenza virtuale, il Tribunale dichiarò cessata la materia del contendere rilevando, in rito, come non si fosse verificata la condizione di procedibilità della domanda di cui al D.lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1-bis, con conseguente improcedibilità della domanda attorea. Compensò per intero tra le parti le spese di lite, osservando che “…entrambe le domande di parte si sono alfine rivelate inammissibili per ragioni di rito”.

Avverso la sentenza fu interposto appello con contestazione del capo afferente le spese, assumendo il ricorrente, per quanto qui di interesse, che la mediazione obbligatoria si fosse effettivamente svolta, avendo le parti legittimamente partecipato al procedimento di mediazione a mezzo dei rispettivi difensori. In particolare, parte appellante intese rimarcare come il proprio difensore fosse munito, in sede di mediazione, di una procura speciale, conferente tutti i poteri per definire e trattare questioni anche stragiudiziali, e che pertanto lo stesso fosse pienamente munito di rappresentanza formale e sostanziale.

La Corte d’appello di Trieste (sent. n. 2010/2017) rigettò l’appello affermando, in sintesi, che, pur potendo la parte farsi rappresentare anche dal difensore, non sia sufficiente a tal fine una semplice procura speciale alle liti rilasciata ex art. 185 c.p.c., contenente i poteri di transigere e conciliare la lite, trattandosi di procura con valenza processuale e non sostanziale, risultando dunque necessaria una procura speciale che conferisca al difensore la rappresentanza sostanziale della parte.

Di qui il ricorso in Cassazione, fondato sui seguenti motivi.

Con il primo, la ricorrente ha sostenuto la violazione degli artt. 5 e 8, D.lgs. 28/2010, nonché degli artt. 185 e 83 c.p.c.

Con il secondo, ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo indicato nella procura speciale alle liti, prodotta nel giudizio di cassazione come allegato al ricorso.

Infine, per l’auspicata ipotesi di accoglimento delle predette censure, la ricorrente ripropone la domanda di condanna alle spese del giudizio di appello nei confronti dell’avversaria, ad evitare, naturalmente, il formarsi del giudicato sulla medesima.

Il ricorso, dunque, pone per la prima volta la Corte di Cassazione nella condizione di pronunciarsi su alcune dibattute tematiche in materia di mediazione obbligatoria. In particolare, due risultano essere le principali questioni giuridiche affrontate dalla Suprema Corte, e, giova sin d’ora sottolinearlo, si tratta di aspetti sui quali la giurisprudenza di merito ha fornito interpretazioni ondivaghe, non sempre esaustive e, ad avviso di chi scrive, talora “estreme”.

La prima questione, dunque, è se, nel procedimento di mediazione da esperirsi obbligatoriamente ante causam, ex art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, la parte che propone la mediazione sia tenuta a comparire personalmente davanti al mediatore, affinché il tentativo si possa ritenere compiuto, a pena di improcedibilità dell’azione proposta senza previo esperimento, ovvero se la stessa possa farsi sostituire in sede di incontro dinanzi al mediatore.

Di conseguenza, laddove si ammetta che in effetti la parte possa farsi sostituire, vale a dire che si tratti di atto delegabile ad altri, si porrà poi il problema dell’individuazione delle forme e dei modi della predetta sostituzione, ed in particolare se la parte medesima possa essere sostituita da chiunque, ed in tal caso, dunque, il sostituto potrebbe anche identificarsi con il difensore, emergendo infine, ove si assuma tale ultima opzione, il problema dell’atto con il quale i relativi poteri possano essere conferiti.

Sul punto, l’analisi della Corte è approfondita.

Dopo aver analizzato, attraverso un breve excursus, gli intenti perseguiti dal legislatore con l’introduzione della mediazione in Italia ed in particolare con la scelta in favore di una fase stragiudiziale che, in numerose materie, si pone come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, i Giudici passano all’esame delle disposizioni oggetto di censura, muovendo dall’art. 8, D.lgs 28/2010, dedicato, come è noto, al procedimento di mediazione.

Rileva la Corte, innanzitutto, come il legislatore abbia previsto la comparizione personale delle parti dinanzi al mediatore “…perché solo nel dialogo informale e diretto tra parti e mediatore [il legislatore] conta che si possa trovare quella composizione degli opposti interessi satisfattiva al punto da evitare la controversia ed essere più vantaggiosa per entrambe le parti”.

E, in effetti, l’art. 8 prevede espressamente che al primo incontro debbano essere presenti sia le parti che i rispettivi avvocati.

La parte, dunque, è tenuta a partecipare personalmente. Secondo la Corte, tuttavia, “…in mancanza di una previsione espressa in tal senso, e non avendo natura di atto strettamente personale, deve ritenersi che si tratti di attività delegabile ad altri”. Nella pronuncia in commento si osserva infatti che “…laddove per la rilevanza della partecipazione, o della mancata partecipazione, ad alcuni momenti processuali, o per l’attribuzione di un particolare valore alle dichiarazioni rese dalla parte, la legge non ha ritenuto che la parte potesse farsi sostituire, attribuendo un disvalore, o un preciso significato alla sua mancata comparizione di persona, lo ha previsto espressamente[1].

Ciò posto, nella sentenza in esame si sottolinea come non sia previsto, ma nemmeno escluso, che la delega possa essere conferita al proprio difensore.

Naturalmente, al fine di “…validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto (…) Quindi il potere di sostituire a sé stesso qualcun altro per la partecipazione alla mediazione può essere conferito con una procura speciale sostanziale”.

La parte, dunque, ben potrà farsi sostituire nel procedimento di mediazione e ben potrà farlo delegando il proprio difensore: non potrà però conferire tale potere con la procura conferita al difensore stesso e da questi autenticata, dal momento che il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore. Ne consegue che la parte che non intenda presenziare in mediazione, “…può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale, che non rientra nei poteri di autentica dell’avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista[2].

Né, il punto essenziale deve essere ravvisato nel fatto che la procura speciale sia notarile. Nel dichiarare infondato il primo motivo di ricorso, il Collegio rileva come la Corte d’appello si sia attenuta ai summenzionati principi di diritto, avendo in particolare esattamente osservato come l’atto di conferimento di potere al difensore “…pur avendo la forma della procura notarile fosse in realtà una semplice, benché ampia, procura alle liti, comprensiva di ogni potere giudiziale e stragiudiziale ed anche del potere di conciliare la controversia (da qui il richiamo corretto all’art. 185 c.p.c.), ma comunque una procura dal valore meramente processuale, che non attribuiva all’avvocato la rappresentanza sostanziale della parte”.

In altri termini, procura notarile, ma non sostanziale, e, dunque…inidonea allo scopo.

Il Giudice di legittimità, dunque, ha ritenuto che il conferimento di poteri debba avvenire a mezzo di procura speciale sostanziale, che, in quanto alla forma, dovrà rivestire, ai fini dell’efficacia, quella prescritta per il negozio che il rappresentante sarà chiamato a concludere, secondo il principio generale di cui all’art. 1392 c.c. Naturalmente – ma non si tratta che di un’ulteriore applicazione del medesimo principio – la procura de qua dovrà essere notarile nell’ipotesi in cui si rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 1350 c.c.: dovendosi fare, a pena di nullità, per atto pubblico gli atti ivi tassativamente elencati, ovviamente la procura non potrà che essere caratterizzata dalle medesime forme.

La seconda questione affrontata dalla Corte è quella del momento in cui il procedimento di mediazione possa ritenersi utilmente concluso al fine dell’avverarsi della condizione di procedibilità.

Ad avviso di chi scrive, e prescindendo per ora dalle considerazioni che devono essere svolte in tema di mediazione delegata dal giudice ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, sulle quali v. infra, alla luce della normativa vigente non sembra che l’intervento dei Giudici di legittimità avrebbe potuto arrecare particolari contributi innovativi.

In effetti, l’art. 5, co. 2 – bis, D.lgs 28/2010, prevede espressamente che “Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”. Se ciò, a fortiori, non valesse anche nell’ipotesi in cui nel merito non si entri affatto, arrestandosi il procedimento al primo incontro (come sostenuto da chi ritiene che non potrebbe parlarsi di mancato accordo senza un tentativo di mediazione “effettivamente” svolto), sarebbe sufficiente alla parte chiamata presenziare al primo incontro dichiarando l’insussistenza dei presupposti per rendere improcedibile la domanda di controparte…superfluo proseguire.

L’art. 8, co. 1, a sua volta, dispone che nel primo incontro il Mediatore, chiarite alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione[3], “…invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”. Dovrà dunque essere ben possibile l’ipotesi di responso negativo, e ciò non potrà certamente riflettersi sulla procedibilità della domanda giudiziale[4].

Muovendo dalle predette premesse normative – non disgiunte dall’argomentazione, di ordine sistematico, inerente alla necessità di interpretare l’ipotesi di giurisdizione condizionata in modo non estensivo, vale a dire così da non rendere eccessivamente complesso o dilazionato l’accesso alla tutela giurisdizionale – la Corte ritiene che “…l’onere della parte che intenda agire in giudizio (o che, avendo agito, si sia vista opporre il mancato preventivo esperimento della mediazione e sia stata rimessa davanti al mediatore dal giudice) di dar corso alla mediazione obbligatoria possa ritenersi adempiuto con l’avvio della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all’esito del quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità di svolgimento della mediazione, può liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire) la procedura di mediazione”.

In sostanza la Corte di Cassazione prende posizione sulla cosiddetta “effettività” della mediazione, tesi, di origine giurisprudenziale, secondo cui le parti dovrebbero quanto meno tentare una discussione nel merito, per poi dare atto a verbale, nell’ipotesi di mancato accordo, dell’impossibilità, nel caso concreto, di una soluzione conciliativa. Interpretazione invero non sostenibile con riferimento alla mediazione ante causam di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, che, a seguito della riforma del 2013, si fonda proprio sulla valutazione preliminare circa la sussistenza dei presupposti per l’inizio del tentativo di mediazione in sede di primo incontro, come strutturato nel novellato art. 8 del medesimo decreto legislativo.

Diversa – e su di essa la pronuncia in commento ovviamente non si esprime – si presenta la situazione con riguardo alla mediazione delegata dal giudice ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, laddove sembra invece sostenibile che la valutazione in ordine alla “mediabilità” della lite, effettuata nel singolo caso (vale a dire in concreto e fondata sulla natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, e non in astratto dalla legge con riferimento a determinate materie) dal giudice, cui è attribuito il potere di disporre la mediazione (e non più di “invitare alla stessa”), non possa essere inficiata (rectius: svuotata di ogni significato) da un atteggiamento contrario delle parti in sede di mediazione[5].

In sintesi, dunque, “…solo se le parti gli danno il via per procedere alla successiva fase di discussione, il mediatore andrà avanti, interloquendo con le parti fino a proporre o a far loro proporre una possibile soluzione, altrimenti si arresterà alla fase preliminare (all’esito della quale sono dovute solo le spese, e non anche il compenso del mediatore)”.

Ciò, con riferimento all’ipotesi di partecipazione di entrambe le parti al primo incontro.

Il procedimento, ovviamente, non potrà avere sviluppi ulteriori laddove la parte chiamata non compaia, ovvero compaia dichiarando di non ravvisare i presupposti per avviare nel merito il tentativo di mediazione. In tal caso, ma limitatamente all’ipotesi di mancata partecipazione e non anche, come arbitrariamente sostenuto da taluna, anche se sporadica, giurisprudenza[6], potrà trovare applicazione il comma 4 – bis dell’art. 8, D.lgs 28/2010, secondo cui “Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’art. 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.

Ancora. Potrebbe essere l’istante, pur a fronte della partecipazione della parte chiamata, a dichiarare, all’esito del primo incontro, di non ravvisare la sussistenza dei presupposti per l’inizio del tentativo di mediazione. In quest’ultima ipotesi, secondo il Collegio, “…deve ritenersi che il mediatore debba prenderne atto e che l’attività si concluda anche in questo caso al termine dell’incontro preliminare, che la mediazione sia stata esperita e che abbia dato esito negativo, e che quindi la condizione di procedibilità sia soddisfatta”.

Fin qui, dunque, la pronuncia in commento.

Siano tuttavia consentite alcune brevi considerazioni conclusive. Comunque si voglia considerare l’intervento del Giudice nomofilattico ed il suo impatto su tutta una congerie di posizioni emerse nel tempo nella giurisprudenza di merito, credo che il vero sviluppo della mediazione – sviluppo che, alla luce dei dati ufficiali, è indubbiamente in atto – dipenda innanzitutto dall’atteggiamento del mediatore in sede di primo incontro e dalla comprensione piena delle potenzialità dell’istituto da parte degli avvocati .

Appare chiaro quanto sia determinante il fatto che il mediatore, spendendosi con le parti e con gli avvocati al fine di far emergere nella massima misura possibile i reali interessi sottesi alle posizioni iniziali, non limitandosi, quindi, ad una formalistica applicazione di quanto (poco) disposto dall’art. 8 del decreto legislativo 28/2010, porti gradualmente i partecipanti al tavolo ad una adeguata ricognizione degli elementi che possano portare alla prosecuzione del procedimento.

L’esperienza concreta della mediazione dimostra quotidianamente come spesso situazioni di apparente chiusura totale possano invece rivelarsi, laddove il primo incontro sia svolto con il dovuto impegno e con la necessaria flessibilità, passibili di sviluppi positivi.

Al contempo, un ruolo altrettanto importante è quello rivestito dagli avvocati che assistono (ed eventualmente rappresentano le parti): anche in questo caso, l’esperienza suggerisce considerazioni di segno complessivamente positivo, dal momento che lo sviluppo della cultura della mediazione e la crescita dell’interesse verso la ricerca di soluzioni stragiudiziali rendono, spesso, i legali ben più collaborativi che in passato. D’altra parte, la stessa Cassazione, in un passaggio della sentenza in commento, che potrebbe apparire un mero obiter dictum ma che a mio avviso merita invece un’attenzione maggiore, afferma come “…si può osservare che la novella del 2013, che introduce la presenza necessaria dell’avvocato, con l’affiancare all’avvocato esperto in tecniche processuali che “rappresenta” la parte nel processo, l’avvocato esperto in tecniche negoziali che “assiste” la parte nella procedura di mediazione, segna anche la progressiva emersione di una figura professionale nuova, con un ruolo in parte diverso e alla quale si richiede l’acquisizione di ulteriori competenze di tipo relazionale e umano, inclusa la capacità di comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche avanzate”.

Non sembrano affatto, alla luce dei delicati equilibri posti dalla (certamente perfettibile) normativa sulla mediazione, considerazioni di poco conto.

Luigi Majoli – Mediatore e Formatore presso ADR Intesa

 

[1] L’esempio riportato in sentenza è quello dell’art. 231 c.p.c., sulla risposta all’interrogatorio formale, secondo cui “La parte interrogata deve rispondere personalmente”; cfr. anche Cass. n. 15195/2000, laddove si afferma che “L’interrogatorio formale non può essere reso a mezzo di procuratore speciale atteso che il soggetto cui è deferito deve rispondere ad esso oralmente e personalmente, in base all’art. 231 c.p.c.”. Sotto il profilo lato sensu sanzionatorio, si consideri il successivo art. 232 c.p.c., per il quale “Se la parte non si presenta o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il collegio, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio”.

[2] Come si vede, una netta smentita nei confronti dell’approccio giurisprudenziale secondo il quale le parti sarebbero tenute a comparire personalmente al primo incontro di mediazione e gli avvocati potrebbero dichiarare l’impossibilità di aprire il tavolo al merito della controversia (vale a dire, utilizzando la terminologia dell’art. 8, co. 1, D.lgs 28/2010, dichiarare l’insussistenza dei presupposti per l’inizio del tentativo di mediazione) soltanto in presenza di cause impeditive di carattere oggettivo, tra le quali non potrebbero trovare cittadinanza valutazioni <puramente soggettive> relative alle probabilità di trovare un accordo o alla saldezza delle proprie ragioni etc. Cfr., ex multis, Trib. Firenze, sent. 26 novembre 2014; Trib. Roma, sent. 30 giugno 2014; Trib. Palermo, ord. 16 giugno 2014; Trib. Siracusa, ord. 17 gennaio 2015; Trib. Civitavecchia, ord. 16 gennaio 2016; Trib. Vasto, ordd. 23 giugno 2015, 15 giugno 2016, 29 gennaio 2018; Trib. Roma, sez. XIII, sent. 23 febbraio 2017; Trib. Roma, sez. XIII, ordd. 29 febbraio 2016 e 23 febbraio 2017. Inevitabilmente, il citato orientamento giurisprudenziale non si spinge fino all’esclusione assoluta della possibilità di attribuzione a un soggetto diverso di una procura a partecipare agli incontri di mediazione in nome e per conto della parte, con la precisazione, tuttavia, che il procuratore speciale non potrebbe identificarsi con il difensore, dal momento che, in mediazione, quest’ultimo avrebbe una funzione di mera <assistenza> e non anche di rappresentanza, avendo il legislatore strutturato il procedimento di mediazione, secondo tale opzione ermeneutica, così da prevedere la partecipazione a ciascun incontro della parte (o di suo delegato) assistita dall’avvocato (cfr. in tal senso Trib. Padova, sent. 9 marzo 2015; Trib. Roma, sent. 20 dicembre 2018);

[3] Si consideri, peraltro, che seppur la breve introduzione del mediatore possa avere talvolta una certa utilità, non solo ai fini informativi per i quali è prevista ma anche e soprattutto allo scopo di creare empatia, le parti dovrebbero presentarsi al tavolo della mediazione, nel caso beninteso di partecipazione personale, già sufficientemente edotte in ordine alla mediazione ed ai possibili sviluppi del primo incontro, stante l’obbligo di informativa gravante sull’avvocato ai sensi dell’art. 4, co. 3, D.lgs 28/2010, secondo cui “All’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito è annullabile. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

[4] Giova inoltre rammentare che, a norma dell’art. 17, co. 5 – ter, D.lgs 28/2010, “Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.

[5] Con riferimento alla mediazione delegata dal giudice, pertanto, il meccanismo del primo incontro non pare possa ritenersi operante. D’altra parte, non sembrerebbe rispondere ad una particolare evidenza logica un meccanismo, potenziato in sede di riforma dal legislatore, che da un lato consenta al giudice di disporre una mediazione lite pendente, anche in appello, sulla base evidentemente di una valutazione preliminare effettuata dal giudice stesso, con la conseguenza di condizionare ex post la procedibilità della domanda, anche laddove una mediazione ante causam sia stata tentata ed abbia avuto esito negativo e financo laddove si tratti di controversia su diritti disponibili non assoggettata al regime della previa mediazione obbligatoria, e dall’altro consenta alle parti di limitarsi ad un mero incontro formale dinanzi al mediatore in cui, contrariamente a quanto già ritenuto dal giudice, le stesse dichiarino l’insussistenza di qualsiasi presupposto per una eventuale soluzione conciliativa. In effetti, prescindendo da alcune interpretazioni estreme (cfr., ad esempio, Trib. Rimini, ord. 16 luglio 2014) il cui riproporsi la pronuncia di legittimità in commento dovrebbe d’ora in avanti impedire o quanto meno attenuare, va sottolineato come l’orientamento favorevole all’effettività del tentativo di mediazione abbia avuto origine e si sia poi rafforzato con riferimento, per l’appunto, alla mediazione delegata dal giudice di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010 (a partire, come ben noto, dalle “storiche” ordinanze 17 e 19 marzo 2014 del Tribunale di Firenze).

[6] Cfr. Trib. Vasto, ord. 23 aprile 2016, secondo la quale “…circa le conseguenze sanzionatorie del rifiuto opposto dalle parti di proseguire nella mediazione oltre il primo incontro va affermato che la condanna alla sanzione pecuniaria di cui all’art. 8, comma 4-bis d.lgs. 28/2010 scatta anche in caso di rifiuto, al primo incontro, di procedere nella fase di mediazione effettiva”. Forme di estremismo che, per vero dire, non sembrano in alcun modo poter contribuire alla diffusione della “cultura della mediazione”. Anzi.

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