Sentenza Corte Costituzionale mediazione civile: bocciatura

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della normativa sulla mediazione civile nella parte più innovativa, ovvero quella che rende obbligatorio il ricorso a questa forma di risoluzione delle controversie private prima di procedere in giudizio ordinario. E’ quindi incostituzionale nella parte degli art. 5 e 14 del D. Lgs 28/2010.
Rimaniamo in attesa di conoscere l’intero testo della pronuncia e di capire come si muoverà il Governo dopo la pronuncia sull’eccesso di delega legislativa del d.lgs. 4 marzo 2010, n.28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione.

Sentenza Corte Costituzionale sulla Mediazione

E’ in corso l’udienza presso la Corte Costituzionale in merito alla legittimità costituzionale o meno dell’obbligo di esperire il tentativo di mediazione per determinate materie. Ricordiamo come la questione costituzionale sia stata sollevata dal Tar Lazio, con l’ordinanza di rinvio del 12 aprile 2011.
La Corte non ha ammesso coloro che non erano parte costituita nel procedimento pendente al TAR Lazio tra cui Unioncamere, Coa Milano, Cnf ed altri.
L’Avv. Cicchetti, docente in mediazione, sottolinea innanzi alla Corte come sia importante riferirsi alla normativa comunitaria che prevede l’obbligo del ricorso alla mediazione.
L’udienza è terminata dopo l’intervento dell’Avvocato dello Stato.

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DLgs 28/2010 disegno di legge modifica art. 5

Su iniziativa del sen. Stefano De Lillo (PdL), è stato presentato in Senato un disegno di legge relativo all’interpretazione autentica dell’articolo 5 del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
Per mezzo dell’iniziativa in parola, il promotore mira evidentemente a rimuovere le incertezze di ordine ermeneutico che si sono manifestate nel primo periodo di applicazione della normativa sulla mediazione. Come è noto, infatti, diversi giudici di pace (a partire dalla c.d. decisione D’Onofrio) hanno opinato in senso contrario all’applicabilità dell’art. 5 alle controversie pendenti presso i rispettivi uffici, sulla base dell’asserita inidoneità, da parte di una norma di carattere generale che nulla espressamente preveda in merito, ad incidere su una normativa, quale quella di cui al Titolo II del Libro II del c.p.c. (Procedimento davanti al giudice di pace), sì anteriore ma caratterizzata da specialità.
Di conseguenza, il d.d.l. si propone di fornire un’interpretazione autentica dell’art. 5 del decreto n. 28/2010, dal momento che appare evidente, sulla base dello spirito e delle finalità pratiche cui la norma in esame è finalizzata, che l’obbligatorietà della mediazione, nelle materie in cui è prevista, debba applicarsi a tutti i giudizi riguardanti le stesse, indipendentemente dall’ ufficio giudiziario competente per l’eventuale, successivo giudizio. Ciò, principalmente, al fine di evitare che vengano a determinarsi le condizioni favorevoli ad un ulteriore quanto insostenibile appesantimento del contenzioso civile e dell’amministrazione delle giustizia.
Ecco qui di seguito il testo dell’iniziativa e la relativa presentazione.

Senato della Repubblica XVI LEGISLATURA

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa del senatore DE LILLO

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA

INTERPRETAZIONE AUTENTICA DELL’ARTICOLO 5 DEL DECRETO LEGISLATIVO 4 MARZO 2010, N. 28

Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge intende evidenziare l’assoluta importanza della disposizione contenuta nell’’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, recante Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, e degli effetti sulla legislazione che la sua applicazione determina.

Nello specifico per il legislatore era palese che con tale articolo 5 si dovessero considerare abrogate, implicitamente, tutte le norme riferibili all’ambito di applicazione dello stesso.

Tuttavia, è sorta la necessità di procedere a mezzo di uno specifico intervento legislativo in quanto alcuni giudici di pace, con sentenze diverse, hanno deciso che l’obbligo previsto dal citato articolo 5 nelle controversie pendenti dinanzi ai loro uffici è da considerarsi superato e quindi l’articolo non debba essere applicato, in quanto vigente ed attuale è la facoltà, e non l’obbligo, del tentativo di composizione cui fanno riferimento gli artt. 320 e 322 del Codice di Procedura Civile.

Appare quindi necessario sanare l’eccessiva discrezionalità di tali sentenze intervenendo con una interpretazione autentica dell’articolo 5, onde evitare che venga stravolto lo spirito della norma e si creino, conseguentemente, condizioni di insostenibile appesantimento del contenzioso civile e dell’amministrazione della giustizia.

Il Disegno di Legge consta di un solo articolo e si confida possa essere sollecitamente approvato.

DISEGNO DI LEGGE

Articolo 1

(Interpretazione autentica dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28)

1. L’obbligo del tentativo di mediazione contenuto nell’articolo 5, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, è assoluto ed inderogabile e deve essere applicato in tutti i gradi di giudizio. Sono soppresse tutte le norme interne e le disposizioni in precedenza emanate in contrasto con quanto disposto dall’articolo 5, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.

2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

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Settimana Nazionale della Conciliazione delle Camere di Commercio

La settimana nazionale della Conciliazione delle Camere di Commercio, nona edizione, si terrà dall’8 al 14 ottobre. Il tradizionale appuntamento promosso dal Sistema delle Camere di Commercio su tutto il territorio nazionale.

In tutte le Camere di Commercio d’Italia, la Settimana prevede un programma denso di convegni, workshop, campagne informative e corsi di formazione, orientati a diffondere le novità legislative e i vantaggi di questo tipo di giustizia alternativa e, allo stesso tempo, volti a rilanciare nuovi accordi e collaborazioni con gli ordini professionali.

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Mancata comparizione parte istante in mediazione e forme del conferimento della rappresentanza

Mancata comparizione parte istante in mediazione: il Tribunale di Roma, sez. distaccata di Ostia, con l’ordinanza 22 agosto 2012 ha avuto modo di fornire un ulteriore contributo alla ricostruzione interpretativa di due aspetti che spesso, all’interno del procedimento di mediazione, rappresentano altrettante criticità.
In primo luogo, si afferma come il mero deposito della domanda di mediazione, nelle materie di cui all’art. 5 d.lgs n. 28/20100, cui non consegua la effettiva presentazione della parte istante dinanzi al mediatore, non soddisfa il requisito minimo di legge perché possa affermarsi esperito il procedimento di mediazione e verificatasi la condizione di procedibilità dell’azione. La mancata partecipazione del proponente va senz’altro parificata, quindi, all’ipotesi in cui la mediazione non sia stata tout court attivato, con la conseguenza che va assegnato alle parti il termine di quindici giorni per la valida instaurazione del procedimento medesimo.
Si rileva, a tale proposito, come “…la previsione, per talune materie, di una condizione di procedibilità comporta che la mediazione debba essere effettivamente esperita dinanzi al mediatore, sia pure con le modalità sopra indicate, con la conseguenza che, per ritenersi esperita la condizione di procedibilità, l’unico soggetto legittimato secondo legge a redigere il verbale di esito negativo della mediazione è il mediatore e non la segreteria dell’organismo di mediazione.
Ai fini, quindi, della corretta applicazione delle previsioni normative di riferimento, questa direzione, nell’esercizio dei propri poteri di vigilanza, invita gli organismi di mediazione ad adeguarsi alla presente circolare nei sensi di cui sopra, limitando alla sola fattispecie della mediazione volontaria l’applicazione di una eventuale previsione del regolamento di procedura che abbia contenuto analogo a quello preso in esame
“.

Con il successivo D.M. 6 luglio 2011 n. 145 tale orientamento veniva confermato prevedendosi nei casi di mediazione obbligatoria la necessaria presenza della parte istante al fine di consentire al mediatore di incontrare almeno tale parte e se del caso accertare l’effettiva impossibilità di un’utile prosecuzione dell’esperimento. Solo all’esito di tale incontro e verbalizzazione l’organismo di mediazione è abilitato ad attestare l’esito negativo della media conciliazione per la mancata presenza della parte chiamata.
Poiché non si tratta di fonte normativa primaria è opportuno uno scrutinio di legittimità di tale disposizioni che solo se conformi alla legge potranno trovare applicazione da parte del giudice ordinario.
Ebbene si ritiene la sostanziale conformità (sia pure con la consapevolezza del relativismo storico della interpretazione normativa, che per quanto ci occupa deve confrontarsi con una cultura nazionale ancora largamente distante dalla media-conciliazione) al decreto legislativo 28/10 della disposizione che prevede che ove sussiste obbligatorietà del tentativo di mediazione è necessario che l’invitante si presenti in ogni caso (vale a dire anche nel caso in cui la parte chiamata non abbia dato alcuna risposta ovvero abbia dichiarato di non avere interesse a presenziare al tentativo di media conciliazione) davanti al mediatore.
Ciò in quanto deve essere il mediatore ad accertare ed attestare la mancata comparizione della controparte e la conclusione negativa del procedimento di mediazione.

Diversamente opinando si correrebbe il rischio, specialmente nell’attuale periodo di ancora diffusa diffidenza verso l’istituto della mediazione, di prestare il fianco a condotte delle parti non corrette (in quanto sostanzialmente aventi lo scopo di bypassare tout court la mediazione ovvero, che è lo stesso, di espropriare surrettiziamente il mediatore delle funzioni che la legge gli attribuisce).
Tali condotte si possono articolare nei modi più vari, ad esempio con scambio di corrispondenza fra le parti che, al di fuori del procedimento di mediazione, si diano reciprocamente atto della impossibilità o inutilità della procedura di mediazione; con comunicazioni di analogo contenuto dirette all’organismo di mediazione e simili (va segnalato a proposito la recente modifica del regolamento dell’Organismo Forense di Roma nel quale è stato introdotta all’art.13 una disposizione che non merita in questa sede specifica ed approfondita valutazione ma che potrebbe risultare non in linea con la necessità che il tentativo di mediazione sia esperito, in modo sostanziale e non meramente formale, davanti al mediatore ed ad opera di questi).
In secondo luogo, il Giudice si sofferma sulle problematiche derivanti dalla circostanza che il decreto legislativo n. 28/2010 non disciplina la materia della rappresentanza delle parti nel procedimento di mediazione, specialmente quando, come nel caso di specie, si tratti di persone giuridiche.
Con specifico riferimento al caso in esame, infatti, erano presenti non le parti personalmente (in questo caso sarebbe più esatto dire, trattandosi di persone giuridiche, attraverso i loro organi), ma i loro avvocati.
Osserva infatti il giudice come nulla fosse possibile dire “…circa i poteri e la rappresentatività di essi difensori non essendovi sufficienti indicazioni in atti (…)” si può, per quanto qui interessa, ipotizzare e concedere che avessero gli usuali (informali) poteri rappresentativi degli avvocati in mediazione.
Il vero problema è che quand’anche il difensore della parte istante fosse stato munito dei più ampi poteri rappresentativi, di fatto la sua presenza veniva sterilizzata e resa vana, ridotta a non più di un mero nuncius, dalla preventiva comunicazione espressa ed univoca del suo cliente, diretta al mediatore, con la quale la srl Alfa in modo tranciante e definitivo dichiarava che non sarebbe comparsa ritenendo fallito l’esperimento di mediazione.

Tale dichiarazione costituiva un limite formidabile per qualsiasi attività dell’avvocato della parte istante (srl Alfa) che non avrebbe potuto, senza entrare in plateale contraddizione con la volontà del suo Cliente, essendo peraltro ciò preclusogli oltre che dal buon senso e dalla deontologia anche dalle comuni norme regolanti il mandato, aggiungere o modificare alcunché alla chiara e tranciante (manifestazione di) volontà di chiusura dell’esperimento inviata al mediatore dalla ricorrente. Ne deriva che, presente la parte convenuta in mediazione, non lo era, nell’accezione sostanziale conforme al dettato dell’art.5 del decr.lgsl.28/10, la parte istante. Situazione ancor più grave di quella presa in considerazione dal D.M. 145/2010 che non arriva a prendere posizione sul caso in cui in presenza della parte convocata la sia la parte istante a non comparire e ciò per la elementare ragione che in questo caso è di palmare evidenza la irritualità del procedimento di mediazione)”.
In definitiva, dunque, ad avviso del Tribunale “… la presenza nel procedimento di mediazione, in luogo delle parti, di soggetti, avvocati o meno, che le rappresentano è sempre ammessa a prescindere dalle modalità del conferimento del potere rappresentativo. Ed invero va considerato che nessuna norma impone che nella media-conciliazione il conferimento della rappresentanza avvenga con specifiche forme (scrittura privata autenticata o atto pubblico) mentre è certo che alla mediazione si applicano le norme di portata generale di cui agli artt. 1392 e 1393 c.c. (per cui il conferimento del potere rappresentativo ha il solo limite di seguire la forma dell’atto da compiere). Laddove il rappresentante della parte istante nella mediazione obbligatoria, come nel caso in esame, sia stato ridotto a mero nuncius la procedura di mediazione, ai fini della procedibilità dell’azione giudiziale, non può ritenersi ritualmente esperita”.

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